Anche in questo pandemico anno 2020, la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino non si è risparmiata e ha pubblicato il suo Eduscopio,  la “sua graduatoria” degli istituti di secondaria di secondo grado.  Il gioco, come definisce la Repubblica l’attività di Eduscopio, è giocato, ricordiamolo,  da giocatori di parte: quei gruppi produttivi del nostro paese che hanno verso la scuola un interesse particolare, tutto focalizzato sulla crescita del capitale umano. Di questi gruppi produttivi, la fondazione torinese è da anni portavoce onnipresente, nel dibattito politico e pubblico sull’istruzione. Tuttavia, più che entrare nel merito dell’edizione 2020-2021 di Eduscopio,  questa ennesima operazione di concorrenza applicata alla scuola pubblica  merita una riflessione morale. Diciamo etica, orientata a leggere i comportamenti messi in atto da istituzioni pubbliche e private in uno dei momenti più drammatici della nostra recente storia. Per lo meno dal dopoguerra ad oggi. Un paese devastato economicamente, una scuola che ogni giorno appare sempre più come un edificio bombardato, abbisognerebbero di  riflessioni improntate a compassione, alla pietas civile, che tutti ci accumuni nella ancora possibile cura della vita, nella speranza di poter ancora crescere creature libere e possibilmente volte ad una esistenza degna. Ma si sa, nei giocatori spesso si celano autentici ludopatici, e il gioco continua, anche quando tutto è perduto ed è evidente  che persistere è deleterio. Avremmo, in questo momento bisogno di una sospensione di ogni giudizio, di ogni pratica, formulati con modalità non più all’altezza per descrivere l’entità di quel che la pandemia ha prodotto.

 

 


 

Anche in questo pandemico anno 2020, la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino pubblica in Eduscopio,  la graduatoria degli istituti di secondaria superiore. Citare la fondazione torinese è un atto metonimico, rinvia all’interesse che i più importanti gruppi produttivi del nostro paese hanno verso la scuola, attenzione saldamente legata all’ormai famoso nodo del mismatching  fra mercato e formazione. Altrettanto evidente è il richiamo alla presenza costante del Presidente della FGA Andrea Gavosto sui media, attraverso i quali ammonisce e bacchetta insegnanti, sistema formativo, scelte di politica scolastica, forte della sua carriera di economista/econometrista, sedicente pedagogo ed educatore. Le parole chiave che ritornano nelle sue riflessioni, in un insistente e performativo motivetto, sono competenze, merito, test, successo formativo crediti/debiti, offerte al cliente, e quanto prodotto dalla neo-lingua ormai in uso per parlare di scuola. Il documento di Eduscopio le ha fatte proprie oramai da anni e le usa come chiave di lettura dei dati raccolti.

Il gioco, come definisce la Repubblica l’attività di Eduscopio, è giocato – come si è detto – da giocatori di parte, attenti alla crescita del capitale umano (capitale tout court: nella catena del profitto) e da quelli delle stesse scuole che forniscono l’adesione alla ricerca, nella frenetica corsa di dirigenti ad accaparrarsi medaglie di credibilità formativa e dunque, più iscrizioni e maggiore possibilità di accesso ai fondi.

Prima di passare al merito dell’indagine, questa ennesima operazione di concorrenza applicata alla scuola pubblica merita una riflessione morale. Diciamo etica, orientata a leggere i comportamenti messi in atto da istituzioni pubbliche e private in uno dei momenti più drammatici della nostra recente storia. Per lo meno dal dopoguerra ad oggi. Un paese devastato economicamente, una scuola che ogni giorno appare sempre più come un edificio bombardato, abbisognerebbero di  riflessioni improntate a compassione, meglio pietas civile, che tutti ci accumuni nella ancora possibile cura della vita, nella speranza di poter ancora crescere creature libere e possibilmente volte ad una esistenza degna.

Ma si sa, nei giocatori spesso si celano autentici ludopatici, e il gioco continua, anche quando tutto è perduto ed è evidente  che persistere è deleterio. Avremmo, in questo momento bisogno di una sospensione di ogni giudizio, di ogni pratica, formulati con modalità non più all’altezza per descrivere l’entità di quel che la pandemia ha prodotto. A marzo scorso la scuola  ha smesso di essere quella che conoscevamo, ma la Fondazione Agnelli, l’INVALSI, l’INDIRE, e altri soggetti fra pubblico e privato, lavorano con le modalità di sempre. L’INVALSI diffonde le date dei test del 2021, propone la ricorrenza dei dati di un decennio di prove standardizzate, fornisce esempi  di prove formative perché non si dica che l’istituto è interessato solo allo standard censuario.

Torniamo a Eduscopio.

