Il presidente del Senato leader di Liberi e Uguali Pietro Grasso ha proposto: “Aboliamo le tasse universitarie a misura costa 1,6 miliardi: è un decimo dei 16 miliardi che ci costa lo spreco di sussidi dannosi all’ambiente, secondo i dati del ministero. Avere un’università gratuita significa credere davvero nei giovani e rendere l’Italia più competitiva”. Secondo l’ex Ministro Vincenzo Visco di LeU “…da noi sono così basse che non è che abolendole succeda molto. È un segnale importante ma è chiaro che è un tema marginale”, mentre secondo il renziano Marattin “Quella che sembra una proposta di sinistra, è in realtà una proposta di destra.” Insomma abolire le tasse universitarie è di destra o di sinistra? Misura marginale o centrale? Per rispondere passiamo in rassegna qualche dato di fatto.
Punto 1: le tasse universitarie Italia (media 1500 euro/anno) sono le più alte in Europa dopo Regno Unito (9000 euro/anno) e Olanda (2000 euro/anno). In Germania e nei paesi scandinavi non ci sono tasse e in Francia ammontano a 200 euro/anno. Il modello zero-tasse per l’università è dunque relativamente comune in Europa e la proposta di azzeramento può scandalizzare solo chi non conosce le comparazioni internazionali.
Punto 2: In Italia le entrate degli atenei per tasse universitarie sono raddoppiate dal 2000: se nel 2000 rappresentavano il 16% del finanziamento statale (fondo di finanziamento ordinario) degli atenei, nel 2014 hanno raggiunto il 26%.
Punto 3: In Italia solo nove studenti su 100 ricevono una borsa di studio mentre in Spagna il 30%, in Francia il 39% per arrivare al 72% della Finlandia.
Punto 4: nel 2016, tra i 25 e 64enni, il 18% aveva una laurea mentre la media europea è del 33%. Tra i 25-34enni il 26% aveva una laurea mentre la media europea è del 40%.
Punto 5: Mentre in tutti i paesi Ocse si aumentavano gli investimenti in istruzione e ricerca negli anni della crisi, l’Italia ha tagliato 9 miliardi di euro ai bilanci di scuola e università. Secondo l’Ocse l’Italia, con il suo -17%, è la nazione che ha tagliato più di ogni altra la spesa pubblica destinata all’istruzione.
Punto 6 Se le tasse universitarie fossero finanziate interamente attraverso l’IRPEF (cioè una delle voci della fiscalità generale) sposterebbero le risorse dai “ricchi” ai “poveri”, e non viceversa come qualcuno sostiene.
Punto 7 In alcuni casi le critiche suggeriscono che così i ricchi dovrebbero pagare di più per i servizi, a partire dall’università, in quanto facendo leva esclusivamente sulla fiscalità generale i poveri finiscono per pagare l’università ai ricchi. In realtà anche qualora privo di fruizione diretta il contributo tramite la fiscalità generale è del tutto corretto e sensato: il concetto stesso di bene pubblico richiede che tutti contribuiscano all’istruzione, alla sicurezza o alla sanità pubblica anche quando non ne fruiscono direttamente, perché così facendo contribuiscono al benessere collettivo e si assicurano il proprio diritto a goderne.
Rendere l’istruzione universitaria tendenzialmente gratuita, iniziando con l’abbassare le tasse universitarie e facendole diventare più progressive con il reddito familiare è sicuramente una misura importante e di sinistra (con buona pace di Marattin), centrale per il ruolo di volano sociale che dovrebbe svolgere l’università (con buona pace di Visco) e che va nella direzione di dare più opportunità a tutti e invertire la rotta del decadimento culturale e tecnologico del paese: la gratuità dell’istruzione è un valore di civiltà poiché chi studia arricchisce la società ed è giusto che il costo sia a carico della fiscalità generale. Abbassare le tasse universitarie, le terze più alte d’Europa, nel paese con il minor numero di laureati per fascia età è dunque urgente; eliminarle per i redditi bassi è anche una misura giusta e di equità sociale; eliminarle per i redditi alti, ad aliquote fiscali invariate, è invece una misura che deve essere calibrata in maniera tale da non rivelarsi regressiva.
Dietro il problema delle tasse universitarie c’è un problema più generale riguardante la fiscalità. Come abbiamo scritto nel programma del Brancaccio
“Un’enorme quantità di ricchezza si è spostata, negli ultimi anni, dal basso verso l’alto. Luciano Gallino ne ha calcolato l’ammontare in 240 miliardi di euro. Nel 1973, quando venne istituita l’Irpef, erano previsti trentadue scaglioni, l’aliquota più bassa era fissata al 10%, quella più alta al 72%. Oggi gli scaglioni sono scesi a cinque; l’aliquota più bassa è salita al 23%, quella più alta è scesa al 43%. Si sono alzate le tasse ai poveri per abbassarle ai ricchi. Il risultato è stato l’impoverimento non solo degli strati più indigenti della popolazione, ma anche della classe media, sempre più “schiacciata” verso il basso. Ridurre le tasse indiscriminatamente è sbagliato: vanno ridotte a chi ne paga troppe; vanno aumentate a chi ne paga poche.”
