Non è una fotografia dettagliata della prima protesta contro la valutazione della ricerca (Vqr) e il blocco degli stipendi dei docenti, ma dai dati diffusi dall’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur) emerge una realtà interessante. Nonostante le minacce ventilate, il timore di danneggiare il proprio dipartimento nella distribuzione delle risorse realizzata in base alla valutazione del triennio accademico 2011-2014, i caricamenti forzosi dei “prodotti della ricerca”, sono diversi gli atenei – anche di peso – dove la protesta si è mantenuta al di sopra della soglia psicologica del 10 per cento: Napoli Parthenope (73,7%),Reggio Calabria (82,7%), Catania (85,8%), L’Aquila (86,3%), Urbino, Roma Sapienza (86,4%), Brescia (87,1%), Basilicata (87,8%), Pavia (87,9%), Roma Tre (88%), Sannio (89,1%), Genova (89,1%), Siena (89,4%), Cagliari (89,9%).
Gli atenei di Pisa e del Salento disobbediscono alla meritocrazia. Nel primo caso il 27% dei docenti ha tenuto duro e non ha caricato i “prodotti della ricerca” nel software usato per la “valutazione della qualità della ricerca” (Vqr). Nel caso dell’ateneo di Lecce i numeri sono ancora più elevati: il 30%.
Non è una fotografia dettagliata della prima protesta contro la valutazione della ricerca (Vqr) e il blocco degli stipendi dei docenti, ma dai dati diffusi dall’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur) emerge una realtà interessante. Nonostante le minacce ventilate, il timore di danneggiare il proprio dipartimento nella distribuzione delle risorse realizzata in base alla valutazione del triennio accademico 2011-2014, i caricamenti forzosi dei “prodotti della ricerca”, sono diversi gli atenei – anche di peso – dove la protesta si è mantenuta al di sopra della soglia psicologica del 10 per cento: Napoli Parthenope (73,7%),Reggio Calabria (82,7%), Catania (85,8%), L’Aquila (86,3%), Urbino, Roma Sapienza (86,4%), Brescia (87,1%), Basilicata (87,8%), Pavia (87,9%), Roma Tre (88%), Sannio (89,1%), Genova (89,1%), Siena (89,4%), Cagliari (89,9%), Salerno (90,3%), Messina (90,5%). Poco sotto Milano Bocconi (91%).
Il 4 marzo scorso uno dei promotori della protesta, il docente torinese Carlo Ferraro, aveva calcolato in 3320 i docenti coinvolti nello sciopero contro la VqR. Si trattava di una stima prudenziale da moltiplicare per 1,5 o per 2, dato che non tutti gli atenei né il ministero dell’università hanno comunicato dati aggiornati e globali. Dopo i dati dell’Anvur, dove si afferma la media nazionale dell’8 per cento (e il 92% delle adesioni sui quasi 50 mila docenti e ricercatori interessati), è probabile che i numeri siano inferiori. L’ultima settimana è stata dura e ha messo in fibrillazione il sistema. Senza le pressioni intervenute è probabile che l’adesione si sarebbe attestata tra il 10 e il 20 per cento a livello nazionale.
Il caso Pisa
Il caso dell’ateneo di Pisa è clamoroso. L’alta percentuale della protesta è la prova di un dibattito intenso: dagli aspiranti rettori ai dottorandi di ricerca. Nei dipartimenti ci sono state anche adesioni all’80 per cento. I quattro aspiranti rettori hanno sostenuto la protesta: Donato Acquaro, Giuseppe Iannaccone, Paolo Mancarella e Marco Tulli. “La VQR e più in generale tutto il processo di valutazione della ricerca e della didattica messo in campo dall’ANVUR a dover essere ripensati e reimpostati – ha scritto ad esempio Mancarella -Nessuno vuole sottrarsi alla valutazione. Ma, visto che la valutazione della ricerca ha comunque ampi margini di approssimazione, che almeno sia basata su criteri semplici e trasparenti! Tutt’altro che semplici sono, invece, quelli proposti dall’ANVUR, peraltro soggetti a una continua revisione, con l’effetto di disorientare il ricercatore sul tipo di prodotti da privilegiare. A questo si sommano la farraginosità del sistema per la scelta dei prodotti, i numerosi e francamente ingiustificabili malfunzionamenti dello stesso e il ritardo nella pubblicazione delle tabelle bibliometriche».
