La correzione del sistema di valutazione e la predisposizione di regole chiare e di procedure rispettose della ragionevolezza e dell’autonomia universitaria è un problema che dovrà essere affrontato nelle aule giudiziarie. C’è più di un elemento per ritenere ‘irragionevole’ (nel senso attribuito al termine dal linguaggio giuridico) il sistema.Il primo elemento è costituito dalla presunzione di oggettività attribuita al sistema. Il secondo elemento di probabile illegittimità del procedimento è costituito dall’inversione temporale fra la formulazione dei criteri e la redazione dei lavori. In terzo luogo, è irragionevole e illegittima la sovrapposizione nello stesso organo di competenze valutative e di competenze normative. Ci si può chiedere se non sia opportuno impugnare una normativa complessa, disorganica e contraddittoria e chiedere alla Giustizia amministrativa di verificare la rispondenza di quella stessa normativa ai principi propri dell’autonomia universitaria e della legittimità dell’azione amministrativa.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
La discussione nazionale sul sistema di valutazione della ricerca ha ormai assunto dimensioni di particolare rilievo e tende ad allargarsi all’intera problematica del riconoscimento della professionalità dei Docenti. È giusto che sia così perché nessuno può immaginare di percepire un compenso senza verifica della qualità del lavoro svolto e, specularmente, perché non è possibile immaginare una verifica della qualità senza un corrispondente riconoscimento differenziale in termini (anche) retributivi.
La questione, ovviamente, va ben oltre la specifica ed occasionale vicenda di questa tornata di VQR e deve essere letta per la sua reale portata di sistema.
In questo senso l’articolo di Francesco Coniglione contribuisce ad allargare il panorama sui sistemi di valutazione in ambito internazionale e consente di riflettere sulle implicazioni che ciascun modello determina sull’intera struttura universitaria. Il modello polacco da lui illustrato presuppone un regime dei rapporti accademici profondamente diverso da quello italiano. Esso presenta certamente aspetti interessanti e dovrebbe stimolare alla riflessione generale sul valore dell’università pubblica e sulle connesse responsabilità individuali e istituzionali utili anche per lo studio della vicenda nazionale.
Al di là dell’utilissima comparazione dei modelli, è necessario, tuttavia, affrontare il problema della coerenza logica e della legittimità dei sistemi adottati in ciascun ambito nazionale.
Davanti alla crescente adesione alla posizione stop-VQR, in verità, mi pongo una domanda molto semplice: non potrebbe essere utile, oltre a tentare le vie dell’azione di pressione e di ‘disobbedienza civile’, provare anche la strada dell’azione giudiziaria? Per quel che mi riguarda ho già ‘conferito’ esattamente per le stesse ragioni per le quali autorevoli Colleghi hanno scelto di non ‘conferire’: non ho problemi ad essere valutato. Ritengo, tuttavia, che l’accesso al procedimento mi ponga nella posizione di ‘legittimato’ ad intervenire in eventuali procedimenti giudiziari.
Riflettendo sulla struttura dei regolamenti del sistema VQR e, soprattutto, sulla incredibile distribuzione temporale dell’intero procedimento immagino che ci sia più di un elemento per ritenere ‘irragionevole’ (nel senso attribuito al termine dal linguaggio giuridico) il sistema.
Il primo elemento è costituito dalla presunzione di oggettività attribuita al sistema.
Nessuno si può illudere che esistano sistemi ‘oggettivi’ e ‘automatici’ di valutazione. Le illusioni degli scorsi decenni sull’uso della bibliometria (tecnica propria dei bibliotecari) hanno condotto alla definizione di criteri (apparentemente) oggettivi che hanno confuso la valutazione (scientifica e responsabile) con la misurazione (applicativa di criteri di incerta formulazione).
Il secondo elemento di probabile illegittimità del procedimento è costituito dall’inversione temporale fra la formulazione dei criteri e la redazione dei lavori.
Come è noto a chiunque si sia mai interessato di valutazione di comportamenti (dalla valutazione penale a quella aziendale) nessuno può essere giudicato sulla base di criteri inesistenti (o quanto meno incerti) al momento del compimento dell’atto (nel nostro caso, al momento della redazione e/o della pubblicazione di un contributo scientifico).
