Sul sito della Fondazione RES è stato pubblicato un Working Paper dedicato a “Meriti” e “bisogni” nel finanziamento del sistema universitario italiano . Il testo può essere scaricato a questo LINK.
Riproduciamo di seguito l’executive summary del testo.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare le decisioni e le regole che hanno determinato tanto l’ammontare del finanziamento del sistema universitario nazionale quanto i criteri di allocazione fra le singole sedi universitarie; nell’ultimo ventennio, ma con un’attenzione particolare agli anni successivi al 2008, anni nei quali si sono registrati notevoli cambiamenti. Al tempo stesso si intende valutare – almeno in parte – l’impatto di queste regole. In particolare si cercherà di discutere se e in che misura tali regole rispondano effettivamente a criteri che premiano il “merito” dei soggetti coinvolti e quanto siano in grado di soddisfare il notevole “bisogno” di istruzione terziaria nel nostro paese.
Il lavoro è organizzato come segue.
La prima parte è dedicata ad una illustrazione critica dell’evoluzione del quadro normativo. Nel paragrafo 2 viene descritta la genesi, nel 1993, del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle università, e viene sottolineato come, sin dalla sua nascita, i criteri attraverso i quali il fondo viene chiamato ad operare si caratterizzino per alcune significative incoerenze. Il paragrafo 3 ripercorre la storia del FFO fino al 2010, portando in particolare l’attenzione sui diversi tentativi di modificarne i criteri per far fronte a squilibri di finanziamento all’interno del sistema che erano allora già visibili. Il paragrafo 4 è dedicato all’illustrazione dei provvedimenti (legge 240/2010) che prendono il nome dall’allora Ministro Gelmini, destinati ad incidere profondamente sul sistema universitario italiano e a determinare l’avvio dell’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e delle Ricerca (ANVUR). Dell’attuazione della legge 240 si dà conto nel paragrafo 5, ed in particolare dei criteri che vengono via via introdotti per la valutazione del “merito” nel sistema universitario e per l’allocazione della quota “premiale” via via crescente, del FFO. Il
successivo paragrafo 6 è invece dedicato all’esercizio di valutazione della ricerca (VQR 2004-10) che è stato realizzato dall’ANVUR e che ha inciso in maniera ampia e crescente sui meccanismi di finanziamento delle università, mettendone in luce le non poche criticità. Il paragrafo 7 è dedicato agli sviluppi più recenti, ed in particolare all’introduzione, a partire dall’assegnazione FFO per il 2014, del cosiddetto “costo standard”.
La seconda parte del lavoro è invece dedicata all’analisi dei cambiamenti nei flussi di finanziamento del sistema universitario. In particolare il paragrafo 8 dà conto della fortissima riduzione del FFO che è avvenuta a partire dal 2008, nell’ambito di un processo che ha portato la quota di risorse provenienti dal Ministero per l’Università e la Ricerca (MIUR), rispetto alle entrate del sistema universitario, a ridursi sensibilmente. Il paragrafo 9 mostra gli effetti allocativi fra atenei dell’insieme di queste disposizioni, in particolare attraverso la semplice comparazione del FFO del 2008 con quello del 2014. Il paragrafo 10 si occupa dell’introduzione del costo standard nell’ambito del FFO, mostrando, in base ai criteri con i quali gli indicatori sono costruiti, i forti effetti allocativi all’interno del sistema. Il paragrafo 11 è invece dedicato a mostrare gli effetti dei provvedimenti di limitazione del turnover e dei nuovi parametri di valutazione finanziaria sulla dimensione e sulla composizione del corpo docente delle università italiane. Il paragrafo 12 chiude il lavoro con alcune considerazioni d’insieme.
Le principali conclusioni cui si giunge sono le seguenti. Sin dalla nascita, il Fondo di Finanziamento Ordinario delle università (FFO) presenta alcune contraddizioni di fondo: esso consolida, infatti, lo status quo, attraverso la definizione della cosiddetta “quota storica” e si presenta come veicolo di finanziamento omnibus all’interno del quale fare ricadere sia il funzionamento sia le allocazioni premiali connesse alle politiche di
valutazione della ricerca, ponendo le premesse per una perniciosa mescolanza di ambiti fra loro assai diversi. Fra il 1993 e il 2010 la composizione dell’FFO subisce mutamenti anche significativi, articolati su di una linea evolutiva centrata sul tentativo di introdurre
dinamiche “virtuose” anche di carattere competitivo e di sterilizzare gli squilibri determinati dalla “quota storica”. In questo quadro sono elaborati diversi modelli di allocazione, che tuttavia non sfuggono al problema dell’assimilazione, in un unico contenitore, di aspetti fra loro assai eterogenei. L’avvio delle politiche di riduzione della spesa pubblica, che interessano pesantemente anche il comparto dell’università e della
ricerca, porta rapidamente il sistema in uno stato di crisi conclamata. La “Riforma Gelmini”, nata – nelle intenzioni dichiarate dal legislatore – per assicurare una buona autonomia universitaria, si traduce in realtà in un provvedimento per molti profili iperregolante e centralizzatore. La nascita dell’Agenzia Nazionale di Valutazione (destinata ad avere un ruolo determinante, in modo sia diretto che indiretto, per quel che concerne il finanziamento del sistema) comporta di fatto uno svuotamento delle responsabilità e del ruolo di indirizzo politico del Ministero; contribuendo così ad accentuare, almeno per certi versi, la crisi del sistema.