Una delle più prestigiose università italiane è in fondo alla classifica dell’Anvur. Non per demeriti scientifici, ma per una presa di posizione a favore della dignità professionale e una critica al sistema della valutazione che distribuisce i tagli alle università al Sud e riserva quote decrescenti di fondi a pochi atenei di “eccellenza”. Un pericolo denunciato dai dottorandi di ricerca che hanno solidarizzato con i docenti in sciopero: “Salutiamo con favore la protesta di chi si rifiuta di caricare i prodotti della ricerca – ha scritto l’Associazione dei dottorandi di Pisa – Perché consente finalmente di alzare il velo sopra la vera natura del sistema di valutazione e consente a tutto il paese di vedere in quale drammatico stato si trovi il sistema universitario”. Per l’ateneo pisano ora c’è il rischio di ricevere meno fondi e quindi meno assunzioni e dottorati di ricerca. Questa eventualità era stata usata come deterrente contro la protesta. Ora il caso è aperto.
La posizione dell’Anvur
Il ministero dell’università e della ricerca e l’Anvur tengono a dimostrare che la protesta dei docenti è fallita. La percentuale bulgara del 92 per cento a livello nazionale lo dimostra.
“Viste le statistiche relative al conferimento dei prodotti alla VQR 2011-2014, l’ANVUR si complimenta con la comunità accademica italiana – si legge in un comunicato – L’adesione delle università all’esercizio di valutazione permetterà all’Agenzia di procedere con l’esercizio di valutazione e di generare nei tempi dovuti la seconda istantanea dello stato della ricerca italiana. L’università italiana ha così dimostrato di aver compreso pienamente il valore di un esercizio di valutazione che sta coinvolgendo oltre 400 illustri colleghi italiani e stranieri nelle attività degli esperti GEV e quasi 11.000 (a oggi) ricercatori italiani e stranieri che hanno già accettato di svolgere l’attività di revisori peer”.
E tuttavia, considerato il caso di Pisa, la procedura può risultare falsata. Che valore può avere una classifica con Pisa che precipita in fondo per la tenacia dei docenti che si sono sottratti alla valutazione e hanno affermato la rivendicazione sindacale sugli stipendi? I prodotti mancanti peseranno molto sulla procedura di valutazione di un dipartimento con il dieci per cento di astenuti, contro una media nazionale del sette. Alla fine sarà penalizzato non perché scientificamente valga di meno, ma per la maggiore percentuale di astensione.
“La disomogeneità territoriale della protesta rende inservibile la valutazione” affermano i sostenitori della protesta “StopVqr” del magazine online Roars. In un comunicato caustico sostengono, inoltre, “che se il ministero dell’università utilizzerà questa VQR si troverà a distribuire la quota premiale in funzione della non adesione alla protesta, in larga misura correlata alla capacità di coercizione messa localmente in atto dai rettori. Alla luce di questi dati è possibile dire che la VQR è morta”.
Un’idea dell’università
Nello stesso giorno della pubblicazione dei dati Anvur un Gruppo di coordinamento sulle “3 missioni” dell’università (Insegnamento, Ricerca, Democrazia delle opportunità), promosso da alcuni docenti di Tor Vergata, ha rilanciato una petizione in cui si chiedono le dimissioni dei componenti dei Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV), cioè i gruppi di esperti responsabili della valutazione dei prodotti della ricerca inviate da ciascun ricercatore.
“La nostra non è una protesta contro la valutazione in quanto tale, ma contro “questa” valutazione, perché è una delle cause principali della riconfigurazione in atto delle missioni dell’università, che si cerca di nascondere dentro il cavallo di Troia della neutralità e oggettività di algoritmi incomprensibili. Un coordinamento sorto nella speranza che iniziative analoghe possano nascere in altre università italiane e che si arrivi a “fare rete”. StopVQR non è l’impegno di una stagione. È un’idea di università”.
