C’era un tempo in cui gli stati europei, inclusi diversi degli stati italiani preunitari, acquisivano le risorse finanziarie utili per la gestione delle loro attività politico-militari attraverso la vendita delle cariche pubbliche. Si tratta di un istituto ben noto agli storici di quel periodo del passato noto come “antico regime”. Eppure, potrebbe tornare di attualità, e costituire oggetto di dibattito sul presente e soprattutto sul futuro dell’università italiana. Almeno è questo che sembrano prefigurare alcune recenti operazioni messe in atto da alcuni atenei italiani, inclusi importanti atenei italiani – come quello bolognese a cui appartengo.
Naturalmente, nessuno si sognerebbe di mettere in vendita cariche accademiche. Ci mancherebbe. E tuttavia, come vedremo, è questo che sembra stia accadendo per rimediare ad uno dei mali ben conosciuti della vita accademica e scientifica italiana, quello della cosiddetta “fuga dei cervelli” con l’annessa incapacità dell’università italiana di trattenere le sue risorse umane “migliori”, visto che si presume sempre, in virtù di un radicato provincialismo, che se si va o si è all’estero si è comunque per ciò stesso più bravi, a prescindere da cosa sia questo “estero”, e come se ogni cosa fatta fuori dai confini nazionali fosse per ciò stesso meritevole.
La polemica è emersa già qualche anno fa, e ruota intorno ai bandi ERC – i prestigiosi e soprattutto ricchissimi (qualcuno dice eccessivamente ricchi) grants messi a disposizione dall’Unione Europea per singoli ricercatori, di qualunque nazionalità tra quelle previste dall’UE, che presentino un progetto di ricerca competitivo. Ricordo a sommi capi la questione, su cui esistono dati statistici semplici quanto illuminanti: l’Italia figura (quasi) in vetta nella graduatoria dei paesi dei vincitori, ma è in coda o quasi tra le università ospitanti. In breve: i ricercatori italiani vincono con una certa facilità ma con altrettanta facilità vanno a fare ricerca fuori d’Italia. E’ scandalo: cosa fanno le università italiane? perché non promuovono i “giovani ricercatori” italiani meritevoli? perché non creano le condizioni per una loro scelta patriottica? Perché questi finanziamenti ingenti vinti da ricercatori che hanno studiato in Italia dovrebbero essere poi “goduti” da università straniere?
La questione in realtà è mal posta. Per come funziona il mondo della ricerca scientifica, non c’è nulla di riprovevole nella circolazione dei cervelli, anzi. Il vero problema è infatti un altro: e cioè che mentre gli italiani che vincono fondi ERC vanno all’estero (o tendono a restarci, se già ci sono), i non italiani che vincono – spagnoli, tedeschi, inglesi, francesi, ungheresi, finlandesi ecc. – non vengono in Italia, generando un bilancio negativo per il paese. Il MIUR si fa carico della questione, e interviene “snellendo” procedure e destinando fondi ad hoc per le chiamate dirette di questi ricercatori vincitori dei “prestigiosi” grants europei.
Ecco allora che qualche ateneo, anche importante, si muove, cerca anch’esso di ovviare a questa incresciosa situazione facendo tesoro delle agevolazioni ministeriali, che lasciano tra l’altro molta autonomia in sede locale. Evviva. E come intervengono gli atenei? Creando le condizioni migliori per incentivare i vincitori di grants ERC a scegliere l’Italia come base per la loro attività di ricerca con fondi ERC, o a tornare in Italia se sono all’estero e da lì hanno vinto il loro grant. Sì ma come, concretamente? Beh, un modo efficace lo si trova presto: ti do una cattedra, anche da ordinario se serve per convincerti a stare/tornare in Italia, anche a prescindere dal tuo CV – in effetti, una “offerta che non si può rifiutare” come avrebbe detto un celebre personaggio di un altrettanto celebre film. Tu mi dai i tuoi overheads (o la quota prevista dal regolamento UE per l’ateneo ospitante, che non è piccola), e io ti metto in cattedra (con fondi ministeriali) in qualche SSD, meglio se poco o male controllato in sede locale così nessuno protesta o ostacola, anche se non si capisce bene a quale disciplina afferiscono le tue ricerche e se le tue pubblicazioni non soddisfano al 100% i requisiti dell’ASN. Poi con il MIUR si vedrà: ci sono sempre i distratti, e in fondo una volta che un ateneo, ovvero un suo dipartimento, il suo senato e il suo CdA hanno già approvato, perché obiettare (posto che a quanto pare il CUN non ha incredibilmente alcun ruolo nella procedura). Bello no? Finalmente un’università agile, che punta alla qualità, che fa a meno dei baronati e dei corporativismi disciplinari e che con un colpo di bacchetta azzera tutte le pastoie e le lungaggini del reclutamento ordinario. Ma non è tutto oro quello che luce, come si dice.
