[In una qualsiasi Università italiana, nell’anno 2020]

— “Dottore, dottore, buongiorno! Dottore mi aiuti!”

— “Buongiorno professore!”

— “Scusi l’irruenza, ma sono un po’ sconvolto”.

— “Ma si figuri, siamo qui per questo”.

— “Sapevo che l’Università ha istituito questo punto di ascolto e allora sono venuto”.

— “Ha fatto benissimo! Mi dica tutto”.

— “Ecco dottore io… io… ecco…”

— “Non si vergogni, la prego”.

— “… ecco io… insomma… vedo cose, sento voci…”

— “Ah! Di che tipo? Mi farebbe un esempio?”

— “Ecco. L’altro giorno ero a mensa e mangiavo tranquillamente. A un certo punto, alla mia sinistra sento le voci di giovani ricercatori che si discutono animatamente sulla correttezza di un saggio scientifico appena uscito, dilungandosi in dettaglio sulle critiche e i possibili sviluppi di una certa teoria”.

— “Ohibò!!”

— “Allora mi rallegro, guardo alla finestra, e dentro di me mi dico: ‘c’è speranza!”’

— “E poi?”

— “E poi mi giro e sento che adesso parlano della prossima riunione in dipartimento e di come si usa il nuovo, complesso sistema elettronico per la rendicontazione amministrativa dei progetti, con enfasi sugli aspetti legali connessi”.

— “Continui…”

— “Allora scherzando faccio una battuta su come i giovani passano con facilità dalla scienza alla burocrazia. Quelli però mi guardano come se fossi un marziano”. 

— “In che senso?”

— “Nel senso che non avevano mai parlato di ricerca. Mi ero immaginato tutto”. 

— “Beh certo, ricercatori che a tavola parlano di ricerca, con tutte le cose serie che urgono… la situazione era effettivamente paradossale. Ha avuto altri disturbi del genere?”

— “Sì, qualche giorno dopo. Entro in un’aula dove siedono tanti miei colleghi. C’è un seminario dove un invitato da fuori, un famoso scienziato, parla delle sue ultime scoperte. Molto appassionante”.

— “E che accade?”

— “Accade che a un certo punto mi distraggo. Ritorno in me e adesso a parlare non c’è più quello di prima, ma il presidente del corso di studi che invita a decidere il nuovo numero di crediti dei corsi. Non era un seminario, ma una riunione del consiglio di laurea. Scoppia un parapiglia perché non si sa se assegnare otto o nove crediti a un corso che ha due ore in meno del necessario di teoria ma tre in più di laboratorio. Io osservo che si tratta di questione puramente burocratica, che non si è discusso dei contenuti, ma tutti si voltano verso di me e mi deridono. Di fatto la questione è cruciale perché un credito in meno in quell’esame farebbe crollare tutta la delicatissima impalcatura a incastro dei crediti dell’intero corso di laurea, causando una reazione a catena con esplosione finale. Nessuno potrebbe più laurearsi. Un disastro insomma”.

— “Ovvio. I crediti prima di tutto, caro il mio professore. Devo spiegarglielo io? Lei si era concentrato erroneamente sui contenuti e giustamente ha suscitato l’ilarità generale. Ma continui, prego”.

— “Due settimane dopo, a ricevimento, entra uno studente e mi pone una questione molto interessante, che esula dai contenuti del corso. E allora io incomincio a spiegare, a spiegare, ma poi…”

— “Ma poi?”

— “Poi vedo che quello mi guarda come se fossi matto”.

— “Perché?”

— “Lo studente era venuto per chiedermi cosa avrei probabilmente inserito nella traccia d’esame, quanto durasse l’esame, se si facesse anche l’orale. Le formalità e basta”.

— “Beh, e che si aspettava? Anche questo è del tutto normale”. 

— “Ecco, mi ero di nuovo immaginato tutto”. 

[Il Professore abbassa lo sguardo, sconsolato – Fa un grande sospiro]

— “Insomma dottore, adesso capisce. Che ne pensa?”.

— “La sua situazione, professore, mi appare chiara. Anzi, chiarissima”. 

— “Davvero? Di che si tratta?” 

— “Certo. Quelli come il suo sono casi ormai rari, ma non impossibili. Lei soffre di allucinazioni anacronistiche”.  

— “In che senso, scusi?”

— “Vede, lei vorrebbe, o meglio, crede, di lavorare nell’Università del 1960 e non in quella odierna. Non ritrovandosi nel presente, la sua mente costruisce esperienze audio-visive anacronistiche, ovviamente fittizie, facendole vivere situazioni irreali che le danno un breve, illusorio conforto. Lei pensa che il suo lavoro sia occuparsi di ricerca, di problematiche scientifiche, fare lezione a studenti interessati e altre cose dei tempi che furono. Ma capisce lei stesso che non è così. Si svegli!”. 

— “Capisco dottore”.  

— “Professore, mi permetta di esserle chiaro. Bisogna intervenire subito, prima che sia troppo tardi”. 

— “Davvero?”