In terzo luogo, è irragionevole e illegittima la sovrapposizione nello stesso organo di competenze valutative e di competenze normative. I criteri non possono essere definiti dallo stesso organo competente per la valutazione (o da sue articolazioni). In questo modo si determina una commistione di poteri che ricorda da vicino i sistemi di ‘antico regime’. L’incoerenza del sistema risulta ancora più evidente se si considera che l’attività dei GEV di definizione di criteri di tipizzazione dei lavori scientifici risulta spesso fondato su pretese di qualificazione ‘scientifica’ delle sedi editoriali che in realtà sono legittimate solo da procedimenti privi di legittimazione accademica.
I tre elementi di irragionevolezza segnalati, singolarmente rilevanti per ciascun ambito nel quale si voglia applicare un sistema di valutazione, assumono un particolare valore negativo sia nella loro commistione, sia perché vengono ad incidere gravemente sulla libertà di ricerca di ciascun docente universitario. Pur riconoscendo la necessità di valutare gli effetti della ricerca al fine di attribuire risorse, risulta gravemente limitativo della libertà di ciascuno non disporre all’inizio del periodo di attività valutabile dei criteri con i quali sarà successivamente esaminato.
Infine, la stessa normativa sulla composizione degli Organi di valutazione, nonché il rinvio a revisori anonimi che valutano lavori di Autori che loro (invece) conoscono non consente di escludere che si determinino conflitti di interesse (quanto meno scientifico) che potrebbero incidere negativamente sulla linearità delle procedure.
Si potrebbe continuare con i rilievi, ma preferisco fermarmi e chiedere se (oltre a condurre una libera azione politica) non sia opportuno impugnare una normativa complessa, disorganica e contraddittoria e chiedere alla Giustizia amministrativa di verificare la rispondenza di quella stessa normativa ai principi propri dell’autonomia universitaria e della legittimità dell’azione amministrativa.
Le controversie giudiziarie in corso in materia di ASN stanno dimostrando come molte confusioni tra valutazione e misurazione siano state all’origine di errati comportamenti delle commissioni di abilitazione. Lo scarso rigore formale della normativa in materia è dimostrata perfino dalla incapacità di definire con esattezza le maggioranze deliberative delle commissioni, con effetti di ingiustizia le cui dimensioni non sono ancora calcolabili e per le quali si stanno approntando toppe peggiori dei buchi.
D’altra parte, la stessa attività di qualificazione per fasce delle riviste delle aree ‘non bibliometriche’ (brutta definizione che confessa l’ispirazione ‘metrica’ e non valutativa del sistema) è ormai oggetto di ampia conflittualità giudiziaria con significativi esiti demolitori delle decisioni ANVUR. Nonostante le resistenze dell’ANVUR sembra che la materia sia in costante evoluzione (Consiglio di Stato, sez. VI, 53/2016)
In particolare, i singoli Atenei (e per essi la CRUI) che costituiscono i principali e diretti destinatari degli effetti della valutazione della ricerca sul piano della distribuzione dei fondi del finanziamento statale, dovrebbero adottare una posizione di difesa delle proprie prerogative e, contemporaneamente, di stimolo alla definizione di un sistema di valutazione coerente, trasparente e condiviso dalla Comunità scientifica.
La correzione del sistema di valutazione e la predisposizione di regole chiare e di procedure rispettose della ragionevolezza e dell’autonomia universitaria è un problema che dovrà essere affrontato nelle aule giudiziarie per impedire che questa VQR determini effetti ingiusti su ciascuna università e, purtroppo, pure sui singoli docenti.
Ancora più urgente, tuttavia, è affrontare il problema della valutazione per il periodo 2015-2018 (senza alcuna allusione al centenario della Grande Guerra) perché, in assenza di radicali correzioni, si riproporranno drammaticamente gli stessi problemi con gli stessi drammatici presumibili effetti.
Giuseppe Vecchio
@Giuseppe Vecchio:
se un ateneo o facoltà ha una VQR negativa, chi è il destinatario della sanzione? Qualche strutturato? NO!
Qualsiasi strutturato che abbia prodotto poco o nulla e quindi che abbia contribuito ad una VQR negativa non viene cacciato, ma rimane dentro per continuare a non produrre.
Quindi CHI CI RIMETTE E’ IL PRECARIO CHE NON PUO’ ESSERE ASSUNTO, ANCHE SE HA TANTI TITOLI, per la mancanza di fondi conseguenti alla VQR negativa.
