Alcune delle dimissioni di commissari nel corso della prima tornata ASN, dimissioni che hanno rallentato notevolmente i lavori delle commissioni, talora con esiti particolarmente preoccupanti, sono state motivate sulla base dell’art. 51 del Codice di Procedura Civile.

L’articolo recita:

Il giudice ha l’obbligo di astenersi:

  1. se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  2. se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  3. se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  4. se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
  5. se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’ associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. (1)

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.

 

(1) Il presente numero è stato così modificato dall’art. 16, L. 09.01.2004, n. 6, con decorrenza dal 19.03.2004. Si riporta di seguito il testo previgente:

“5) se è tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’ associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.”

A questo proposito, ci pare rilevante una sentenza del TAR Molise, relativa a un concorso per professore di II fascia, che accogliendo le motivazioni del ricorrente ha ribadito che:

È evidente che, in un concorso pubblico universitario basato sulla valutazione comparativa dei titoli scientifici, non può essere priva di rilievo la circostanza che   uno   dei   commissari    sia   coautore,    insieme    a   uno   dei   candidati,  di numerosissimi  lavori  scientifici  proposti  per  la  valutazione  e  sia  la  stessa persona a dare una valutazione – sia pure in un giudizio condiviso dell’intera commissione – sui lavori scientifici di cui essa è coautrice. È plausibile che, in una tale  situazione  –  resa  ancor  più anomala  dalla rilevantissima  quantità  di lavori scientifici prodotti dalla collaborazione tra commissaria e concorrente –  il   componente   di   commissione   non   possa   trovarsi    nella   posizione di imparzialità, assolutamente richiesta per una valutazione obiettiva, trasparente e legittima.

Una delle parti più rilevanti della sentenza sembra risiedere in questa affermazione del TAR Molise:

Di scarso rilievo è l’obiezione – formulata dalla difesa dell’Amministrazione – che nei lavori di che trattasi, il contributo scientifico della commissaria sarebbe nettamente distinguibile da quello della candidata. È evidente che, quando si sceglie di lavorare «in equipe» con altri ricercatori scientifici o di cooperare alla realizzazione di una ricerca collettanea, Il lavoro di ciascun ricercatore si fonde con quello di tutti gli altri in un prodotto unico, anche quando le parti di quel prodotto e i rispettivi autori siano nettamente distinguibili, di guisa che il giudizio sulla bontà del prodotto sarà plausibilimente condizionato da una benevolenza attitudinale, in chi ha preso parte alla realizzazione di esso.

Finora, invece, soprattutto se l’apporto del commissario coautore risultava distinto dall’apporto del candidato coautore, la giurisprudenza maggioritaria, in particolare quella del Consiglio di Stato, ha ragionato  in senso opposto, ritenendo non compromessa la serenità e l’obiettività di giudizio del commissario.

Si vedano ad esempio: Cons. Stato, Sez. VI, 31-05-2012, n. 3276:

[…] richiamando il costante ed univoco orientamento espresso da questo Consiglio di Stato, occorre ribadire che “i rapporti personali, scaturiti dalla cura di pubblicazioni scientifiche in comune fra membri della commissione d’esame e candidati, non costituiscono di per sé soli vizi della procedura concorsuale né alterano la par condicio fra candidati specie se si considera che nel mondo accademico le pubblicazioni congiunte sono ricorrenti per il rilievo che assumono come titoli valutabili, nelle carriere scientifiche dei concorsi”

(Cons. Stato, sez. VI 5 maggio 2001, n. 2707; negli stessi termini cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 1999, n. 8; Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2004, n. 1325; Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2009, n. 354)

Cons. Stato, Sez. V, 16-08-2011, n. 4782:

[…] costituisce principio consolidato, affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio in materia di concorsi universitari ed estensibile alla procedura in esame, quello secondo cui non comporta l’obbligo di astensione di un componente la Commissione giudicatrice di concorso a posti di professore universitario la circostanza che il commissario ed uno dei candidati abbiano pubblicato insieme una o più opere; tenuto conto che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica che risponde alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca (Consiglio Stato, sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5885); non costituisce, quindi, ragione di incompatibilità la sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale mentre l’obbligo di astensione sorge nella sola ipotesi di comunanza d’interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, ma in virtù della conoscenza personale con il commissario; nella specie risulta ricorrere tra il candidato ed il Presidente della commissione un rapporto di mera collaborazione scientifica di carattere accademico mentre non risulta dimostrata la sussistenza di un rapporto di carattere patrimoniale con le caratteristiche indicate dalla ricordata elaborazione giurisprudenziale.