I parametri utilizzati per comporre il ranking delle superiori italiane sono i consueti: media dei voti/crediti per i 1750.000 studenti del campione; tasso di immatricolazione e tipologia degli studi a cui accedono (anni dal 2015 al 2017) e, nell’ottica di censo e di provenienza sociale su cui è improntata l’architettura della scuola superiore, tasso di occupabilità/occupazione per gli uscenti dagli istituti tecnici e professionali. I contesti socio-economici in cui insistono le scuole graduate, i territori in cui abitano gli alunni, sembrano non avere importanza: la scuola se vuole può eccellere, purché lo sappia fare. Che l’abitare non sia solo un risiedere, un alloggiare, bensì un rapporto politico-esistenziale per sè, con agli altri, abbia a che vedere con lavoro, territorio, coabitazioni forzate, non è un fatto considerato [1].

Consideriamo Roma, la capitale, con una delle più estese periferie d’Europa. I primi due posti in graduatoria li guadagnano i licei Torquato  Tasso e  Augusto Righi , rispettivamente classico e scientifico. Entrambi insistono in una porzione del centro storico, ricco e prestigioso, appena dietro Via Veneto. Sappiamo per esperienza consolidata come in questi contesti si parta con un numero di iscritti e frequentanti le prime classi che si assottiglia nel corso degli anni: alla maturità si arriva in pochi, solo qualcuno ce la fa, i più  meritevoli,  par di capire.

Anche le scuole dell’immensa periferia e del disastrato hinterland romani concorrono. I dirigenti di quelle in bassa posizione lamentano l’inattendibilità dei dati raccolti, la scarsa considerazione delle difficoltà oggettive; altri,  al vertice di scuole meglio piazzate, ci propongono una lettura interessante  del buon risultato: organico stabile, dunque poco precariato e garanzia di continuità didattica; alta inclusività, ovvero meno severità nella valutazione, come chiave del buon rendimento. Volendo, per un momento, dar credito ai parametri e ai dati raccolti, si rilevano due effetti importantissimi, l’uno di legato agli investimenti e alla possibilità  di fidelizzazione dei docenti, l’altro legato ad uno stile-docente attento davvero agli aspetti formativi del percorso, alle differenze individuali, alla cura di ogni situazione [2] .

Non può mancare uno sguardo alle  scuole  private, paritarie, visto che costano a tutti i contribuenti italiani un bel po’ di soldi.  Vediamo Milano, città della sanità privata [dove] l’istruzione a pagamento forma gli universitari di maggior successo, attraverso il commento del Corriere meneghino. Troviamo il Sacro Cuore di Don Giussani, dunque Comunione e Liberazione, il confessionale Alexis Carrell, il San Raffaele. Come, in tutti questi anni di parificazione scolastica, di alte rette, di contributi di privati e statali, abbiamo assunto il loro personale e come lo retribuiscano lo apprendiamo dal quotidiano Avvenire. Commentando l’ordinanza della Sezione Lavoro della Cassazione, a conclusione di un lungo iter giudiziario sul  riconoscimento del servizio prestato in pre-ruolo nelle paritarie, in cui si dà  torto ai ricorrenti in quanto dipendenti di datori di lavoro diversi e con contratti non comparabili, il giornale della CEI sottolineava il carattere discriminatorio e ricordava come le scuole confessionali abbiamo pagato, negli ultimi vent’anni, stipendi più magri per 2,5 miliardi di euro. Ovviamente, essendo come si è detto fuor di contesto, l’indagine Eduscopio di questo aspetto non può curarsi.

 

 

 

[1] D.Di Cesare  Il tempo della rivolta Bollati Boringhieri, Torino, 2020, pag 67

[2] Corriere della Sera Cronaca di Roma 13 novembre 2020 Licei di periferia, la stabilità paga. Crollo del Giulio Cesare.

 

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1 commento

  1. Commento molto molto molto a margine. L’articolo di Avvenire non dice che le scuole private abbiano risparmiato 2,5 miliardi di euro, dice che lo Stato li ha risparmiati, non riconoscendo gli scatti. In base a racconti personali (che ovviamente statisticamente non fanno testo) le private hanno certo risparmiato molto di più. Avevo colleghi che sarebbero stati disposti a pagare pur di insegnare e ottenere qualche punto in più in graduatoria (per le statali, ovviamente). Per alcune classi di concorso era praticamente un passaggio obbligato passare dalle private. Sulla “qualità” dei docenti delle private, sul loro “diritto” a passare alle statali etc.etc. voci non controllabili, che però certo non gettano buona luce…
    Ma, tanto, paghiamo 25.000 docenti delle statali direttamente nominati dall’autorità ecclesiastica, cosa ci lamentiamo se le scuole private hanno il diritto implicito di dare un “grosso aiutino” a chi vorrà andare ad insegnare nelle statali?

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