L’Italia è un paese in cui nessuno si fida di nessuno. E la burocrazia fa la sua parte, non fidandosi di quanto dichiarato dei suoi dipendenti. Nel clima di sfiducia imperante, nell Manuale operativo del CNR relativo alla rendicontazione delle spese di missione si legge che “La documentazione da allegare alla richiesta di rimborso missione viene di seguito riportata: carte di imbarco (unico elemento che attesta affettivamente lo svolgimento del viaggio e l’orario reale di partenza del volo); ricevuta del biglietto elettronico”. Dunque da un lato non ci si fida di quanto i dipendenti dichiarano firmando la richiesta di rimborso e, dall’altro, si fonda il controllo burocratico su un presupposto falso: chiunque viaggi ben sa che la carta di imbarco – ormai da un po’ di tempo – viene sempre più spesso stampata dal viaggiatore e quindi non dà alcuna garanzia dell’avvenuto imbarco. Ma c’è di più: il Collegio dei revisori dei conti dell’ente, nel il verbale n. 1465 del 9/7/2014, “evidenzia che con particolare riferimento ai biglietti aerei non è sempre prodotta la carta d’imbarco quale documento comprovante l’avvenuto viaggio …. ed auspica che per l’avvenire la documentazione giustificativa sia integralmente prodotta a norma di legge”.
Dunque anche i revisori dei conti credono alla Befana – ma la situazione vige anche nelle università, dove si continua a chiedere la carta d’imbarco come in passato, indifferenti al mutamento delle situazioni – e sollecitano la produzione di carta a mezzo di carta – con buona pace della tanto promessa burocrazia paperless. Se poi il biglietto di viaggio è elettronico si entra in un girone infernale. Per allietare lo spirito e alleviare le pene del povero ricercatore che deve viaggiare in classe economica anche se va in capo al mondo, e che non è certo che quanto ha anticipato verrà rimborsato perché la sua parola non vale niente di fronte ad una burocrazia ignorante delle cose del mondo, riportiamo di seguito un gustoso apologo, frutto dell’esperienza di un nostro collega.
Redazione di Roars
Un apologo
Missioni e rimborsi: le lezioni scozzesi di Adam Smith
Da qualche mese soltanto quel giovane professore universitario di Sociologia aveva cominciato a studiare la mafia. Erano i primi anni ottanta, e a Catania, dove insegnava, l’argomento era tabù nel discorso pubblico. Vi era la convinzione che si trattasse di un fenomeno relegato alla Sicilia centro-occidentale, frutto di arretratezza economica e sociale, legato al latifondo. Da quei primi studi sembrava però che tale interpretazione fosse infondata. Già allora emergeva inoltre l’idea che la mafia non fosse soltanto un fenomeno della periferia economica e sociale, ma che avesse capacità espansive, ovvero – per dirla con un linguaggio alla moda in quell’epoca – fosse in grado di muoversi dalla periferia verso il centro del sistema economico, politico e sociale. Rimase sorpreso quel giovane docente, ma piacevolmente interessato, quando gli arrivò la proposta di partecipare ad un convegno internazionale sulle isole del Mediterraneo, organizzato dai Dipartimenti di Geografia e di Sociologia dell’Università di Edimburgo. Sorpreso perché non pensava che si sapesse fino alla lontana Scozia del suo oggetto di studio – soltanto in seguito scoprì che si trattava di capitale sociale, cioè di reti di relazioni di conoscenza che attraverso una serie di intermediari in Italia e in Gran Bretagna avevano fatto arrivare il suo nome fino ad Edimburgo; piacevolmente interessato perché era una bella sfida confrontare in un consesso internazionale il suo approccio allo studio della mafia, e ricevere critiche, stimoli e suggerimenti.
Rispose dunque accettando e chiedendo lumi sulle modalità organizzative, sui rimborsi spese e su altri aspetti sui quali sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con i rigidi regolamenti circa le spese per missioni e con l’occhiuta sorveglianza del segretario amministrativo del suo dipartimento. Gli venne risposto che tutte le spese di soggiorno, volo, alloggio, sarebbero state pagate dall’Università di Edimburgo, a condizione che facesse sapere in anticipo il costo del volo, in modo da consentire al dipartimento di deliberare la spesa. Così fece e gli venne data conferma che poteva procedere. Compilò il modulo per la missione, dato che le regole per i dipendenti pubblici richiedono di motivarne le ragioni specificando che sarebbe stata senza oneri per il proprio dipartimento di appartenenza, perché rimborsata da altro ente. Lo fece con una certa insofferenza, poiché già allora non sopportava gli inutili appesantimenti burocratici che gravavano sui docenti. Senza sapere come nel corso degli anni la situazione sarebbe diventata ben peggiore.