Cons. Stato, Sez. VI, 28-06-2010, n. 4145:

[…] l’odierna appellante lamenta l’incompatibilità, quale commissario, del prof. M. per la sua attività collaborativa nel settore scientifico con il candidato prof. B. […]  tali censure sono prive di consistenza in quanto emerge, dagli atti, solo un’ordinaria attività collaborativa, priva di rilevanza economica, tra i due in ambito universitario e, in particolare, la collaborazione in alcune pubblicazioni, elemento, questo, che per costante giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., tra le tante, Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1567; 29 luglio 2008, n. 3797), non incide sulla regolarità delle operazioni concorsuali.

Le considerazioni espresse dai Giudici sono senz’altro meritevoli di considerazione. Resta il fatto che – anche in aree scientifiche di una certa dimensione – prevedere che un commissario non possa giudicare dei suoi coautori creerebbe probabilmente notevoli problemi nella reperibilità dei commissari. Si tratta, insomma, di una questione non di poco conto, che richiederebbe attenzione da parte dei policy makers e riflessioni approfondite da parte di coloro che sono interessati ai destini dell’Università italiana.

Ecco la sentenza: Ricorso N. 00185 2011 REG.RIC

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9 Commenti

  1. Riporto il commento di Roars: “Le considerazioni espresse dai Giudici sono senz’altro meritevoli di considerazione. Resta il fatto che – anche in aree scientifiche di una certa dimensione – prevedere che un commissario non possa giudicare dei suoi coautori creerebbe probabilmente notevoli problemi nella reperibilità dei commissari.”

    Quindi i ricercatori autonomi in grado di stabilire collaborazioni interdisciplinari al di fuori del gruppetto locale controllato dal baronetto di turno devono rassegnarsi a non fare carriera anche se lo meriterebbero?

    o meglio ancora dovrebbero smettere di pubblicare e ridurre la loro visibilità per non disturbare e mettere in ombra il baronetto con i suoi porta-borse e porta-altro?

    Mi sembra che il ruolo unico della docenza sia l’unica soluzione a tale sistema (troppo incancrenito da secoli di cattive abitudini).

  2. a questo proposito, faccio notare che nelle ultime edizioni dei Firb hanno sempre vinto gli allievi dei commissari scelti dal ministero. Pensate che sia possibile che un commissario possa scegliere i referees del progetto del proprio gruppo e poi giudicare alle audizioni i propri allievi senza alcun conflitto d’interesse? Come rivisto nell’edizione 2013, le strategie sono due: o fare presentare i propri allievi come Principal Investigator oppure, per i più accorti, far presentare i propri allievi come responsabili di un’unità sub-ordinata ad un’altra. La cosa buffa è che ci sono state anche delle strane defezioni di commissari che si sono fatti sostituire, guarda caso, da commissari che avevano la propria allieva come responsabile di un’unità all’interno di un progetto con PI dello stesso dipartimento del commissario dimissionari.
    Io penso che almeno quest’ultimo caso poteva essere bloccato. Perché nominare un commissario sostitutivo in palese conflitto d’interessi a poche settimane dalle audizioni?

  3. Non credo che un procedimento giudiziario in sede civile abbia molto in comune con un concorso per l’assunzione di un professore universitario. Ma nemmeno con qualsiasi altro concorso per il reclutamento di personale, se permettete.

    Non sono un giurista ma mi sembra che una causa civile abbia ad oggetto una vertenza tra due o più persone, fisiche o giuridiche, derivante da conflitto di interessi o dalla negazione di diritti. La necessità di un giudizio civile nasce quindi dall’esigenza di tutela di diritti/interessi individuali in reazione ad una (presunta) violazione da parte di altri. Chiaramente, chi giudica non deve avere interessi in comune con i giudicati, e nemmeno un qualsiasi motivo di possiile distorsione nel giudizio. Ma non è difficile trovarlo, un giudice con queste caratteristiche, trattandosi di dirimere una questione specifica sorta nei rapporti fra un numero limitato di persone.

    Il caso di una assunzione in ruolo per concorso pubblico è diverso. Noi siamo portati a dimenticare il fatto che un concorso ha come scopo principale quello di assicurare alla pubblica amministrazione di poter scegliere il candidato più adatto alle esigenze dell’impiego da coprire. Perciò, pur mettendo in concorrenza degli individui, il concorso non ha come scopo principale quello di “premiare” il “migliore” fra gli individui partecipanti. Il fatto che si debba selezionare il “migliore” fra i candidati non discende da un principio di giustizia o equità nei confronti degli individui candidati, ma è nello stretto interesse dell’amministrazione che bandisce il concorso.