Inoltre, per azzerare le tasse servono circa due miliardi, una cifra dello stesso ordine di quella necessaria per rimettere in carreggiata il sistema universitario dopo i tagli degli anni passati: basti pensare al problema dei precari, del reclutamento, del finanziamento della ricerca di base, delle borse di studio, ecc. Una forte riduzione delle tasse con un aumento della progressività è dunque possibile e auspicabile da subito ma la misura va formulata tenendo conto del quadro generale.
(Una versione più breve di questo articolo è apparsa su Left)
Sono assolutamente d’accordo sul fatto che questo provvedimento va inserito in due progetti più ampi: economico, con raccolta e ridistribuzione di beni/denaro verso chi ha più bisogno di finanziamenti per crescere (personalmente ritengo che lo Stato dovrebbe re-investire su sanità, istruzione, lavoro), culturale, con finanziamento di meritevoli svantaggiati (il sistema delle borse di studio va ristudiato e reso operativo: individuati i casi seguiti per tutto il percorso, escludendo chi è in condizioni di pagare per libri e tasse)
Io invece no, non sono d’accordo ed ho più la sensazione che si tratti dell’ennesima promessa-spot di questa poco edificante fase pre-elettorale.
Penso che sarebbe un’ottima idea non solo ridurre significativamente le tasse ma anche moltiplicare gli esoneri e le borse per i giovani che appartengono a famiglie a basso reddito.
Ma applicare lo stesso intervento a chi abbia un reddito più che adeguato non mi convince per nulla. Il tutto poi dovrebbe essere non LA misura ma UNA delle misure per far uscire l’Università dalla ristrettezza delle risorse disponibili e dalle difficoltà che negli ultimi dieci anni l’hanno caratterizzata.
“Inoltre, per azzerare le tasse servono circa due miliardi, una cifra dello stesso ordine di quella necessaria per rimettere in carreggiata il sistema universitario dopo i tagli degli anni passati: basti pensare al problema dei precari, del reclutamento, del finanziamento della ricerca di base, delle borse di studio, ecc. Una forte riduzione delle tasse con un aumento della progressività è dunque possibile e auspicabile da subito ma la misura va formulata tenendo conto del quadro generale.”
PUNTO A) 9 persone su 10 che si laureano non trovano lavoro, o comunque un lavoro che fino a 10-15 anni fa poteva consentire programmi di vita a lungo termine.
PUNTO B) 9 persone su 10 che conseguono il titolo di dottore di ricerca non possono proseguire la carriera accademica, non gli viene valutato questo titolo in modo dignitoso nei concorsi della Pubblica Amministrazione, né nel privato, soprattutto quando il titolo di dottore di ricerca è in materie umanistiche.
Questo vale anche per chi ha accumulato un curriculum accademico fatto anche di 1000 pubblicazioni, libri, assegni, docenze a contratto ecc.
Il curriculum accademico, in sostanza, non è spendibile né in campo accademico (non ci sono i fondi e le regole dell’ASN e dell’ANVUR sono assurde)
né in campo lavorativo (sia esso pubblico sia esso privato)
PUNTO C) Invece di proporre soluzione al problema di
– precariato universitario, fuga dei cervelli
– precariato lavorativo anche di chi ha un grande cv arricchito con l’inutile dottorato, sia nel pubblico sia nel privato,
si parla di università solo per le tasse universitarie.
PUNTO D)
Molto bene,
così, invece di dire “laureato”, continueremo a dire “disoccupato”.
ERGO:
il problema non è rappresentato dalla tasse univ.
ma dal dopo,
come da me, con le lacrime agli occhi, constatato, ogni giorno ai punti A, B, C.
Poi, chi non vuol vedere, non veda, ma il problema è la mancata connessione tra univ. e il mondo del lavoro,
non le tasse!!!!!!!!
Il problema è strutturale del nostro paese infatti e della conseguente politica economica che è stata messa in atto negli ultimi 20 anni. Ma, come spiego qui https://www.roars.it/dallistruzione-allo-sviluppo/, non è vietato cambiare le cose.
Una volta tolte le tasse universitarie diranno:
“avete visto, abbiamo legiferato anche sull’università, ora basta università, passiamo ad altro”.
Di conseguenza, i veri problemi dell’università, come sopra evidenziato, rimarranno irrisolti.
Tassare chi lavora per mantenere i fuoricorso è uno dei tipici disvalori della sinistra moderna
Io metterei una tassa sugli anonimi che scrivono cretinate, ma gli altri della redazione sono molto più tolleranti.
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