Firmando un accordo con la Conferenza dei Rettori «Confindustria e Conferenza dei Rettori» avviano «otto azioni… per il rafforzamento del rapporto tra Università e Impresa»; testo completo in www.crui.it), il 7 novembre 2011 Confindustria si è comprata l’università pubblica per farne un grande politecnico al servizio delle imprese (punto1: per aumentare le «lauree tecnico scientifiche» ci sarà un «Piano lauree scientifiche» di «Confindustria, Miur e Conferenza nazionale presidi di Scienze»), far svolgere i dottorati di ricerca presso aziende a fini produttivi (punto 4: «dottorato di ricerca in-executive per l’industria») e controllare il reclutamento dei docenti (punto 6: Confindustria «offre collaborazione» per «individuare i metodi di riconoscimento della qualità di docenti e ricercatori»). Il Sole 24ore, che considera l’accordo un’efficace risposta alla crisi, a ottobre aveva promosso un “dibattito” attorno alla proposta di ridurre l’area umanistica e puntare tutto sulle facoltà tecnico-scientifiche (Vittorio De Marchis, domenicale del Sole 24 ore, 23 ottobre). Il “dibattito” serviva a travestire da politica culturale l’esistente (confrontate i finanziamenti ai progetti PRIN di ambito scientifico con quelli umanistici sul sito http://prin.miur.it!). Una vera politica culturale implicherebbe un progetto etico in funzione del quale organizzare le risorse economiche, ma questo piano di riflessione è ignoto a Confindustria e CRUI, che, senza aver ricevuto alcuna delega in merito, si arroga il diritto di vendere la ricerca pubblica. Chi vuole una cultura che sia frutto esclusivo delle esigenze del mondo produttivo? Non dovrebbe volerla neanche il mondo produttivo, poiché le scienze “dure” avanzano anche grazie alla loro dimensione filosofica, e la matematica odierna è tale anche grazie a Leibniz e Cartesio. Studiare per cambiare la realtà è un percorso non interamente tramutabile in “produzione”, ma necessario; l’intelligenza non può essere coltivata solo in quanto parte di un ordine produttivo e sociale, pena la sua atrofia: questo vale per le matematiche come per la filosofia. Il fatto è che negli ultimi vent’anni l’accesso all’università ha smesso di essere un ideale democratico e si è ridotto ad un’ipotesi di mercato; oggi il mercato taglia i rami secchi dei saperi che non producono beni materiali. Cosa ha voluto concretamente il mercato negli ultimi due anni? Ha ridotto il numero delle università statali (riforma Gelmini) e ha permesso che poco serie e molto redditizie università “telematiche” private (come eCampus di Francesco Polidori, fondatore del CEPU) con una semplice richiesta possano essere parificate a quelle pubbliche (decreto Gelmini per la programmazione 2010-2012, art. 6, punto c); sta tentando di aumentare a 10.000 euro e più le tasse universitarie e di introdurre il prestito d’onore di stampo anglosassone, che rende lo studente economicamente debitore della formazione ricevuta (proposta presentata il 18 maggio 2011 da senatori Pd [Ichino, Marino e Treu], Api [Rutelli], dal finiano Valditara e altri), sistema che negli USA ha fortemente incrementato il debito pubblico. Nel sito web dell’Istituto di Alti Studi di Lucca IMT (fondazione di Marcello Pera), si legge che il prestito d’onore «sostanzia e rende effettivo il concetto di diritto allo studio»: non si tratterebbe di un diritto garantito dalla Costituzione italiana, senza bisogno di transazioni economiche aggiuntive? Il mercato continua a proporci un’economia di rapina, e la cultura, umanistica e non, dovrebbe diventarne un riflesso? La cultura non è tale se non è libera; una società che vuole una piccola riserva di umanisti impegnati nella conservazione autoreferenziale di saperi già decretati inutili e una massa di tecnici delle scienze dure acriticamente dediti alla “produzione” materiale non può generare alcuna forma di cultura. Gli orrori atomici e concentrazionari del Novecento ci hanno insegnato che la ricerca non può vendersi a padroni economici o politici nascondendosi dietro la propria presunta neutralità, poiché la scienza, se priva di radicamento e di responsabilità sociale, è regresso e morte.
Articolo pubblicato sul Manifesto dell’11 novembre 2011.