Tra i nomi di futuri ministri che circolano in questi giorni c’è quello di Maria Stella Gelmini. L’esponente lombarda di Forza Italia, riconfermata alla Camera dei Deputati, sarebbe destinata, secondo le indiscrezioni, al ministero della Pubblica Istruzione. Se confermata, la scelta di Silvio Berlusconi sarebbe un segnale incoraggiante dell’ispirazione liberale delle politiche su scuola e Università del nuovo esecutivo. Al termine della scorsa legislatura, infatti, la Gelmini ha presentato una proposta di legge per la “promozione del merito” che attribuisce al Governo la delega per attuare una riforma della scuola e dell’Università che darebbe a ciascuna istituzione – sia scolastica sia universitaria – autonomia organizzativa, rendendole responsabili della scelta dei docenti. Da un sistema centralizzato basato sul principio paternalista di uno Stato che controlla ogni cosa e decide per tutti, si passerebbe a uno in cui la selezione del personale avviene localmente, attraverso il meccanismo di chiamata nominativa su liste di idonei. Se attuata, tale proposta contribuirebbe a creare le condizioni per una competizione virtuosa nel campo dell’istruzione e della ricerca. Tra le misure previste dalla delega ce ne sono diverse che premiano le scelte oculate di scuole e Università, modulando interventi di sostegno da parte di Stato e privati.

Dal punto di vista degli utenti, ciò comporta una revisione profonda dell’atteggiamento tradizionale nei confronti delle scelte in materia di formazione. A scuole e università formalmente uguali, ma di fatto profondamente diseguali nei risultati raggiunti, si sostituirebbe un ventaglio di opzioni formative cui corrispondono qualità e costi differenziati in ragione del servizio offerto. Nel nuovo regime, lo Stato metterebbe a disposizione delle famiglie vaucher per coprire una parte dei costi dell’istruzione, lasciandole libere di scegliere l’istituto scolastico – pubblico o privato – che preferiscono. Per l’Università, invece, l’intervento pubblico di sostegno si limiterebbe alle borse di studio per i meritevoli e i meno abbienti, attribuendo agli studenti la responsabilità di valutare il percorso formativo più adeguato, nella consapevolezza che la qualità del servizio che si riceve è proporzionale al costo che si sostiene e all’impegno con cui si affronta lo studio.

Rispetto al sistema attuale, quello delineato nella proposta della Gelmini è senza dubbio più esigente sia per famiglie e studenti sia per docenti e ricercatori. Tuttavia, l’elasticità e la flessibilità garantite dal metodo di selezione locale dei docenti mette a disposizione opportunità di sviluppo che il modello centralizzato, gestito da una burocrazia soffocante, non è in grado di realizzare. Per quanto riguarda l’Università, in particolare, questo è il modo in cui si scelgono i docenti e i ricercatori a Harvard e a Oxford, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Un giovane studioso che partecipa alla selezione per un posto in una di queste Università è certo di avere una risposta entro quattro mesi al massimo, e questo gli consente di fare le proprie scelte di vita e di programmare la propria carriera in modo più dinamico e responsabile di quanto accada nel nostro paese. Basta consultare una qualunque delle pubblicazioni o dei siti internet dove vengono pubblicizzate le offerte di lavoro accademico per rendersi conto che un sistema come quello statunitense o britannico offre ai giovani maggiori opportunità di impiego retribuito rispetto al nostro. Parlare di un “rientro dei cervelli” in un regime come quello italiano attuale è una pia illusione.

La proposta della Gelmini prevede ampia discrezione da parte del Governo, come è inevitabile che accada in una legge delega, e ciò lascia uno spazio aperto per la discussione e per interventi costruttivi da parte dell’opposizione. Per esempio, ci sarebbe da riflettere con attenzione sul ruolo che nel nuovo sistema dovrebbe svolgere l’agenzia di valutazione del merito da istituire presso l’Autorità della Concorrenza. Se l’idea di un’agenzia di valutazione indipendente è in armonia con il sistema delineato dalla delega, essa andrebbe calibrata alla luce delle esperienze internazionali. Da qualche tempo, proprio nei paesi che le hanno introdotte, le procedure di valutazione indipendente sono messe in discussione perché basate su criteri prevalentemente quantitativi, che non sempre garantiscono un’adeguata considerazione del valore di un’istituzione di formazione o di ricerca. Anche l’ipotesi di abolire progressivamente gli incarichi a tempo indeterminato dei docenti e dei ricercatori universitari andrebbe considerata meglio. Un corpo docente autorevole è perfettamente compatibile con la “tenure”. L’importante è che le singole istituzioni, che sono nella posizione migliore per giudicare, siano in grado sanzionare il comportamento dei fannulloni.

Negli ultimi anni si è diffusa una mentalità illiberale che, per impedire ad alcuni di agire in modo scorretto, soffoca le iniziative di chi invece è disposto a correre rischi per competere sul mercato internazionale delle idee. Un ministro giovane e con idee innovative, che non si lasci intimidire dai veti corporativi, potrebbe dare un contributo significativo a invertire questa sciagurata tendenza. Senza libertà di scelta e responsabilità non c’è sviluppo.

Pubblicato su Il Riformista l’8 maggio 2008

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