Facciamo un esempio, puramente teorico si intende. Immaginiamo un giovane ricercatore che vince, certo per suo merito, un grant. Immaginiamolo relativamente giovane, così giovane almeno accademicamente (insomma, per il CV che può vantare, per le pubblicazioni che può esibire) che il bando a cui partecipa e di cui risulterà alla fine uno dei (meritevoli) vincitori è uno Starting Grant, destinato a ricercatori junior. Mettiamo anche che il vincitore abbia già una posizione, junior (che so, da lecturer, o da assistant professor) in una università straniera, perché già da tempo ha spiccato il volo. Comprensibilmente, l’università (straniera) in cui si trova avrà interesse a tenere il vincitore, accettando la sua richiesta di promozione ad associate professor. E cosa può fare allora l’ateneo italiano che tanto vorrebbe fare per i giovani ricercatori italiani che lavorano all’estero, per competere nel mercato internazionale dei grants? Gioca al rialzo, chiaro, offrendo la cattedra di prima fascia. Ma non era uno Starting Grant, destinato a ricercatori junior? Sì, ma pare che questo sia un dettaglio per il nostro ateneo italiano che fa della promozione della ricerca e dell’internazionalizzazione uno dei perni del suo programma d’azione innovativa e meritocratica. Non solo: essendo impegnati nella loro ricerca, i ricercatori ERC non possono dedicare molte energie e tempo alla didattica, per cui gli si concede uno sconto (più o meno ingente a seconda della capacità di negoziazione del singolo) anche su questo fronte, al limite facendogli insegnare quel che vuole a prescindere dai fabbisogni di ateneo (insegnamenti previsti dai programmi ministeriali ma che sono scoperti in sede locale per carenza di personale docente). Neppure sembra contare che la vincita di un grant, per quanto competitivo, non è di per sé indice di capacità di ricerca né di risultati perseguiti. Non è un premio, è una risorsa. Di fatto, il grant serve per condurre quella ricerca i cui risultati saranno valutabili successivamente. Certo, il vincere bandi non è privo di valore in un CV, ma non si è studiosi maturi perché si sono vinti finanziamenti, tanto più se esplicitamente destinati a “giovani ricercatori”. Evidentemente, c’è in qualche ateneo italiano la presunzione di poter valutare la qualità delle performance di ricerca sulla base del capitale economico di cui si dispone – assai più che scientifico e intellettuale, quale risulta depositato nelle pubblicazioni scientifiche e anche nei titoli (che includono riconoscimenti o premi per ciò che si è già fatto, non per ciò che ci si propone di fare). Perché il sospetto è proprio questo: che al di là della retorica ufficiale a contare davvero non sia il valore intellettuale ma il denaro che si può fare affluire alle casse dell’ateneo, tramite fondi e l’aggiunta dei contributi ministeriali. Ed ecco che un istituto che si credeva scomparso dai tempi della Rivoluzione francese almeno torna, sotto mentite spoglie, nell’Italia della postmodernità.
