Un recente articolo di Hunter R. Rawlings (presidente della Association of American Universities, che raggruppa le migliori 61 università degli USA e del Canada) è significativo per diversi aspetti.
Innanzi tutto fa vedere le linee di tendenza delle università di ricerca degli Stati Uniti (che, ricordiamo, sono solo una piccola percentuale di tutte le università e college americani), specie in direzione di una maggiore attenzione alla qualità dell’insegnamento (in passato sacrificato a favore della sola ricerca), che deve essere maggiormente centrato sul “fare” piuttosto che sullo “ascoltare”. Ciò porta al secondo punto significativo, ovvero la necessità di far fronte mediante questo rinnovamento della didattica alla decrescita dei finanziamenti statali e all’accentuata richiesta da parte degli studenti di un’educazione maggiormente rivolta alla carriera e al lavoro futuro.
E tuttavia quest’ultimo aspetto getta luce sull’ultima questione a cui tiene particolarmente Rawlings: ovvero la sottolineatura che le università non devono essere subordinate solo a un interesse privato (la carriera, il lavoro, il guadagno), ma hanno anche una missione pubblica e costituiscono pertanto un bene pubblico, in quanto esse forniscono agli studenti una comprensione del mondo e sviluppano le loro facoltà critiche. Di contro all’idea di molti americani, per cui lo scopo della frequenza delle università è avere maggior possibilità di avere un buon lavoro, Rawlings mette in rilievo con forza l’importanza della funzione pubblica e complessiva delle università – che non possono essere sottoposte al solo obiettivo economico, in quanto «in the global knowledge economy, an educated public is essential not just to economic competitiveness but to national well-being». Certo, Rawlings fa anche vedere quanto sono brave e all’avanguardia le università che egli rappresenta – facendo così un po’ di pubblicità alla AAU di cui è presidente; e tuttavia la consapevolezza del ruolo pubblico delle università, della necessità che esse non siano sottoposte ai meri imperativi economici e che vi sia spazio per la formazione civile e critica del cittadino portano l’accento su quella terza missione dell’università già da Roars evidenziata (leggi articolo) e che i nostri attuali governanti sembrano aver dimenticato travolti dall’orgia dell’efficientismo bibliometrico e della subordinazione produttivistica della ricerca.