NB: il precario con tanti titoli non potrebbe , in quanto, precario, contribuire ad alzare la VQR in quanto resta fuori dalla valutazione, ma subisce gli effetti negativi di chi è dentro e non produce.
ERGO LA VQR NON è MERITOCRATICA,
ERGO è palese la violazione dell’art. 34 della Costituzione, che introduce il valore del MERITO: ”
“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, 3 comma dell’art. 34 cost.
Quindi si potrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che prevede la VQR
E’ d’accordo?
La nuova VQR non può essere negativa.
I precari, DI SOLITO (e in Italia prevalentemente), lavorano in collaborazione con gli strutturati. Quindi concorrono ad alzare il livello della struttura dando prodotti spendibili agli strutturati….in realtà una delle ipotesi sulla relativamente alta produttività degli atenei e degli enti di ricerca italiani si basa proprio sull’alto numero di non strutturati, che producono “prodotti” misurabili, risultando essi stessi invisibili e non contribuendo, quindi alla “normalizzazione” della misurazione. Ne risulta quindi che la misurazione, in un modo o in un altro, risulta comunque non affidabile. Sul fatto che non sia meritocratica non mi pronuncio, dato che la meritocrazia mi pare un disvalore.
A livello di produttività individuale abbiamo provato a lavorare sull’ipotesi di Monica De Simone. Ma l’evidenza che abbiamo trovato è che non c’è un effetto statisticamente significativo della presenza di junior researchers sulla produttività individuale dei senior http://arxiv.org/abs/1312.0084
Non ho le idee chiare su cosa potrebbe accadere a livello aggregato.
…si riproporranno drammaticamente gli stessi problemi con gli stessi drammatici presumibili effetti.
———————-
Nei settori bibliometrici ci si scambierà amichevolemnte le citazioni.
Ritengo che al momento il movimento #stopVQR abbia buone possibilita’ di azione giudiziaria medianti ricorsi ai TAR contro le delibere dei CDA e dei Senati in cui si sono adottate strategie basate su:
– forzare la selezione dei “prodotti” da parte degli “addetti”
– adottare provvedimenti discriminatori o addirittura punitivi nei confronti degli astenuti.
Viceversa, al momento vedo assai piu’ lunga e tortuosa la strada dell’invalidazione del Decreto che fissa le linee guida per la VQR.
Come noto, infatti, non si puo’ investire di tale azione il TAR, occorre la Corte Costituzionale. Ed e’ ben vero che il decreto presenta parecchi punti di possibile incostituzionalita’, fra cui quelli segnalati in questo articolo.
Ma non e’ possibile avviare direttamente un ricorso presso la Corte Costituzionale. Si deve avviare un ricorso al TAR, e saranno i giudici del TAR che, se lo ritengono potenzialmente fondato, chiederanno il giudizio della suprema corte.
Quindi si deve comunque partire dai ricorsi ai Tar competenti, avverso le delibere di quegli organi accademici che, mal interpretando l’attuale quadro legislativo, hanno agito nel disprezzo dei diritti dei docenti che si sono astenuti dalla preselezione delle loro pubblicazioni.
Mi auguro che tali ricorsi vengano avviati subito, prima della scadenza del 14 marzo, in modo che i TAR riescano ad emettere, in via cautelativa, provvedimenti di sospensione delle delibere impugnate.
Al momento questa mi sembra la strada piu’ promettente per bloccare la VQR, soprattutto se si otterranno solo alcune sospensioni di delibere, a macchia di leopardo, causando rilevanti effetti distorsivi sull’intera VQR. A quel punto il Ministro sará costretto ad intervenire…
Sempre che prima del 15 marzo si sappia cosa è successo a livello di ateneo. Temo che in molte università non si saprà mai in forma disgregata e soprattutto nominale (per ragioni di ‘privacy’!). A meno che non riceviamo lettere individuali, ma chissà quando.
Il problema di costituzionalità dovrebbe investire la legge che prevede la valutazione. Non mi pare che ricorrano profili di incostituzionalità della legge.
I problemi che ho segnalato si riferiscono, invece, alla disciplina regolamentare attuativa (e quindi amministrativa) della VQR e ben possono essere risolti in sede di Giustizia amministrativa.
Ove, poi, si ritenesse necessario sollevare questione di costituzionalità della legge istitutiva della valutazione, d’altra parte, è vero che si dovrebbe ricorrere al TAR per adire la Corte Costituzionale, ma è anche vero che se il TAR riconoscesse i presupposti per sottoporre la legge al vaglio della Corte ben potrebbe sospendere cautelativamente gli effetti del Decreto attuativo e del relativo Bando VQR.