Resta da capire quali effetti può generare questa politica di incentivazione e della facilitazione – oltre all’effetto di far tornare in Italia capitale umano qui formato e far affluire ad atenei italiani capitale finanziario europeo. Perché non è detto che iniziative nate per combattere un male non ne generino poi altri. Come ben sanno gli scienziati sociali dai tempi almeno di Tocqueville e di Marx, non tutti gli effetti della azioni intenzionali sono infatti quelli desiderati e non sempre le buone intenzioni producono effetti virtuosi. Anzi, capita spesso che le conseguenze di azioni apprezzabili e razionali nelle loro intenzioni originarie siano del tutto impreviste, irrazionali, e talvolta persino perverse. Mi limiterò qui a segnalarne quattro, di questi ‘effetti perversi’.
Primo: il sistema funziona solo se si individua un SSD che sia confacente almeno in linea di massima con il CV del ricercatore ERC e con l’ecologia disciplinare di un dipartimento – che nel caso di un grande ateneo non si dovrebbe far fatica a trovare. Avendo vissuto fuori dal sistema italiano il ricercatore ERC può benissimo non avere chiaro cosa sia un SSD e avere anzi un CV difficilmente inquadrabile in uno dei pur numerosissimi SSD nostrani. Meglio, si dirà, così iniettiamo un po’ di aria fresca nell’asfittico e rigido sistema degli SSD. Certo, ma se poi tutto il sistema accademico compreso quello del reclutamento e dei finanziamenti ordinari funziona sulla base di SSD si ingenera una contaminazione di logiche e di criteri di valutazione che forse farà bene alla ricerca (cosa da vedere) ma di certo fa male alla razionalità e alla chiarezza del sistema, evocando situazioni appunto da “antico regime”. Che dire poi della inevitabile attività didattica che il ricercatore ERC neocattedratico sarà chiamato comunque a svolgere (per quanto in misura inferiore alla norma stante la sua ben finanziata attività di ricerca), sulla base di principi e criteri di classificazione dei corsi che ancora una volta sono definiti dal sistema degli SSD? Per dirla chiaramente: che disciplina andrà ad insegnare – e soprattutto come la insegnerà – il nostro bravo ricercatore ERC la cui carriera accademica può essersi svolta negli interstizi dei nostri SSD, e che al momento del rientro non deve neppure dimostrare ad una qualche commissione di esperti del SSD le sue competenze in quel settore?
Secondo: come detto, il ricercatore ERC viene attratto proponendogli insieme alla cattedra (di seconda o prima fascia poco importa: un ateneo importante come quello bolognese sorprendentemente non distingue, avendo “superato” per regolamento interno ogni proporizionalità tra tipo di grant e tipo di cattedra che il buon senso, e la legge a quanto mi risulta, istituisce) un carico didattico inferiore a quello previsto dall’ordinamento vigente. Al limite, può essere che la nuova risorsa umana non sposti di una virgola il peso didattico dei docenti già in essere, perché va ad insegnare quelle poche ore che gli vengono richieste su argomenti che meglio si addicono al suo interesse di ricerca e alle sue competenze, lasciando intatto il monte ore e il carico di studenti di chi è già nel dipartimento. Intanto però il suo posto viene classificato come afferente ad un certo SSD, che si troverà così potenziato solo sulla carta, e con minore possibilità di essere potenziato con i canali di reclutamento ordinario. Si aggiunga poi che, come ben sappiamo, non tutte le discipline possono contare su efficaci baluardi all’infiltrazione dall’esterno (non dall’estero, dall’esterno dei confini disciplinari). Quelle meglio attrezzate saranno le prime a ergere le mura contro l’eventuale ospite indesiderato (tanto più indesiderato quanto più viene ad interferire con piani di reclutamento programmati a livello di dipartimento o anche solo di gruppo disciplinare), lasciando quelle meno potenti (almeno in sede locale: al limite, quelle discipline che non contano nessun rappresentante nel dipartimento in questione) in balìa delle scelte di prorettori e direttori di dipartimento che con quel SSD nulla hanno a che fare, e rispetto a cui certamente non possono ergersi a valutatori del merito o della maturità scientifica. In breve, alcuni SSD finiranno per divenire riserve di caccia per (pro)rettori e direttori alla ricerca di fondi o lustrini (in forma di unità di conto statistiche sull’entità di fondi ERC attirati) a scapito del principio di autonomia scientifico-disciplinare ovvero di competenza nella valutazione del merito scientifico intradisciplinare che dovrebbe essere riconosciuto e garantito a tutte le discipline.
