Gli studenti e le studentesse della Statale di Milano, in mobilitazione contro il numero chiuso in tutti i corsi di laurea di Studi Umanistici, hanno scritto una lettera aperta alla Ministra e alla cittadinanza per spiegare le loro ragioni e invitare a prendere parte alla mobilitazione per un’università aperta a tutti e a tutte.  Secondo gli studenti, il motivo per cui il tema del numero chiuso è emerso in maniera tanto emergenziale da spingere il Rettore Vago a contraddire le decisioni prese dai dipartimenti, è il decreto AVA 2.0. Diversi corsi di studio rischiano, a causa dell’aumento delle iscrizioni, di sforare il rapporto massimo docenti/studenti richiesto da AVA e di perdere così l’accreditamento. La Facoltà di Studi Umanistici della Statale è una delle poche in cui le immatricolazioni sono in crescita, ma l’aumento del numero degli studenti viene rappresentato come un problema da risolvere nonostante l’Italia abbia una percentuale di laureati di molto inferiore alla media europea. Le contraddizioni interne a questo sistema sembrano allora emergere tutte insieme. La più macroscopica riguarda la natura stessa dell’università statale come servizio pubblico. 

 

LETTERA APERTA ALLA MINISTRA FEDELI E ALLA CITTADINANZA TUTTA

degli studenti e delle studentesse della Statale in mobilitazione.

Poche settimane fa ci è giunta voce che nel Comitato di Direzione di Facoltà del 28 aprile si sarebbe discusso di numero programmato. Prima di allora il tema non era stato mai sollevato se non per assicurare agli studenti che non vi era nessuna volontà di introdurlo.

Dopo il Comitato di Direzione, durante il quale sono stati presentati con toni emergenziali i dati sulle immatricolazioni, i Consigli di Dipartimento e i Collegi Didattici sono stati invitati a riunirsi in tutta fretta. In ciascuno di essi, tuttavia – con la sola eccezione di Lingue e letterature straniere – all’opzione del numero programmato si è preferita quella dei test di autovalutazione non selettivi. Questo sia per ragioni di merito – una forte opposizione degli studenti e di numerosi docenti – sia per ragioni di metodo, perché una simile risoluzione, caratterizzata da numerose implicazioni, sia sul piano politico che sul piano pratico, necessita quantomeno di una lunga e profonda riflessione, per la quale vi erano e vi sono i tempi.

Tuttavia, ignorando la decisione presa dai dipartimenti, durante la Commissione didattica del 9 maggio, il Rettore ha annunciato che nella riunione del Senato Accademico del 16 maggio si sarebbe votato l’inserimento del numero programmato in tutti i corsi di laurea di Studi Umanistici. Sono seguite numerose manifestazioni di protesta condivise dagli studenti e da numerosi docenti: lezioni e seminari all’aperto ed infine, in concomitanza con la seduta del Senato, un presidio partecipatissimo che ha chiesto al Rettore ed al Senato di non deliberare per l’introduzione del numero programmato. Essendo risultato che l’amministrazione intendeva procedere per la propria strada senza considerare la possibilità di un rinvio, gli studenti sono entrati in maniera del tutto pacifica in Senato per portare le proprie ragioni. Neanche allora tuttavia siamo stati ascoltati, poiché il Rettore, sospesa la seduta, ha abbandonato immediatamente l’aula. Il Senato Accademico sarà riconvocato il 23 maggio per deliberare sul medesimo tema, senza che nulla sia apparentemente cambiato nelle intenzioni del Rettore.

Se lo scavalcamento dei Collegi costituisce di per sé un fatto assai grave, è tuttavia evidente che il problema non si ferma qui, e che non nasce né muore nella Facoltà di Studi Umanistici della Statale di Milano. Il motivo per cui il tema del numero programmato è emerso in maniera tanto repentina e con un tono tanto emergenziale è noto: si tratta del decreto AVA 2.0.