Nell’enorme mole dei provvedimenti attuativi della l. 240/2010, si ritrovano disposizioni di notevole importanza ai fini del finanziamento del sistema: spiccano in particolare le regole relative ad AVA (sistema di autovalutazione e accreditamento) e VQR (valutazione della qualità della ricerca); ad esse si aggiungono la previsione del ricorso al criterio del costo standard per studente e la valutazione ex post del reclutamento, quest’ultima destinata – almeno in prima battuta – a confluire all’interno della VQR. Con la messa a regime dell’ANVUR e l’avvio dell’esercizio di valutazione nazionale (VQR), i risultati della valutazione iniziano ad avere un impatto significativo (e crescente nel tempo) sull’allocazione dell’FFO. Tuttavia, le modalità con le quali l’esercizio è stato costruito – imitando, ma con importanti differenze il RAE/REF del Regno Unito – lasciano spazio ad alcuni dubbi: riguardano sia l’adozione di automatismi che si traducono in una deresponsabilizzazione del decisore politico, sia la scelta di adottare soluzioni tecniche non sufficientemente robuste, distanziandosi significativamente dai modelli di riferimento ai quali ci si era voluti richiamare. Con l’FFO 2014 si giunge a un momento di svolta: sembra che si sia scelto una volta per tutte la strada del superamento della “quota storica”. Una scelta per più versi condivisibile, viste le distorsioni e gli evidenti squilibri che essa determinava. Tale superamento passa attraverso il criterio del costo standard per studente, finalmente definito. Al contempo è innalzata la quota “premiale” assegnata sulla base degli
esiti della valutazione. Si tratta di scelte politiche che devono tuttavia essere accompagnate da un accorto monitoraggio degli effetti e da opportune clausole di salvaguardia, per evitare di generare – ancora una volta – nuove e pericolose situazioni di squilibrio.
Il mutamento delle normative e le scelte operate nel corso degli ultimi anni hanno avuto effetti profondi nel finanziamento delle università. Sul totale del finanziamento degli atenei è notevolmente diminuito il peso del MIUR (e in particolare dell’FFO), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi; già questo ha prodotto un significativo impatto territoriale. L’FFO è notevolmente diminuito fino a raggiungere nel 2013, in valori reali, i livelli di metà anni Novanta. L’aumento del peso della quota premiale, i variabili indicatori su cui essa è costruita e il peso nettamente prevalente (rispetto alla didattica e alla “terza missione”) ricoperto dalla valutazione della ricerca,
riveniente dalla VQR, hanno avuto un impatto molto profondo sull’allocazione dell’FFO fra Atenei. Posto che i criteri “premiali” hanno principalmente determinato solo una diversa modulazione dei tagli imposti dalle scelte complessive di finanziamento, essi hanno agito
in maniera assai asimmetrica, penalizzando in particolare i grandi atenei del Centro-Sud (e in generale più i grandi che i piccoli e più il Centro-Sud del Nord). La riduzione dell’FFO, comparando il 2014 con il 2008 ha toccato in valore assoluto gli 83 milioni per la Sapienza
di Roma e in termini percentuali il 19% per l’Università di Messina.
L’introduzione del costo standard nel 2014 produrrà un ulteriore forte shock al sistema. In primo luogo, dato che si è deciso di calcolarlo sui soli studenti “in corso” determina un forte effetto asimmetrico tra atenei a seconda dei tempi medi per il conseguimento della laurea: tempi che dipendono solo in parte dalla “virtù” degli atenei e che sono anche legati a diverse condizioni di contesto. L’effetto è ancora una volta di “punire” gli atenei del Centro-Sud e in certa misura i grandi atenei. Il metodo va attentamente valutato, perché può produrre pericolosi fenomeni di azzardo morale, può determinare (attraverso l’aumento della tassazione per i fuori corso) una riduzione del numero dei laureati, e creare
comunque un ulteriore forte shock per diversi atenei, con contrazioni ulteriori dell’FFO che possono raggiungere il 25%. I nuovi criteri di allocazione delle risorse fra università hanno avuto un importante impatto anche sul corpo accademico, ed in particolare sul reclutamento dei nuovi docenti. Le possibilità di sostituzione dei docenti usciti dal servizio vengono infatti a dipendere da complicate e mutevoli variabili di natura finanziaria – premiando fra l’altro un elevato livello di tassazione degli studenti – con il risultato di amplificare gli effetti mostrati in precedenza. Così il turnover negli atenei italiani, complessivamente modesto, è stato fortemente asimmetrico fra sedi, con percentuali comprese fra oltre il 100% e il 10% circa, nell’ultimo triennio.
Si sta determinando, quindi, un forte effetto delle diverse disposizioni normative, che tendono ad agire tutte nello stesso
senso e a rafforzarsi cumulativamente.
In conclusione, sembra opportuno un complessivo ripensamento del sistema oggi in vigore, alla luce delle rilevanti criticità che sono state messe in luce. Andrebbe valutato in particolare un sistema alternativo, che potrebbe distinguere il finanziamento ordinario dalle allocazioni competitive per la ricerca, che potrebbero a loro volta essere basate su esercizi di valutazione o più semplicemente su bandi competitivi o ancora, su di una combinazione opportunamente ponderata dei due sistemi. Senza un complessivo ripensamento, nel giro di pochissimi anni si produrrà una radicale trasformazione del sistema universitario italiano, per effetto di indirizzi politici molto forti e altrettanto discutibili, ma mai resi chiaramente espliciti.
Leggi il paper a questo LINK.