Terzo: per funzionare questa politica così flessibile e poco ortodossa ha bisogno di un certo grado di complicità (non mi spingo a usare il termine ‘collusione’), tra organi di ateneo e qualche dipartimento o suoi legali rappresentanti, per gestire l’operazione senza dare troppo nell’occhio almeno nelle prime fasi. Questo riduce la trasparenza e il potere (o meglio il diritto) di controllo collegiale, e finisce per esasperare le divisioni tra SSD poiché di fatto l’operazione interessa e può interessare immediatamente un SSD soltanto – che può essere avvantaggiato dal reclutamento straordinario ma anche svantaggiato e pesantemente menomato, materialmente come simbolicamente (per le ragioni già dette). E il principio che guida le condotte nei dipartimenti è come sappiamo troppo spesso il Mors tua vita mea degli antichi romani.
Quarto: si dà ai più giovani studiosi il segnale a mio avviso pericolosissimo che restare in Italia scrivendo e pubblicando in vista dell’ASN – quindi stando attenti a non uscire troppo dai perimetri disciplinari e aspettando il verdetto di una commissione appositamente istituita per la valutazione del merito e della competenza (al di là dei limiti di tale sistema, che comunque esiste per legge e quindi si presume che valga per tutti) – e magari sostenendo anche con la loro didattica da precari corsi che non riuscirebbero a stare in piedi con i soli incardinati, sia in fondo tempo perso, se poi può arrivare all’improvviso un loro compagno o collega dei tempi degli studi universitari che per ragioni varie se ne era andato dall’Italia e che può tornare scavalcando ogni vincolo istituzionale che invece si richiede a chi è rimasto in Italia. Certo, il ricercatore ERC ha una sua legittimazione extra, ha vinto un prestigioso bando, e questo è merito suo. Nulla da eccepire, non è però questo il punto. Il punto è che con la politica di reclutamento straordinaria tramite acquisizione di ricercatori ERC si presume che questi siano ipso facto migliori dei ricercatori rimasti in Italia che hanno coltivato altrimenti le loro qualità e le loro competenze, ad esempio scrivendo articoli scientifici e libri – quelli che se non si hanno in un certo numero e di un certo tipo (leggi fascia A) “non si hanno le mediane”. Ma quando le mediane non le hanno i ricercatori ERC che si fa? E’ possibile che i requisiti minimi di produttività e produzione scientifica imposti per legge e fatti valere dalle commissioni ASN valgano per tutti ma in realtà non proprio per tutti? Francamente non lo so, non è chiaro. Se qualcuno lo sa ce lo dica.
Ecco che, da politica di incentivazione al rientro dei cervelli, l’acquisizione senza metodo e senza regole condivise ovvero scriteriata di vincitori grants ERC si può paradossalmente tradurre nel suo opposto, in incentivo all’espatrio di chi in Italia è rimasto contribuendo a tenere in piedi la fatiscente università italiana – l’opzione exit è sempre possibile per fortuna, anche per chi aveva originariamente scelto l’opzione loyalty (quella voice la diamo un po’ per persa, in questa Italia di inizio millennio). Ma sino a quando il nostro sarà un paese dove per rimediare alle malefatte del passato si combinano nuovi disastri?
Molto di quanto descritto mi pare frutto di un pregiudizio personale. Io penso che un meccanismo che favorisca il ritorno in Italia di persone brave non vada visto negativamente. Comunque la chiamata diretta, anche se ERC, passa per un parere (via CUN) alle commissioni ASN e dubito che quelle commissioni darebbero parere favorevole se la persone chiamata non fosse dello stesso livello di un abilitato.
Credo che, invece di fare cattedre Natta, sarebbe utile incentivare di molto i meccanismi ordinari di chiamata diretta. La chiamata diretta permette con una certa facilità anche la chiamata di stranieri.