Totalmente in disaccordo con l’incipit. Io faccio quello che faccio perchè mi piace, non per essere retribuito più del mio collega. Mi basta non essere retribuito meno di qualunque altro pubblico dipendente.
La valutazione è da sempre una questione di sapere. Con l’anvur diventa questione di potere, quindi la rifiuto esattamente come la rifiuterei se l’anvur si chiamasse in qualunque altro modo.
Chissà come mai sono solo i docenti universitari a chiedere di essere valutati. Tutti gli altri pubblici dipendenti se ne guardano bene, e non credo che non lavorino, se non li si confonde con i criminali che timbrano il cartellino e vanno in canoa. E chissà se è una coincidenza che solo i docenti universitari sono discriminati. Che amino zapparsi i piedi?
Mi pare che la legge dica ben altro. Prego leggere il
Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150
“Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. (09G0164)”
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 ottobre 2009, n. 254 – Supplemento Ordinario n. 197
recuperabile al sito:
http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/09150dl.htm
Un punto controverso che potrebbe fare da base alla azione giudiziaria potrebbe non essere tanto (solo) nei principi ma nella attuazione.
La stessa ambugità tra linee guida del decreto VQR MIUR (che prevede “dovere” dei singoli di sottoporre prodotti) e bando ANVUR (che prevede invece solo “suggerimento” dei singoli) che è oggi alla base delle problematiche su conferimento piu o meno forzato, potrebbe essere domani un forte elemento di deboleza per tutti quei risultati in cui non solo non c’è stato conferimento, ma nepppure suggerimento (vedi le sedi che stanno procedendo in “autonomia”)
Di fatto una VQR eseguita con procedura collettivamente “imperfetta” (fuori bando e linee guida) che potrebbe essere impugnata da quelle sedi che avessero un danno nella attribuzione FFO…
Le mie considerazioni sui punti di debolezza giuridica del sistema VQR non sono certamente esaustive di tutti i profili di possibile perplessità. Mi sono limitato a segnalare alcuni aspetti, certamente se ne potrebbero trovare tanti altri.
Il problema, più di volontà (politica) che di proponibilità (giuridica), di eventuali azioni giudiziarie può essere risolto solo dai singoli rappresentanti legali delle Università o dalla CRUI come organismo di rappresentanza di sistema
(commento marginale) ma dove sta scritto che la CRUI è un organo rappresentativo del sistema? Quello è il CUN! A suo tempo avevo fatto una ricerca approfondita fra le varie leggi e da quello che ho trovato la CRUI (che comunque prima era una pura e semplice organizzazione privata) è riconosciuta come semplice organo di consulenza. Io non mi sento certo rappresentato!
Dal sito CRUI
“La CRUI è l’associazione delle Università italiane statali e non statali. Nata nel 1963 come associazione privata dei Rettori, ha acquisito nel tempo un riconosciuto ruolo istituzionale e di rappresentanza e una concreta capacità di influire sullo sviluppo del sistema universitario attraverso un’intensa attività di studio e di sperimentazione. Dal 2007 la CRUI è l’associazione delle Università statali e non statali riconosciute”.
Al di là delle autoqualificazioni, penso che nessun giudice negherebbe alla CRUI la legittimazione ad agire in giudizio quale associazione esponenziale e rappresentativa del sistema universitario.
In questo senso, certo; è stata una mia interpretazione linguistica impropria, avevo interpretato “organismo di rappresentanza” come “l’organismo di rappresentanza”, anzichè come “un organismo di rappresentanza”. Se capisco bene, la CRUI può agire in giudizio come rappresentante di parte del sistema universitario, ma allora anche la Società Italiana di Fisica, per dire, può farlo, e infatti mi pare che per l’ASN anche società scientifiche abbiano ricorso, no? Allora anche un’associazione di categoria?