Partì per Edimburgo, comprando un biglietto che nel frattempo era diminuito di prezzo rispetto al preventivo inviato a suo tempo, e già pensava alle complicazioni che questo avrebbe comportato per il rimborso. Fece la relazione nel pomeriggio del primo giorno, e gli venne chiesto anche di tenere una lezione sulla mafia il giorno successivo agli studenti dei corsi di sociologia e geografia. I suoi contributi furono apprezzati e in seguito un articolo venne pubblicato sul British Journal of Sociology. Esauriti gli impegni, ma non il convegno, il direttore del dipartimento lo accompagnò dal segretario amministrativo per il rimborso del biglietto aereo, che avvenne in contanti. Il giovane professore si fece scrupolo di dire che il biglietto era costato meno del preventivo a suo tempo inviato, e in ogni modo che aveva con sé il biglietto e se ne poteva fare una fotocopia, in attesa di inviarlo quando sarebbe rientrato in sede. Vide la sorpresa disegnarsi sul volto dei suoi interlocutori. Il segretario amministrativo disse: “Il dipartimento ha deliberato la spesa corrispondente al preventivo che lei ci ha inviato perché l’ha ritenuto congruo. Se le fosse costato di più non le avremmo rimborsato la differenza, così come se le è costato di meno non le rimborsiamo una cifra minore. E perché poi vuole fare una fotocopia e inviarlo, sprecando carta e denaro?” Cercò di spiegare che quelle erano le procedure amministrative in Italia ma a quel punto intervenne il direttore del dipartimento e chiese: “Ma perché lei deve consegnare il biglietto in dipartimento?” “Per evitare ch’io cada in tentazione e, avendo a disposizione un documento di spesa, possa farmelo rimborsare una seconda volta da un altro ente, frodando in tal modo l’erario”, rispose il giovane professore. “Ah!” osservò il direttore, “Chi si comportasse così sarebbe uno sciocco, perché rovinerebbe la propria reputazione per pochi denari! Le pare che uno dei nostri docenti, studiosi rispettabili selezionati con cura dal nostro dipartimento, abbia un qualche interesse a comportarsi in tal modo? Se commettesse una frode sarebbe subito scoperto e condannato, e se fosse soltanto tentato di farlo, beh, non rientra nei nostri compiti farci carico dei problemi morali dei docenti!
Fu allora che il giovane professore si ricordò che Adam Smith, uno degli esponenti della scuola scozzese di filosofia, fondatore dell’economia moderna come scienza, aveva insegnato per lunghi anni filosofia morale all’Università di Edimburgo. E Smith, nel cercare le basi dei rapporti economici tra gli uomini ne aveva individuato il fondamento nella reciproca fiducia come garanzia degli scambi. Aveva così portato a conclusione quel processo, durato svariati secoli, alla fine del quale gli interessi avevano sostituito le passioni come moventi delle azioni umane. Al contempo aveva legato il perseguimento dell’interesse al riconoscimento sociale, e ne aveva dato una giustificazione etica. Cosa significa in fondo la famosa affermazione di non aspettarsi che il macellaio venda carne di buona qualità per benevolenza nei confronti dei clienti, ma che lo faccia solo per interesse? Significa che chi svolge un’attività economica ha interesse a far sì che la gente lo reputi una persona affidabile, da cui comprare senza timore di essere ingannati. Insomma si tratta del perseguimento di una buona reputazione. E sulla reciproca buona reputazione è fondata la fiducia come collante dei rapporti economici e sociali.
Nella Palermo degli anni ’80 l’anziano capomafia si avvicina al giovane figlio Totuccio. “Il mondo è fatto di’nfami, – gli disse- e più infami tra gli infami sono quelli che ti stanno vicini: i parenti, gli amici più stretti, sono loro a tradirti. Guardati da loro!”. Ma il giovane Totuccio non ha il tempo di seguire il saggio consiglio paterno; dopo pochi giorni rimane ucciso nel corso di una faida tra cosche.
Il mondo in cui vive il giovane Totuccio è completamente differente da quello descritto da Smith. Si tratta di una visione del tutto contrapposta, in base alla quale sarebbe nell’interesse dell’individuo frodare, non comportarsi correttamente. Come nel più classico dei casi di profezia che si autoavvera, la fiducia si nutre di fiducia, e cresce con la fiducia, e dunque la maggioranza delle persone, se è inserita in una società di questo tipo svilupperà comportamenti conformi. Per contrastare le poche eccezioni saranno necessari sì dei controlli, delle norme, delle previsioni di legge e dei regolamenti, ma non pletorici, bensì semplici, essenziali, rigorosi ed efficaci. Le assunzioni di responsabilità delle decisioni saranno sostanziali, cioè non trincerate dietro formalismi di facciata. Nel secondo tipo di società invece vi sarà mancanza di fiducia, sospetto nelle relazioni sociali, pletore di controlli inefficaci, lentezza della macchina burocratica e amministrativa. Ciò, a sua volta, a differenza del circolo virtuoso della prima ipotesi, alimenterà ulteriormente la sfiducia e il sospetto nei comportamenti individuali.