Le politiche restrittive degli anni passati hanno mandato fuori d’Italia un sacco di persone valide, non perchè il sistema è brutto e mafioso, ma perchè semplicemente non c’erano abbastanza posti.
Poi sui carichi di insegnamento trovo l’articolo non condivisibile e anche un pochino sgradevole. Infatti i professori hanno 3 tipi di compiti (ricerca, didattica e organizzazione, per i medici anche il lavoro di assistenza). In tutti i dipartimenti abbiamo gente (spesso tra i più anziani) scientificamente meno attiva, allora se invece di fucilarli in piazza, come vorrebbe l’ ANVUR, chiediamo a queste persone di fare qualcosa in più sulla didattica e organizzazione, visto che fanno meno sulla ricerca, non ci trovo nulla di male. Magari questo consentirebbe a persone più giovani e più attive di fare di più e meglio nella ricerca. Allora favorire una didattica più leggera per un ERC di rientro non mi sembra affatto una cosa sbagliata.
chiediamo a queste persone di fare qualcosa in più sulla didattica e organizzazione…
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In realtà molti lo stanno già facendo e di loro spontanea volontà, e vengono comunque crocifissi in piazza (basta stare sotto mediana no?). Mi piacerebbe sapere in che modo qualcosa di simile potrebbe essere messo in piedi con il reale riconoscimento della attività didattica e di organizzazione realmente svolta in più (voglio poi vedere l’ANVUR a stabilire di chi o di cosa…).
Mi sembra che tre delle quattro motivazioni portate contro tali politiche siano legate unicamente a possibili sconvolgimenti degli ormai obsoleti e insensati equilibri tra SSD.
SSD che sono la tragedia delle politiche dipartimentali di ampio respiro, e la rappresentazione di una vergognosa difesa corporativa di una concezione un po’ passé dei confini tra gli ambiti scientifici, proprio attraverso l’erezione dei “baluardi contro l’invasione dall’esterno” del settore.
Può essere non mi sia spiegato bene. Mi sentirei di dire che di pregiudizio personale qui c’è solo quello a favore di una università italiana che funzioni davvero e che non si riempia la bocca di slogan e non creda di risolvere i suoi problemi con provvedimenti improvvisati. Io penso esattamente come te che un meccanismo che favorisca il rientro in Italia di persone brave (assumendo che tutti gli ERC siano bravi) non vada visto negativamente (ci mancherebbe!!!!!!!!). Penso anche però che questo meccanismo vada studiato per bene. Ad oggi non mi pare le cose stiano così. Il parere via CUN a me NON risulta sia richiesto dal meccanismo attuale, così come non è chiaro quanto siano coinvolte in questa procedura di chiamata diretta le commissioni ASN. Mi risulta anzi che ci siano trattative in cui di criteri ASN nemmeno si parla. Ed esistono documenti di atenei che, in virtù dell’autonomia, reinterpretano le indicazioni MIUR ad esempio rispetto alla corrispondenza tra tipo di grant e fascia di reclutamento, lasciando ampia libertà all’ateneo di “fare la migliore offerta”. Il punto che sollevo è quindi ben altro rispetto a quanto mi pare tu abbia colto, e cioè che il meccanismo di chiamata diretta, nell’incertezza normativa in cui ci si trova, e in un sistema costruito su fondamenti rigorosamente pubblicistici (con regole e norme, e vincoli, che si presume valgano per tutti coloro che si trovano nella medesima condizione), possa finire per produrre effetti perversi. Nel mio post ne individuo quattro, e vorrei che su questi si discutesse. Un ultimo appunto: certo che ci sono buone ragioni per attribuire una didattica più leggera a un ERC di rientro, ma nei dipartimenti italiani ad essere scientificamente attiva per fortuna c’è gente di ogni età, e a molti di coloro che sono molto attividi ogni età non solo i carichi didattici non vengono scontati ma viene spesso chiesto di farsi carico anche di insegnamenti aggiuntivi per cui mancano docenti. A meno di coprire questi corsi con contratti ad esterni, quei contratti che alimentano l’esercito del precariato accademico.