Pubblicato sul Manifesto del 16 marzo 2016
“…. di generare nei tempi dovuti la seconda istantanea dello stato della ricerca italiana ….” ISTANTANEA??? Siccome si tratta di persone superspecializzate di madrelingua italiana, suppongo, che mai mi permetterei di correggere linguisticamente, chiediamo alla Crusca cosa significa “istantanea”. Comunque, per non perdere tempo mentre generano nei tempi dovuti l’istantanea che verrà trasformata in una fotografia dettagliata, per ora potrebbero scattarsi una selfie.
Pisa aveva sicuramente una percentuale di astenuti molto alta. Ma qui a Parma era ancora più alta (oltre il 33%).
La differenza è che la “governance” di Pisa non se la è sentita di adottare il caricameto forzoso delle pubblicazioni, mentre quella di Parma lo ha fatto…
Il problema ora, per analizzare correttamente i dati, è sapere quali università hanno adottato il caricamento forzoso (facendo dunque apparire artificiosamente un numero di astenuti molto basso), e quante invece hanno rispettato la volontà dei docenti che han deciso di astenersi.
Ma dubito che l’ANVUR fornirà questi dati, speriamo lo facciano i Rettori.
Sarebbe già tanto che chi ha adottato il caricamento forzoso lo comunicasse ufficialmente, cosi’ sapremmo quali università han cercato di profittarsi della situazione a danno di quelle che han rispettato la posizione dei docenti in protesta.
Ed in mezzo ci stanno quelle che, pur non avendo operato il caricamento forzoso, hanno “convinto” gli aderenti alla protesta a caricare “spontaneamente” le loro pubblicazioni con pesanti minaccie di ritorsioni o penalizzazioni future…
Quindi dai dati attualmente disponibili non si può concludere che a Pisa i docenti “han tenuto duro” ed a Parma “han mollato”.
Abbiamo tenuto duro anche qui a Parma, è la nostra amministrazione che ha caricato le nostre pubblicazioni senza consenso… Ma almeno non ha cercato di convincerci a mollare!
Chi ha diffidato il rettore a caricare i propri prodotti si è esposto un pochino di più. E’ comunque importante che si conosca il volume di prodotti caricati in modo forzoso. Se la VQR sarà portata a termine in queste condizioni, chi ha firmato la diffida avrà comunque conseguenze, per esempio dovrà uscire dal collegio di dottorato se ne fa parte.
Thor, io avevo diffidato il rettore dal caricare i miei prodotti senza il mio esplicito consenso scritto, quasi un mese prima della scadenza, con una bella PEC in cui lo invitavo a valutare i gravi rischi legali che tale azione poteva procurargli: falso ideologico, abuso d’ufficio, danno erariale, etc…
Il Rettore ha preso tali rischi molto sul serio, si è fatto fare una bella consulenza legale da tre giuristi, dopodochè ha caricato forzosamente le pubblicazioni mie e degli altri 270 docenti (su circa 900) aderenti alla protesta!
Perchè ora dovrei uscire dal collegio di dottorato non lo capisco proprio, perchè mai dovrei avere conseguenze?
E se anche il rettore non avesse operato il caricamento forzoso dei miei prodotti, cosa cambierebbe? E’ LUI che subirà conseguenze legali in base alle scelte che ha fatto, io letteralmente non ho fatto proprio nulla, quindi perchè mai dovrei preoccuparmi di poter subire delle conseguenze?
Secondo me qui un sacco di gente è diventata paranoica, e ha creduto davvero a chi seminava il terrore paventando conseguenze per chi aderiva alla protesta, mentre in realtà gli unici che rischiano il fondoschiena sono i rettori, ed i componenti di CdA e Senati Accademici che non han votato contro alle delibere che hanno autorizzato in molte sedi il caricamento forzoso…
Scusami ma pensavo che il caricamento forzoso venisse fatto in assenza di diffida. La questione del dottorato riguarda coloro che sono riusciti a convincere con diffida il rettore a non caricare. Chi non ha un voto buono-utile (singola persona) non può di fatto fare parte di un collegio di dottorato dove per l’ANVUR si deve fare la somma dei voti per l’accreditamento. Comunque sembra che gli altri rettori seguiranno quello di Parma.