Con la recente uscita della “Relazione sulla Ricerca e Innovazione in Italia” il Cnr torna a fare il punto sull’attività scientifica e tecnologica del Paese, per informare il dibattito pubblico e le scelte politiche in materia. Centrale è l’attenzione dedicata ai confronti internazionali e alle dinamiche che hanno segnato lo sviluppo tecnologico dell’economia mondiale e le nuove frontiere della competitività tra paesi sull’onda della crescente globalizzazione produttiva.
L’analisi mette in luce come in Italia le risorse destinate alla spesa in R&S in rapporto al Pil siano a tutt’oggi ancora al di sotto della media europea(2%), con un valore che nel 2015 raggiunge appena l’1,33%, a fronte di una quota di poco superiore all’1% registrata nel 2000. A tale risultato hanno concorso sia la tendenziale riduzione della componente pubblica di tale spesa (stagnante per le università e in calo per quanto riguarda gli enti di ricerca), sia l’insufficiente volume di risorse mobilitato dalle imprese, che nonostante gli aumenti registrati nell’arco degli ultimi quindici anni, si attesta ancora su una quota in percentuale sul Pil (0,74%) pari a circa la metà di quella rilevata per l’UE28. Tale contesto sembra condizionare anche il nostro sistema educativo, riflettendosi negativamente sulla capacità di creare competenze di elevata qualificazione. Dal confronto con i dati internazionali sulle competenze degli studenti e di giovani e adulti emerge infatti come “l’Italia si trovi in un equilibrio centrato su livelli di bassa qualificazione, ma anche come i giovani competenti siano superiori in numero a quelli che il paese è in grado di assorbire, alimentando così un preoccupante primato di giovani esclusi da percorsi sia di studio sia di lavoro.” I dati sulla spesa in istruzione terziaria in rapporto al Pil (0,7%) – che collocano l’Italia in quintultima posizione nella graduatoria dei paesi dell’UE28 – e quelli relativi al numero dei dottori di ricerca – ridottosi costantemente nel periodo 2007 – 2017 per un totale del 22,6% – sono in questo senso più che eloquenti, confermando che è in atto da tempo un circolo vizioso di continuo depotenziamento del sistema nazionale di ricerca e innovazione.
Sul fronte dell’innovazione l’andamento dell’attività inventiva– analizzata attraverso i dati sui brevetti – mostra in particolare come l’Italia non sia stata in grado di recuperare posizioni rispetto ai maggiori paesi europei, mantenendo una bassa intensità di brevetti pro-capite, che risulta essere superiore solo a quella della Spagna. Né i risultati migliorano se si guarda alla parte non formalizzata dell’attività innovativa delle imprese, come mostrano i dati tratti dalla Community Innovation Survey. Elementi di debolezza emergono d’altra parte anche sul fronte della competitività dei prodotti ad alta intensità di tecnologia, la cui quota sul totale delle esportazioni mondiali è sensibilmente inferiore a quella registrata per il manifatturiero (1,9% contro 3,6%). In questo scenario, gli unici segni importanti di vitalità sembrano essere quelli provenienti dal versante della produzione scientifica, che ad oggi vede l’Italia in netto recupero (dal 3,2% al 4% tra il 2000 e il 2016) nonostante il crescente spazio occupato dai paesi emergenti, Cina in primis. Tuttavia – sottolinea la Relazione – “le ragioni che hanno condotto a questo miglioramento complessivo della performance sono da approfondire, soprattutto in relazione all’avvio dei processi di valutazione delle università e degli Enti Pubblici di Ricerca da parte dell’ANVUR.” Ed è forse proprio da questo quadro di luci ed ombre che bisognerà ripartire per elaborare nuove politiche che stimolino efficacemente lo sviluppo del Paese.