Come informazione la procedura di tutte le chiamate dirette, prevede che il CUN riceva il parere della commissione ASN del SC corrispondente. Io sono membro di commissione ASN e sul server miur per le commissioni, ho nella colonna a sinistra la voce delle chiamate dirette.
L’informazione non è corretta.
Il Cun non riceve nessun parere. E’ il miur che invia direttamente alle commissioni asn. Talvolta il Cun può intervenire, ma lo fa prima che la pratica vada alle commissioni asn e interviene solo se e quando il ministero ha dubbi sulla esistenza dei presupposti che legittimano le chiamate dirette, in termini ad es di equivalenze. Non sappiamo dunque quante pratiche passìno alle commissioni senza intervento Cun che è meramente facoltativo, ossia viene richiesto dagli uffici solo in caso di dubbi sulle equivalenze dei titoli. Una volta che il miur invia alle commissioni asn, il CUN non entra più in scena neppure eventualmente.
La fattispecie di chiamata diretta cui si riferisce Marco Santoro nel post effettivamente NON PASSA dalle commissioni asn e l’ascrizione dei vincitori agli Ssd dipende solo da Ateneo e da interessato. Non tutte le chiamate dirette sono uguali! Sulle chiamate per direttissima, diciamo, il CUN è intervenuto denunciando il vulnus arrecato al (pur imperfetto, ma si sa il meglio è nemico del bene) sistema dei settori.
Ecco il link ai documenti cun e ai post relativi su roars: https://www.roars.it/?s=chiamate+dirette
Ho acquisito le informazioni di cui sopra dal Presidente del CUN, prof.ssa Carla Barbati.
PS: che gli SSD siano il male dell’univeristà italiana non ci piove. Ma il fatto è che questo è il sistema in cui siamo costretti ad agire. Ed è in questo sistema di vincoli (sulla interdisicplianrità, sulle logiche di reclutamento, sulla distribuzione delel attività didattiche ecc.) che si calano come schegge impazzite le procedure di chiamata diretta e le trattative tra atanei e ERC. Aboliamo gli SSD!!!!!
Basterebbe permettere a chi ha un grant europeo di usarlo per pagarsi uno stipendio di livello europeo per la durata del grant (un posto da ordinario italiano non è competitivo sul mercato): questo attirerebbe persone dinamiche e non chi cerca un posto fisso. L’Italia guadagnerebbe risorse a costo zero. Immagino che non venga fatto perché urterebbe suscettibilità baronali?
Baroni con stipendi da fame che si oppongono a che meritevoli geni possano guadagnare lauri stipendi. Mi sembra che torni tutto …
Qui si generalizza da una parte e dall’altra. I casi son infiniti : c’è il prof che fa tanta didatica bene e poca ricerca. c’è il prof che fa tanta ricerca e poca didattica. c’è il fanullone. c’è l’erc bravo. c’è l’erc che è un bluff. c’è l’erc che truffa.
qui però il punto mi sembra un altro: si promuove qualcuno per i soldi no perchè ha dimostrato di essere bravo. e si prumuove a PO uno che è uno starter. Ci vogliono regole, per esempio un vincitore ERC viene promoso solo dopo che ha dimostrato che il suo progetto ha portato a qualcosa di riconosciuto dall’accademia internazionale … ma è un illusione … ornai c’è la corsa a prendere i soldi in qualsiasi modo.
una illusione
scusate ma vincitori di starting grant che ottengono un posto da PO è fantascienza. Non ci credo nemmeno se me li presentano e loro me lo confermano.
C’è una tabella di corrispondenze (del Miur, non solo del Cun), per cui a un vincitore di starting privo di abilitazione si può offrire in realtà al massimo un posto da RTD-B, secondo il decreto ministeriale 963 appunto del Miur.
A me pare che questo articolo mischi cose in modo un po’ approssimativo.