    In questa visione, non è pensabile che la selezione ottimale possa essere garantita da una ipotetica autorità terza che non abbia alcuna conoscenza precedente delle qualità dei candidati in relazione alla disciplina di cui si tratta. Anzi, poiché nel mondo della ricerca esiste la competizione fra scuole diverse, l’amministrazione che bandisce il posto di professore è sicuramente più garantita nel proprio interesse se la scelta è operata da docenti della propria università, e deve piuttosto guardarsi dall’affidare la scelta a qualcuno “formalmente compatibile” con il candidato ma, potenzialmente, nella sostanza in conflitto di interessi con l’amministrazione che bandisce. Nessuna università americana si sognerebbe di affidare la selezione a docenti di un’università concorrente.

    Non sto dicendo che non si debba ricorrere alla formulazione di giudizi sui candidati da parte di terzi, anzi è necessario. E non c’è nulla di male se i giudizi sono sollecitati dai candidati stessi. Tali giudizi debbono essere pubblici, in modo che chi li esprime se ne assuma la responsabilità in termini di reputazione propria.

    Ma la decisione finale sulla selezione deve spettare alla amministrazione che bandisce. Voi vietereste ad un artigiano di assumere a tempo indeterminato un suo apprendista che ha dato buona prova?

    Certo, molte università USA si danno la regola di non assumere un docente che abbia conseguito il dottorato presso l’università stessa. Questo però non ha niente a che fare con la lotta al nepotismo. Si fa per assicurare un ricambio delle idee, una specie di fecondazione gamica come nelle piante. Nasce dall’interesse dell’università, non dalla salvaguardia dell’interesse di potenziali concorrenti danneggiati.

    • Ma nel caso dell’ASN, in cui non si tratta di una Università/Amministrazione che deve assumere un docente, ma di valutare il livello di maturità scientifica raggiunta dai candidati, per poi consentire loro di accedere alle procedure di assunzione vere e proprie, non sarebbe bene che i commissari si astenessere dal valutare i propri allievi o stretti collaboratori con cui condividono buona parte (spesso tutti) i propri lavori?

  4. La considerazione sull’artigiano e’ interessante ma non convincente. Se l’artigiano assume un apprendista meno bravo di un altro paga di tasca sua. Il riferimento ad universita’ americane o piu’ in generale di matrice anglosassone non considera che in quei paesi i processi di valutazione, se si sbagli il reclutamento, prevedono dei tagli di budget significativi.
    Nel nostro Paese se una università od un centro di ricerca o le istituzioni che abbiano come missione la formazione scelgono o assumono un ricercatore, un docente, un insegnante meno bravo di altri paghera’ sempre pantalone.
    Personalmente ritengo che la valutazione sia un processo complesso e non facile da attuare, ma affidare ad una commissione interna la responsabilita’ di individuare il migliore per una determinata posizione puo’ facilmente significare una scelta interna basata sugli esclusivi interessi di un dipartimento, di un settore scientifico- disciplinare o di un potente professore. Credo che gli esempi non manchino. Sul discorso del coautoraggio penso non possa essere un elemento discriminativo nelle situazioni ‘occasionali’ ma sia da non includere in una commissioni concorsuale un membro il cui nome sia in modo ripetuto presente nelle pubblicazioni di un candidato.

    • Ciao, stai suggerendo che dovremmo adottare una politica tipo “sbagli rclutamento–> tagli di budget” per le assunzioni publiche?

  5. Un esempio dell’entità del problema posto che, se diffuso, incrina la credibilità del processo di abilitazione.
    Settore 06A1 PA.
    Un commissario è coautore nel (circa) 92% delle pubblicazioni del candidato (e in – circa – il 70% di esse è primo, ultimo o penultimo nome).
    In altre parole tutte quelle presentate meno 3/4.
    Per tralasciare il fatto che sono entrambi parte di uno spin off universitario.
    Probabilmente, il candidato supererà le mediane avendo, ovviamente, valori non dissimili da quelli del commissario.
    Immagino la seduta in cui la commissione valuta la qualità della produzione del candidato … pardon del commissario.
    Se non lo abilitano, minano alla radice la credibilità scientifica del commissario, se lo abilitano lo marchiano a vita come abilitato perché aveva in commissione il proprio mentore (e non per gli eventuali meriti propri).
    E’ l’unico caso?
    Il commissario (ovviamente il candidato ha tutte le ragioni nel presentarsi) non avrebbe dovuto astenersi?
    Non sarebbe stato meglio anche per il candidato?
    Ma il ministero non ha dato delle linee guida alle commissioni per evitare queste situazioni?

    • Condivido in pieno. Ci sono casi del genere per molti (forse tutti) i settori concorsuali.

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