Magari allora anche ROARS ;) (Che ci rappresenta certo più della CRUI! E intanto un grosso grazie e complimenti a chi si sobbarca l’onere e l’onore di gestire il sito)
Condivido in pieno le parole del Prof. Vecchio. Come avvenuto per l’ASN e per le riviste, la Giustizia amministrativa (l’ho scritto di proposito con la maiuscola) penso sia il solo baluardo contro gli eccessi, le aberrazioni e gli abusi di questa valutazione. Ma mi permetto di sottolineare un fatto, mai troppo messo in evidenza fino ad ora, ovvero il criterio di nomina dei GEV, che è qualcosa di assolutamente scandaloso. Si tratta di fatto di un “motu proprio” basato su conoscenze personali. Se uno dei deboli criteri indicati è il livello internazionale dei membri GEV, bhè, basta vedere i curricula dei GEV di area umanistica per verificare che la maggioranza di essi (in alcuni casi la totalità in certi settori concorsuali) è costituita di soggetti che hanno scritto solo in italiano (spesso in riviste del cui comitato di redazione fanno parte), non hanno avuto esperienze di visiting professorship all’estero né tanto meno partecipazioni a convegni all’estero. C’è inoltre da sottolineare che in alcuni casi i membri GEV di questa tornata VQR provengono dalla stessa università e dallo stesso dipartimento dei membri GEV della precedente tornata (2004-2010). A mio avviso questo è un grave abuso. Perché per la nomina dei GEV non si è fatto ricorso a un metodo simile a quello della nomina dei commissari ASN? Ovvero il sorteggio da una lista di proff. degni (o almeno presunti tali)?
Comunque Vecchio ha ragione. Se non si parte in anticipo per bloccare tutto, sono certo che alla fine di questa tornata VQR (ammesso che partirà), ci saranno un sacco di singoli ricorsi al TAR, con richiesta di accesso agli atti e con la pubblicità dei referees anonimi, allora sì che sarà un vero e proprio gioco al massacro, di cui resteranno solo macerie.
non giriamoci attorno, l’università italiana è fatta da “SCUOLE”, scuole amiche, scuole nemiche, in tutti i settori in tutte le discipline.
Quindi, il referee per la VQR e il componente la commissione ASN è tentato di fare fuori l’esaminando appartenente alla scuola avversaria. Es: di chi allievo Tizio? ah, di Caio? allora teniamocelo buono e promuoviamolo; di Sempronio il bastardo? allora bocciamolo e diciamo che ha lavori di m…, anche se non è vero.
Condividete?
Certo. Per la VQR questa è la ragione per cui c’è la corsa a fare i GEV ed i valutatori. Specialmente nelle aree “non bibliometriche”. Ed è la ragione per cui la mozione http://firmiamo.org/stopvqr/ ha avuto solo 1250 firme.
Condivido totalmente la posizione di Vecchio. Mi sembra una ottima idea. E sono pronto a metterci del mio.In uno stato de jure sul questo piano vanno poste le questioni (oltre ovviamente al piano più importante:quello politico -grazie Roars !!). Più che fare quello in cui siamo specialisti noi professori universitari, cioè dire a Vecchio che noi abbiamo una altra idea e che la nostra è la migliore :), chiedo (da ignorante) e il vincolo a indicare solo pochi prodotti (2-4) non è che renda l’operazione di valutazione ancora più aleatoria. Per un giudizio (anche statistico) ci vuole un campionamento pur minimo adeguato!? O no!? grazie roars (Ce n’est qu’un début, continuons le combat… ;)
Che i criteri della VQR, oltre che illogici, siano illegittimi, non c’è alcun dubbio. La comunità accademica avrebbe potuto disinnescarli semplicemente opponendosi in massa all’ANVUR. Se questo non è successo vuol dire che la parte che conta della comunità accademica è d’accordo con l’ANVUR, o perlomeno questi criteri le sono funzionali per accrescere il potere negli atenei e far fuori i gruppi concorrenti. Un sistema serio si dovrebbe occupare, oltre e prima della valutazione, anche di predisporre un ambiente di regole che ti facciano lavorare con profitto. Adesso, per chi volesse, è impossibile lavorare nell’Università a meno che il lavoro non consista nel pubblicare, contrattare scambi di citazioni, asseverare brevetti falsi e quant’altro. Ma, come si dice, il pesce puzza dalla testa e la testa è il corpo accademico stesso.
Chiedo a @Giuseppe Vecchio e @Angelo Farina – perché fin qui sono quelli che hanno affrontato la questione ‘per via giudiziaria – e lo chiedo anche a qualsiasi altro ne sappia più di me (non è difficile, perché non ne so niente), se è effettivamente possibile presentare ricorsi collettivi al TAR (a quale TAR?) per contestare l’irragionevolezza della VQR sui punti: 1) presunzione di oggettività; 2) inversione temporale; 3) sovrapposizione nello stesso organo di competenze valutative e di competenze normative.
