La legge Gelmini (240/2010) fissava la durata massima complessiva degli assegni di ricerca in quattro anni (art. 22 c. 3):

La durata complessiva dei rapporti instaurati ai sensi del presente articolo, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore a quattro anni

Ora, grazie a un emendamento approvato in sede di conversione del DL 192/2014 “Milleproroghe”, tale limite è stato portato a sei anni (art. 6 c. 2 bis):

La durata complessiva dei rapporti  instaurati  ai  sensi dell’articolo 22, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n.  240,  è prorogata di due anni

Si intende che è incrementato il limite massimo di anni trascorsi quale assegnista, non che i rapporti in essere siano prorogati.

Resta fermo l’altro limite previsto dalla l. 240/2010, art. 22, c. 9:

La durata complessiva dei rapporti instaurati con i titolari degli assegni di cui al presente articolo e dei contratti di cui all’articolo 24 [ricercatori a tempo determinato, NdR], intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici, nonche’ con gli enti di cui al comma 1 del presente articolo, con il medesimo soggetto, non può in ogni caso superare i dodici anni, anche non continuativi.

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3 Commenti

  1. Con l’attuale tipologia di reclutamento mi domando se abbia senso mantenere gli assegni di ricerca ed a maggior ragione se abbia senso questo aumento di durata.
    Meglio sarebbe abolirli ed utilizzare i relativi fondi per il reclutamento di ricercatori.

  2. Ecco un’altra delle cose che, troppo spesso, passa in sordina.
    L’incremento, fermo restando l’altro limite previsto dalla l. 240/2010, art. 22, c. 9, servirà forse a risolvere qualche caso specifico (es. enti in cui molti assegnisti non hanno mai conseguito il dottorato ma sono entrati come borsisti e poi assegnisti, da prorogare).
    In realtà, ancora una volta non solo si perdono occasioni per normalizzare il nostro paese (all’estero è difficile addirittura tradurre il concetto di assegno di ricerca) ma si torna indietro.
    Il sistema di reclutamento dovrebbe basarsi su pochi anni formazione (dottorato e post dott), non di precariato, e poi una immissione in ruolo, doverosa per coloro che lo meritano e salvifica per il sistema universitario.
    Perfino la CRUI si è accorta che è necessario ringiovanire la categoria dei ricertori (e docenti) del sistema università
    I nostri governanti, invece, anche con questa banale, apparentemente, modifica vanno, al solito, nella direzione opposta.

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