Il sistema italiano dell’università e della ricerca è stato sottoposto negli ultimi anni a una continua politica di tagli: ultimi episodi il mancato rifinanziamento di 300 mln. € del fondo di finanziamento ordinario (FFO) da parte del governo uscente e la riduzione del 70% dei finanziamenti alla ricerca di base (PRIN).

Tale politica è stata almeno in parte giustificata dal consolidarsi nell’opinione pubblica di un’immagine unilaterale dell’Università italiana, percepita come sede di nepotismo e corruttela, scarsamente produttiva e priva delle capacità di competere a livello internazionale.

Tale immagine è stata costruita sia enfatizzando episodi reali di malcostume accademico sia attraverso la diffusione di dati non corretti, se non persino manipolati.

Questa rappresentazione distorta è stata utilizzata per avviare un processo di drastico ridimensionamento del sistema, quasi che la produzione e diffusione di conoscenza e la ricerca scientifica fossero inutili per lo sviluppo economico e civile del Paese.

Noi non crediamo che l’Italia debba divenire una nazione a prevalente vocazione turistica, in quanto – come da più parti ultimamente si ipotizza – il suo sistema di ricerca non sarebbe in grado di competere con i paesi più avanzati. Noi pensiamo che l’Italia possa e debba crescere per occupare una posizione di primo piano nello sviluppo economico e scientifico internazionale.

Crediamo che per far ciò il sistema dell’università e della ricerca debba essere valorizzato, non ulteriormente mortificato. Crediamo dunque che la politica della ricerca sia la principale politica industriale da adottare nel nostro paese.

Ecco i dati di base da cui ripartire:

– In Italia ci sono 1,6 Atenei per milione di abitanti. In Gran Bretagna il rapporto è 2,3; in Germania 3,9; in Francia 8,4;[1]

– La spesa per l’Università in rapporto al PIL ci vede trentaduesimi su trentasette nazioni, ben al di sotto la media OCSE;

– Il rapporto docenti/studenti è fra i più bassi nelle statistiche OCSE (ventiquattresimi su ventisette) e la percentuale di ricercatori accademici sul numero complessivo di occupati ci vede al diciottesimo posto su venti nazioni;

– La quota di laureati tra i giovani (25-34 anni) è tra le più basse: trentaquattresimi su trentasette nazioni (dati OCSE).

– l’Italia si classifica, nonostante questo, all’ottavo posto al mondo per numero di articoli scientifici prodotti ed anche per citazioni ricevute (SCImago su dati Scopus);

Occorre dunque una netta discontinuità rispetto alle politiche degli ultimi anni. Nell’ultimo anno ci siamo sforzati di introdurre nel dibattito una maggiore consapevolezza del dibattito internazionale su questi punti. Constatiamo che il cronico sottofinanziamento e il cattivo disegno della legge di riforma “Gelmini” stanno precostituendo le condizioni per un peggioramento del livello di formazione e ricerca nel nostro Paese.

Noi non chiediamo nuove riforme che sottoporrebbero a uno stress insopportabile un paziente già molto provato.

Chiediamo che il prossimo Governo prenda atto della criticità della situazione e agisca sulla base di dati solidi, informazioni certe, scegliendo soluzioni di minimo impatto e massima efficacia, informate alle migliori pratiche internazionali. In particolare crediamo sia urgente intervenire sui seguenti punti:

  1. diritto allo studio: occorrono interventi per far sì che tutti gli aventi diritto godano dei diritti sanciti dalla costituzione. Per crescere, l’Italia ha bisogno di giovani laureati;
  2. finanziamento della ricerca: occorre riprogettare il sistema di finanziamento ordinario delle università, anche su base premiale. Occorre soprattutto disegnare un sistema di gestione dei finanziamenti diversi da quello ordinario che sia anche in grado di tenere conto delle specificità con cui la ricerca viene svolta nei diversi ambiti disciplinari, che non possono sempre e comunque essere soggetti alle stesse procedure di finanziamento e di valutazione. Il sistema attuale non è coordinato centralmente ed opera in maniera del tutto inefficiente, in alcuni casi concentrando in modo improprio, in altri disperdendo le poche risorse disponibili. In linea di principio tutti i finanziamenti alla ricerca devono essere assegnati tramite bandi pubblici basati su procedure di valutazione rigorose e trasparenti secondo le guidelines europee per la peer review;
  3. valutazione della ricerca e della didattica: occorrono interventi per alleggerire un apparato regolatorio soffocante, costoso e che non pare in grado di fornire i risultati attesi. In particolare è necessario ridefinire il ruolo dell’ANVUR ridimensionando gli enormi poteri attualmente ad essa attribuiti, e sottraendola al controllo diretto del governo. È urgente che si diffonda in Italia un approccio alla valutazione culturalmente e scientificamente al passo con i tempi. Ciò deve avvenire attraverso strumenti efficaci, che tengano conto della letteratura e delle migliori pratiche internazionali, senza mortificare ulteriormente l’autonomia universitaria, ed evitando conflitti di interesse e indebite concentrazioni di poteri. Inoltre, è urgente la definizione di strumenti di costante monitoraggio degli effetti della regolazione, di pari passo con il coinvolgimento attivo delle comunità accademiche;
  4. reclutamento: occorrono interventi correttivi per invertire la tendenza per cui l’attuale sistema di reclutamento è diventato un disincentivo per i più giovani. Con il reclutamento e le progressioni di carriera bloccate dal 2008, gli effetti della legge Gelmini sono stati devastanti prima di tutto per le nuove generazioni. Nelle attuali condizioni, università e ricerca pubblica non sono più attraenti per i giovani, con il risultato di favorire la scelta di altri percorsi lavorativi, che possono comportare l’emigrazione oppure l’abbandono puro e semplice della ricerca. Se tale tendenza dovesse consolidarsi, il Paese ne pagherebbe il costo per i decenni a venire. La carriera universitaria deve essere strutturata in modo da risultare incentivante per chi sceglie di percorrerla ed è all’altezza del compito;
  5. autonomia e rappresentanza: occorre riaprire la discussione sull’autonomia universitaria e sulle possibilità di implementarla in modo virtuoso. Nel contempo è necessario procedere a una riforma del Consiglio Universitario Nazionale, per farne la vera sede di rappresentanza dei saperi e delle discipline.