Diversi corsi di studio della nostra Facoltà, infatti, rischiano, a causa dell’aumento delle iscrizioni, di sforare, nel prossimo anno accademico, il rapporto massimo docenti/studenti previsto per legge e di perdere così l’accreditamento. Non è certo insensato richiedere che vi sia, in un corso di laurea, un numero di docenti sufficiente a garantire la qualità dell’insegnamento a tutti gli iscritti. Tuttavia lo diviene, nel momento in cui a causare la riduzione di un terzo dei docenti e l’assenza di una efficace politica di reclutamento sono stati il definanziamento in cui da tempo versa l’università pubblica ed il blocco del turn-over. La Facoltà di Studi Umanistici della Statale è una delle poche in cui le immatricolazioni sono in crescita, ma l’aumento del numero degli studenti viene sempre rappresentato come un problema da risolvere nonostante l’Italia abbia una percentuale di laureati di molto inferiore alla media europea. Le contraddizioni interne a questo sistema sembrano allora emergere tutte insieme. La più macroscopica riguarda la natura stessa dell’università statale come servizio pubblico: in quanto tale essa dovrebbe potenzialmente consentire l’istruzione superiore a tutti. Tuttavia la cronica mancanza dei fondi costringe gli Atenei a contingentare sempre di più il numero degli studenti. Ma se sono le risorse che si intendono investire a determinare il numero degli studenti, e non viceversa, allora cos’è l’università? Un servizio pubblico o una voce di spesa da limitare il più possibile?

Risulta evidente da tutto questo che una sola soluzione generale è possibile: il rifinanziamento dell’università ed una ristrutturazione dei meccanismi di finanziamento affinché le risorse siano commisurate alle necessità degli Atenei, un piano straordinario di reclutamento, che permetta di coprire il reale fabbisogno e di stabilizzare tanti precari della ricerca, un’adeguata programmazione ordinaria del reclutamento per il futuro.

Noi le scriviamo per far sentire più forte la nostra voce e per chiedere un’inversione di rotta delle attuali politiche universitarie perché nessun corso sia costretto ad imporsi, o a trovarsi imposto, un limite agli accessi per mancanza di risorse: questo rappresenta infatti il fallimento dell’università pubblica. La mobilitazione contro il numero chiuso a Studi Umanistici non si fermerà. Invitiamo tutte le altre Facoltà, tutti gli altri Atenei e tutti i cittadini a sostenerci e ad aderire alla nostra protesta.

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3 Commenti

  1. Fanno benissimo a protestare. Siamo nel delirio più puro: se aumentare gli studenti fa perdere accreditamento, se la soluzione più ovvia sarebbe assumere docenti ma non si attua, allora siamo in presenza di un piano per sbarrare l’accesso all’istruzione superiore.
    Nel caso a qualcuno non fosse ancora abbastanza chiaro.

  2. Puo’ essere una forte spinta a favore dei Ricercatori a tempo indeterminato con ASN.
    Arruolarli come Professori Associati costa molto molto meno (persino nulla), rispetto ai nuovi Ricercatori B, anche in termini di punti organico.
    Inoltre consente di acquisire “subito”, non dopo tre anni, 120 ore da mettere sul piatto della didattica erogata.

  3. A ben guardare si potrebbe dire che il Miur, con il suo braccio armato Anvur, constatato che abbiamo mancato il premio maglia nera per l’ultima posizione nella % di laureati (siamo soltanto penultimi), si è subito rimboccato le maniche per centrarlo il prossimo anno, abbassando drasticamente i numeri all’ingresso con la generalizzazione del numero chiuso.
    Il prof. Cassola attribuisce la abnorme dispersione proprio all’eccesso di studenti rispetto ai docenti disponibili. Quindi dà ragione ad AVA2.
    In realtà sorge anche un retropensiero: sono anni che il Miur spinge per la didattica on-line.
    Non starà pensando a hub regionali produttori di didattica on-line, supportati da un esercito di tutor (precari ovviamente) per esercitazioni ed esami sempre rigorosamente on-line?
    Con tanti saluti alla qualità, parolina magica invocata dai sostenitori del numero chiuso.
    Mentre i nostri giovani laureati sono risucchiati dal mondo globale, proprio in virtù dell’alta preparazione ricevuta nell’Università italiana,
    i giovani italiani sono affamati di cultura e l’hanno già dimostrato con i disordini di Bologna.
    Non possono lavorare e non possono neanche studiare?
    Allora ce li troveremo in piazza.

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