Quel giovane professore si chiese allora se e quanto questa spiegazione fosse valida. Sul volo di ritorno gli venne in mente un altro episodio accaduto in Scozia qualche anno prima. Si trovava in vacanza nelle Highlands ed era andato a trascorrere qualche giorno sull’isola di Skye, nelle Ebridi. Da lì era partito una mattina in bus per Glasgow, un viaggio lungo quasi l’intera giornata, e costoso per le sue tasche da squattrinato. Comprato il biglietto, il bus si imbarca sul traghetto e sbarca sulla terraferma, dove avviene il cambio di autista, che sale a bordo per il controllo. Si accorse allora di non avere con se il prezioso biglietto costato più di 25 sterline, e cominciò affannosamente a cercarlo. Il controllore, esaurito il controllo, si sistemò al posto di guida, non senza avergli chiesto se l’avesse trovato, e alla risposta negativa gli disse: “Keep looking”, ma non quando il bus è in movimento, aggiunse, avendolo visto quasi scomparire sotto il sedile. E gli chiese ulteriormente dove avesse comprato il biglietto e se qualcuno l’avesse visto mentre lo acquistava. Per fortuna una ragazza e un ragazzo testimoniarono di averlo visto comprare il biglietto e pagarne il prezzo, alla biglietteria di Skye, a John, che quella mattina era di servizio. “Anche se non trova il biglietto potrà continuare a viaggiare, -disse l’autista- ma alla sosta lunga di Fort William dovrà parlare con l’ispettore della compagnia di bus, portando i suoi testimoni”. Così fece, e i testimoni confermarono che aveva comprato il biglietto e l’ispettore disse di aver telefonato a Skye e di aver avuto conferma da John che un signore con gli occhiali con l’aspetto di un quarantenne, e certamente non britannico, aveva comprato un biglietto per Glasgow. Tutto ciò era sufficiente perché potesse proseguire il viaggio. Chiese il viaggiatore se poteva rilasciargli un biglietto in sostituzione di quello smarrito, per evitare di dover spiegare ogni volta ai controlli cosa fosse accaduto. “Non è necessario” – rispose l’ispettore – “quando salgono gli autisti dica che ha parlato con l’ispettore di Fort William che l’ha autorizzata a viaggiare senza biglietto perché l’ha perso”.
La fiducia è davvero un fluidificante dei rapporti sociali, pensò il giovane professore, che, come si sarà capito, aveva il vizio di mettere tutto sul teorico, mentre sbarcava a Catania. L’indomani si recò in dipartimento, compilò il modulo di fine missione, allegò il biglietto in originale per documentare di essere stato veramente ad Edimburgo, e con aria soddisfatta e animo appagato si recò a consegnare il tutto al segretario amministrativo. In fondo riteneva di aver fatto ulteriori passi avanti nella spiegazione del fenomeno mafioso. Il ragioniere guardò i documenti, lo gelò con lo sguardo e disse: “Vuole mettermi nei guai? Come può affermare che la missione è senza oneri ed è stata rimborsata da altro ente se mi consegna il biglietto in originale? Fotocopia professore, fotocopia, altrimenti passiamo i guai. E dopo distrugga il biglietto, non si sa mai, può sempre venire qualche tentazione, sa quante ne ho viste?” Gli venne un improvviso desiderio di tornare in Scozia – se solo quella compagnia di bus avesse avuto una linea in partenza da Catania.
A me pare che l’articolo mescoli profili diversi e tutti molto interessanti sullo stato del sistema Italia (nel suo complesso e dunque anche della sua Università), come si vede dal numero dei commenti, che ne aggiungono di ulteriori.
Il punto principale, a mio avviso, è che vi è un eccesso di burocrazia nel sistema dei rimborsi missione e che questo sia dimostrato dalla anacronistica richiesta della carta d’imbarco è assolutamente corretto. Come infatti dimostrato da uno dei commenti di Lilla, oggi quel requisito – semmai fosse stato fondato in altri tempi, quando la carta d’imbarco poteva rappresentare con notevole probabilità l’effettivo utilizzo del mezzo aereo – appare ormai superato non solo dalla possibilità di auto-ristampa infinita del documento elettronico, ma anche dalla possibilità di annullarlo ex post.
Ma il discorso non vale per la prova del biglietto in originale come documento di spesa (richiamato nell’ulteriore articolo dello steso Catanzaro). Se esso è pagato dall’istituzione ospitante il consegnare l’originale è una misura precauzionaleper evitare possibili “riutilizzi” indebiti, tanto più difficili da scoprire quanto più le due istituzioni alle quali lo si presenta (indebitamente) per ottenere un doppio rimborso siano reciprocamente “lontane” (massimamente dunque siano di stati diversi).
Certo ricorrere a tali pratiche – se accertate – rientra nel penalmente rilevante, oltre che (o forse anche per questo) fa perdere la “fiducia” della comunità accademica. Ma che ci siano misure volte a creare barriere all’auto-limitazione nei comportamenti è una parte importante di quell’ opera di prevenzione della corruzione (in senso lato) che è indispensabile per un efficace contrasto al fenomeno.
Snelliamo dunque e rendiamo aggiornate le misure di controllo richieste, ma non dimentichiamo che in tutti i settori in cui circola denaro pubblico una corretta prevenzione degli abusi richiede formalizzazioni inevitabili, in particolare non sostituibili dal semplice affidarsi alla reputazione sociale del proprio nome.