— “Se non interveniamo subito, lei vivrà sempre più in questo mondo parallelo, e tutto sommato inutile, fatto di studio, riflessione, ricerca e approfondimento. Si troverà sempre più isolato, sarà deriso dagli altri, e infatti hanno già cominciato a dileggiarla. Perderà finanziamenti e scatti. Infine, lei sarà espulso dal sistema. Diverrà un reietto”.

— “OMG!!!”

— “Ma non si preoccupi, la cura per quelli come lei c’è! E’ una terapia dura, ma efficace, in-fal-li-bi-le. Funziona sempre!”.

— “L’ascolto, dottore!”

— “Prima di tutto, toootal detox [dice proprio così, col la “o” lunga]. Lei deve tassativamente smettere di leggere articoli scientifici per almeno un anno. E da subito!”.

— “Ma, dottore!”

— “Non si preoccupi, vedrà, non se ne accorgerà nessuno. Nessuno è più interessato a queste cose, specialmente gli Uffici”. 

— “Ma è pesante!” 

— “Pesante, ma necessario. Inoltre – mi guardi, non fugga nella sua irrealtà – lei dovrà leggere dieci volte al giorno ciascuno degli oltre cento regolamenti della nostra università, compreso quello per il personale addetto alle pulizie. Tutti, compresi commi e allegati. Inoltre, dovrà diventare un drago con la tabellina dei crediti degli esami. E – va da sé – dovrà partecipare a tutte le riunioni: commissioni, collegi, comitati, tavoli e gruppi di lavoro. La sua vita sarà una riunione inesorabile, continua. Una cura da cavallo. Immerso nella vera realtà universitaria. Infine, lei dovrà essere delegato a seguire a turno tutte le questioni amministrative senza aver curato le quali nessun professore oggi è degno di essere chiamato tale. Le  servirà per scacciare dalla testa questi brutti e velleitari pensieri legati alla ricerca scientifica”.

— “Dottore, non so se posso farcela. Mi creda”. 

— “Ce la farà, ce la dovrà fare; lo faccia per noi. Entri nel nostro team e condivida la nostra mission”. 

— “Ma io…”

— “Ce la farà. E adesso mi scusi, fuggo. Sono anch’io un accademico, devo andare a compilare i moduli per richiedere i crediti riconosciuti a chi partecipa al corso di aggiornamento obbligatorio sulla postura corretta per ottimizzare la calligrafia nella scrittura di ricette mediche. È necessario. Sennò addio scatti!!!”. 


Sono possibili due commenti per immagini a questa storiella di Giuseppe Mingione che abbiamo letto sui social e che gli abbiamo proposto di pubblicare.

Ciascuno scelga quello che preferisce.

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6 Commenti

  1. Ho riso amaro. E’ quel che accade, dico di esser dileggiati dai colleghi perché non ci si è conformati al degrado. I medici, fortunatamente, ti dicono che sei un mobbizzato e che questo avviene nei confronti dei brillanti che non devono essere messi in grado di competere: caso da manuale, accade nelle aziende in crisi, quando si ha poca disponibilità economiche.

  2. Il dialogo è divertente. Ma il rimpianto della Università degli anni ’60 francamente la trovo fuori luogo. Questo passato mitico in cui si pensava solo alla scienza, gli studenti erano tutti appassionati, la burocrazia non esisteva… questa sì mi sembra una allucinazione anacronistica.

    • Ovviamente problemi ce n’erano anche allora e arrivisti, disonesti e imbroglioni sono sempre esistiti. Ma tutti riconoscevano un valore allo studio e al “sapere”, chi studiava era oggetto di rispetto e di stima, e non c’era nessuno che si vantava di non aver mai letto un libro. Nicola, dimmi se è poco. (Non c’era nemmeno la bibliometria, e qui Giuseppe si arrabbierà :P ma anche qui mi pare che poi siamo regrediti parecchio)

  3. Invece di andare dal dottore, sarebbe bene essere coerenti e solidali. Io lo sono stata e a mie spese (TANTE)
    https://www.roars.it/tar-umbria-non-puo-essere-considerata-inattiva-la-docente-che-ha-boicottato-la-vqr/
    e lo sono ancora: non nel mio nome (per quel che conta).
    “Mentre plaudo ai membri del gruppo di riesame, che hanno dedicato il loro tempo,
    che così è stato sottratto allo studio e alla ricerca, dichiaro la mia contrarietà all’approvazione di frazioni e
    percentuali il cui valore positivo o negativo viene deciso in maniera verticistica dal MIUR, che fa classifiche
    tra atenei pubblici come se l’università fosse un’azienda che vende un prodotto, senza dare risorse economiche
    e di docenza.”

    • Mi complimento sinceramente. Credo che all’ingiustizia si debba rispondere uniti. E’ più facile. Un commento amaro: dal dottore vanno quelli che soffrono di più in questa assurda situazione. Certamente, se vi fosse più corale presa di posizione il dottore guadagnerebbe meno. Perché non è tanto difficile parlare, denunciare, quanto portarsi sulle spalle le conseguenze di ciò che si è detto e fatto.

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