Se sì, io direi di cominciare immediatamente a raccogliere le adesioni andare in giudizio. Con altri colleghi abbiamo già chiesto chiarimenti ad alcuni amministrativisti, ma non abbiamo ricevuto risposte chiare (non lo so bene…non mi occupo in particolare di questo, ecc…). Ma se questa possibilità esiste, siamo pronti a partire immediatamente.
La mia opinione (prudente e confutabile) è che legittimati ad agire siano gli Atenei, poiché gli effetti della Valutazione ricadono (così sembrerebbe dalla lettura della legge!) sulle istituzioni (e solo indirettamente sui singoli).
Quanto alla sede competente si deve ritenere che si possa impugnare presso il TAR Lazio (perché si tratta di provvedimenti ministeriali). Andrebbe verificata la possibilità di impugnare presso i TAR competenti per le singole sedi universitarie presso le quali si manifestano gli effetti dei provvedimenti (art. 13 cpa) che regolano la VQR (MIUR. Decreto 458.27-06-2015,e Bando ANVUR) e che non dovrebbero essere attratti nella competenza funzionale inderogabile del TAR Lazio.
Sicuramente Giuseppe Vecchio ne sa più di me, ed ha risposto perfettamente con riguardo al ricorso contro le procedure VQR.
Io parlavo di un’altra strategia accessibile direttamente da parte dei singoli docenti (ed a rigore ne basta uno solo per ateneo), cioè fare ricorso non contro le procedure della VQR, ma contro le assurde delibere assunte dai CdA e dai Senati Accademici in molte sedi, che eludono le libertà costituzionali di noi docenti universitari. E lo fanno in due possibili modi:
1) forzandoci a caricare le nostre pubblicazioni, laddove il Decreto dice che POSSIAMO farlo. Sono le istituzioni che DEBBONO sottomettere i nostri prodotti, noi non DOBBIAMO farlo, ma POSSIAMO preselezionarli. Se rinunciamo a preselezionarli, come ci è consentito, le istituzioni dovranno comunque selezionarli e caricarli, ma non possono imporci di farlo noi, quando è un LORO OBBLIGO.
2) minacciando, o, peggio, attuando ritorsioni verso chi si astiene dal caricamento “volontario” delle proprie pubblicazioni.
In tutte quelle sedi in cui sono state assunte delibere che prevedono anche solo una delle due suddette ipotesi, a mio avviso il singolo docente ha pieno diritto di adire il TAR avverso tali delibere. Tuttavia è sempre valido il consiglio di valutare bene la cosa con l’avvocato esperto di diritto amministrativo, e non va dimenticato che un ricorso al TAR ha dei costi non trascurabili. Suddividendoli in tanti aderenti al ricorso la cosa è fattibile, fatta da un singolo diventa ben costosa…
Trattasi di normale trattativa tra controparti. Ricorrere alla giustizia civile , con sentenza se va bene tra 5 anni, significa dilazionare ancora il recupero degli scatti. Che vogliamo ora è subito.
Non è pertanto una strada percorribile.
Mi pare che si tratti di giustizia amministrativa e che sia possibile richiedere provvedimenti cautelari che, in via d’urgenza, possono essere emessi anche con ordinanza del Presidente del TAR adito.
OKKIO, nuova ASN,
http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2016/marzo/1457248569143.html
Sarebbe bene suggerire a chi introdurrà nuove regole, di considerare 2 situazioni differenti:
1) chi partecipa da STRUTTURATO è più avvantaggiato
2) chi partecipa da PRECARIO o DISOCCUPATO, in quanto precario arrivato alla scadenza è più svantaggiato.
In altre parole,
non bisogna solo considerare il curriculum e le mediane per l’ASN,
ma anche IL CURRICULUM CHE E’ NECESSARIO PER STRUTTURARSI.
In passato, infatti, per STRUTTURARSI, era sufficiente un articolo e 2 prove scritte ed orali, quindi ZERO PUBBLICAZIONI.
OGGI, per essere STRUTTURATO SERVE UN CURRICULM ENORME, CON L’ASTICELLA CHE SI ALZA ALL’INFINITO e per il precario essere strutturato risulta impossibile.
Vedete anche voi questa disparità?