In ogni caso, non sono più possibili interventi a costo zero o a saldi negativi.

Chi si candida alla guida del Paese deve sapere che dovrà prendere una decisione strategica: riscoprire l’interesse nazionale per la formazione e la ricerca pubblica oppure condannare l’Italia a una sofferenza sociale diffusa e a un ruolo periferico dal quale difficilmente potrà riprendersi.

La Redazione di www.roars.it, 21 gennaio 2013.



[1] “Malata e denigrata: l’università italiana a confronto con l’Europa”, Donzelli 2009.

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7 Commenti

  1. I roparsisti milanesi (e dei dintorni) che fossero interessati al tema della ricerca scientifica nelle sue valenze sia economiche che costituzionali, potrebbe essere interessato a questo evento che ho co-organizzato (e in cui centrale sara’ il ruolo del feed-back dal pubblico):

    Il gruppo per Marilisa D’Amico al Senato
    promuove un incontro sul tema

    Ricerca Scientifica: dalla Carta Costituzionale alla vita quotidiana delle persone

    Martedì, 29 gennaio 2013, ore 21 presso Libreria Popolare” di Via Tadino 19 – Milano

    La nostra Costituzione sancisce nell’articolo 9 che la Repubblica promuove la ricerca scientifica e tecnica, e lo fa nella prima parte sui “Principi Fondamentali”.

    La libera ricerca scientifica e l’Università sono dunque fondamentali per la vita democratica di uno Stato, ma lo sono anche per la sua efficienza e prestigio.

    Tuttavia, c’è poca consapevolezza che una nazione che fa ricerca e che ha buone università ne trae benefici sociali ed economici anche nell’immediato, e non solo a lungo termine.

    Scopo di questa serata è non solo fare il punto sulla realizzazione articolo 9, spesso tradito, ma anche di ricevere suggerimenti per una legislatura che potrebbe essere “costituente”.

    Relatori:

    Prof.ssa Marilisa d’Amico, Ordinaria di Diritto Costituzionale, Università Statale di Milano

    Prof.ssa Claudia Storti, Ordinaria di Storia del Diritto Medievale e Moderno, Università Statale di Milano

    Prof. Jacopo Meldolesi (da confermare), Professore Emerito di Farmacologia Generale, Direttore di Divisione di Ricerca in “Neurobiologia Cellulare e Molecolare”, Università “Vita e Salute” e DIBIT, Ospedale San Raffaele, Milano

    Modera: Dott. Alberto d’Onofrio, Direttore di Unità di Ricerca in “Biomatematica”, Istituto Europeo di Oncologia, Milano

    Segue Dibattito

  2. chiedo scusa per i refusi nelle prime righe, ma sono disgrafico. Ecco la versione corretta: “I ROARSisti milanesi (e dei dintorni) che fossero interessati al tema della ricerca scientifica nelle sue valenze sia economiche che costituzionali, potrebbero essere anche interessati a questo evento che ho co-organizzato (e in cui centrale sara’ il ruolo del feed-back dal pubblico):”

  3. Perchè una lettera aperta al solo Bersani? I candidati sono molti e direi che il PD più di altri (di Monti, Grillo e Ingroia sicuramente) ha determinato negli ultimi anni la politica universitaria sia dall’interno dei palazzi (Camera e Senato) che dall’interno delle università. Poche volte ho letto e ascoltato particolari critiche contro il governo e nei confronti della stessa riforma Gelmini.
    Adesso è facile scaricare ICHINO alla lista di Monti, ma fino a poco tempo fa era uno dei maitre a penser del PD anche in tema di intervento Pubblico.
    Credo che l’appello finale debba essere rivolto a tutti i candidati premier.

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