Vedete anche voi questa differenza tra promozione (che c’è sempre nell’abilitazione scientifica nazionale) ed il reclutamento vero e proprio che non c’è mai, in realtà, nelle abilitazioni.
Siete d’accordo?
Piccola domandina giuridica a Giusepe Vecchio o a chi “ne sa” (anche se non troppo direttamente collegata con l’articolo). Ma se io nei miei lavori, prima della bibliografia, scrivo che non considero opportuno che essa venga utilizzata (insieme ad eventuali indicatori costruiti con essa) per valutare studiosi, riviste, istituzioni etc., cosa succede? Per esempio dico “ho citato tutto quello che c’era da citare, nei limiti delle mie conoscenze, ma non tutti i lavori che ho citato sono contributi dell stesso valore” (quindi il numero di citazioni in sè non conta una “benemerita cippa”, a meno che io non dia un’indicazione di valore per ciascuno). Voglio dire, scrivere un articolo o un libro è un lavoro faticoso, e anche preparare seriamente un elenco di citazioni non è una passeggiata. Perchè questo mio lavoro deve essere utilizzato (senza che io riceva nessun tipo di compenso, tra l’altro) per fini estranei allo scopo del lavoro stesso e, anzi, fini che mi trovano profondamente contrario? (oltre ad essere palesemente scientificamente e metodologicamente non validi) La mia “proprietà intellettuale” del lavoro che ho scritto, inclusa la preparazione della bibliografia, non mi dà il diritto di impedire l’uso del mio lavoro in questo senso? Ovvio che se lo faccio solo io conta ben poco, ma se decidessimo di farlo in tanti? Anche solo scrivendo che abbiamo preparato la bibliografia seguendo le linee guida di DORA? Grazie!
Il problema posto da Paolo B è molto serio. Non sono in grado di esprimere un’opinione sul regime di tutela del numero delle citazioni come prodotto intellettuale. La posizione di Paolo B, se estremizzata, potrebbe produrre l’effetto che nessuno possa utilizzare i risultati (pubblicati) di una ricerca senza il consenso dell’autore. In genere lavoriamo per rendere pubblici i risultati e per consentire che la Società possa fruire dell’intelligenza collettiva. Non sottovaluto, tuttavia, il carattere ‘non scientifico’ della contabilizzazione delle citazioni per usi strumentali e senza citazione (dell’autore delle citazioni).
Immagino, comunque, che la mancanza di standardizzazione preordinata del sistema di citazioni renda incomparabili i lavori pubblicati in sedi diverse. Ritengo artificiose le tecniche di scelta tra ‘valutazione tra pari’ e ‘valutazione(?) bibliometrica’ nei casi in cui il numero di citazioni non sia rilevante per gli indici più diffusi (ad esempio perché il lavoro è stato pubblicato alla fine del periodo di rilevamento). Certamente si deve ritenere che il metodo di ‘misurazione’ è inappropriato e può dire molto poco sulla ‘valutazione’.
In un altro mio intervento su ROARS del 2013 (per vederlo basta cliccare sul mio nome) avevo sostenuto la tesi che la ‘misurazione’ bibliometrica può dire molto poco in termini di ‘valutazione’. In quella occasione mi riferivo ai criteri per l’ASN e ai poteri delle relative Commissioni. L’illusione ‘oggettivista’ ancora diffusa in quel periodo impedì che al problema si prestasse attenzione. La successiva giurisprudenza amministrativa ha fatto ampiamente giustizia di una linea che immaginava di ‘valutare misurando’ (peraltro misurando con metro incongruo). Mi pare che il Regolamento ASN in corso di emanazione (è stato approvato dall’ultimo CdM, ma non se ne conosce il testo) dica qualcosa in questa direzione.
Il problema si ripropone nella VQR.
Grazie a @Giuseppe Vecchio e @Angelo Farina per le loro risposte. Malgrado la prospettiva sia affascinante, non credo ci sia da aspettarsi azioni di singoli rettori o della CRUI.
Quello che mi pare di capire, piuttosto, è che – fondando più o meno sulle stesse contestazioni di ‘irragionevolezza’ – i docenti e i ricercatori delle università italiane potrebbero ricorrere contro la compilazione e l’applicazione ex lege di liste di riviste nei settori non bibliometrici. Tali liste, infatti (se interpreto bene) possono essere considerate ‘irragionevoli’ per i punti: 1) presunzione di oggettività; 2) inversione temporale; 3) sovrapposizione nello stesso organo di competenze valutative e di competenze normative.
In più, esse turbano il mercato, attribuendo una posizione dominante ad alcune sedi rispetto ad altre (non so quanto questo possa essere un argomento di tipo giuridico, ma a me sembra importante!). Secondo voi in questo caso possiamo trovare elementi per cominciare, per via giudiziaria, a togliere qualche pietruzza a all’immondo castello giuridico costruito sull’ANVUR e dall’ANVUR? Grazie
Rispondo in merito alla proprieta’ intellettuale, ed al controllo sull’utilizzo delle pubblicazioni.
La legge sul diritto d’autore e’ molto chiara, il controllo sugli usi delle pubblucazione e’, in linea di principio, dell’autore, anche se la pubblucazionece’ fatta da un dipendente universitario nell”ambito delle sue mansioni.
Nel soli caso la pubblicazione venga fatta a cura e spese dell’Universita’, alla stessa spetta il controllo sugli usi della pubblicazione per un periodo ridotto a soli 2 anni, dopodiche’ il controllo torna agli autori. Se invece parliamo di dipendenti del settore privato, tale termine e’ di 20 anni.
Quindi, poiche’ la VQR copre le pubblucazioni fatte negli anni 2011 – 2014, e siamo a marzo 2016, l’Universita’ puo’ utilizzare liberamente, senza autorizzazione degli autori, solo le pubblicazioni stampate dopo marzo 2014 (9 mesi).
Per tutte le altre, occorre l’autorizzazione degli autori.
A scanso di utilizzo non autorizzato delle mie pubblicazioni, leggete l’avviso legale che ho messo in fondo alla pagina web da cui rendo disponibili al mondo i PDF contenenti immagini di qualita’ degradata di tutte le mie pubblicazioni:
http://www.angelofarina.it/Public/Papers/list_pub.htm
Grazie a tutti per le osservazioni!
Dal punto di vista giuridico, non so se teoricamente potrei vietare l’utilizzo del mio lavoro scientifico; certo, dal punto di vista dell’etica professionale non posso (e neppure mi conviene). E comunque (nella mia ignoranza) sento affermare che la consuetudine è fonte del diritto, quindi la questione sarebbe parecchio delicata. Invece, riguardo all’utilizzo delle mie bibliografie, una ragionevole certezza ce l’ho; del resto, molti editori mi chiedono espressamente l’autorizzazione per l’inserimento nelle banche dati. Anche questo, naturalmente, conviene sia a me che agli altri studiosi, salvo il fatto che preferirei che le banche dati potessero essere consultabili liberamente e gratuitamente (anche qui, DORA è esplicita). Quindi, se gli editori si sentono in dovere di chiedermi l’autorizzazione per l’inserimento nelle banche dati (in realtà, mi obbligano…), a maggior ragione dovrei poter negare l’autorizzazione per l’uso delle mie bibliografie ai fini di valutazioni di istituzioni e di singoli studiosi. E nemmeno credo possa valere il principio del silenzio-assenso, perchè io, quando stilo una bibliografia, non ho certo in mente di dichiarare che chi cito “è bravo” (anzi, come notano molti miei colleghi, potrei citare un lavoro per sottolineare che contiene errori). Suppongo che anche giuridicamente questo sia un argomento valido, e che quindi le valutazioni bibliometriche di singoli e istituzioni siano falsate da principio. Certo che se in molti dichiarassimo esplicitamente di negare l’uso delle nostre “reference list” a fini valutativi, sarebbe ancora più significativo.
Paolo b@ Mi pare di pensarla come lei. In merito alla Crui/CUN, la crui rappresenta se stessa, il CUN è stato votato da tutti (o quasi) noi. Di tanto in tanto arrivano segnali di fumo della sua esistenza, non crede che come il CSM dovrebbe essere questo organismo a rappresentarci a farsi sentire e a farsi valere? Avrebbe per sua stessa natura una maggiore autorevolezza e istituzionalità. Non crede?
Sì, l’ho detto anche sopra in un altro commento. Il CUN fa il suo lavoro, a volte bene, a volte male, ma se nessuno lo sta a sentire? Però magari anche noi potremmo parlare più spesso del CUN e meno della CRUI. Più ne parliamo, più le riconosciamo autorevolezza (che assolutamente non ha, almeno a mio parere).