Anzitutto, un ERC non viene assegnato solo sulla base di un progetto, ma anche di un CV che deve essere adeguato alla realizzazione di un progetto di ricerca ambizioso. La maggior parte degli starting vengono vinti da persone che hanno 6-7 anni di esperienza post-doc, e quindi la valutazione della carriera conta molto anche a quel livello. La valutazione e’ molto piu’ intensa di una ASN qualsiasi e quindi sinceramente non vedo perche’ uno che e’ stato bravo non debba essere premiato con una posizione. Se cosi’ non fosse, non saremmo competitivi (come in effetti le statistiche ci dicono).
Inoltre, un dipartimento non prende solo il ricercatore piu’ il suo overhead. Prende anche tutte le persone e la ricerca che il grant puo’ finanziare, qualcosa come 300k€ all’anno pre 5 anni, ovvero 3-6 persone (a seconda di quanto si spende in materiale). Quindi il punto non sono solo i soldi che il dipartimento riceve, ma anche i risultati scientifici che possono arrivare. Di nuovo, non vedo perche’ un dipartimento che vuole fare buona ricerca non dovrebbe prendere una persona che portera’ questo valore.
Detto questo, sono d’accordo sul fatto che se si danno posizioni solo a persone con un ERC, si tagliano fuori tutte quelle persone che hanno tirato avanti la carretta fino ad ora, che sono rimaste ed hanno dovuto fare a pugni con la brutta situazione dell’universita’ italiana, e per questo non vinceranno una ERC. Ad esempio, un “giovane” ricercatore 35enne che si e’ fatto 3 anni di dottorato e 7 di assegni di vario tipo non potra’ avere grant a suo nome, dottorandi di cui e’ stato advisor, titolarita’ di progetti di ricerca ecc.. tutte cose che in un CV contano, e che per la maggior parte dei ricercatori italiani Starting non e’ possibile fino a quando non si ottiene un RTD (in realta’ non ci sono norme che lo impediscono, ma nella pratica e’ cosi’).
Quindi purtroppo siamo nella situazione di dover trattare i nostri ricercatori in modo diverso da quelli stranieri, dovendo considerare le situazioni svantaggiate da cui provengono per non essere surclassati da quelli stranieri (e questi concetti li ho sentiti anche da italiani che stanno nelle commissioni ERC).
Mi pare che le approssimazioni pullulano un po’ in tutti i commenti che stanno arrivando, salvo poi confermare quello che viene detto nell’articolo di partenza (che distingue molto chiaramente tra “i soldi che il dipartimento riceve”, che sono l’unico dato certo, e gli eventuali, e sottolineo eventuali, “risultati scientifici che possono arrivare”). Da nessuna parte nell’articolo si dice che un dipartimento NON dovrebbe prendere una persona che porterà un valore aggiunto. Il punto, lo ripeto, è il meccanismo e le sue potenziali conseguenze perniciose o perverse. Intanto, per essere meno approssimativi, un pezzo di informazione che evidentemente manca a molti degli intervenuti, in parricolare a . Cito da un documento di ateneo (Unibo):
“L’art. 7 del Decreto Ministeriale 635 del 08/08/2016 che sostituisce l’art. 4 co. 1 del DM 963/2015 ha esteso le possibilità di chiamata per i vincitori di ERC, prevedendo in particolare quanto di seguito riportato:
«Su proposta dell’Università, tenendo conto della rilevanza del programma di ricerca, i vincitori dei programmi finanziati dallo European Research Council (ERC) “ERC Starting Grant”, “ERC Consolidator Grant”, “ERC Advanced Grant”, in qualità di “Principal Investigator” (PI), possono essere destinatari di chiamata diretta per la copertura di posti di ricercatore a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010, ovvero di professore di ruolo di II o di I fascia». Ne deriva che diventa possibile, per ogni linea di intervento del programma ERC, proporre la chiamata diretta del PI quale RTD b) o professore di ruolo di II o di I fascia, con le modalità previste dall’art. 1 comma 9 della Legge 230/2005.” [Fine della citazione dal documento Unibo].
Siamo nel Paese delle Meraviglie, evidentemente…
Secondo me è sterile denunciare distorsioni che, però, sono solo ovvie conseguenze della patologia VERA. SE vale il principio dell”’autofinanziamento”, e se il PI di un ERC-Grant è il titolare unico dei fondi (dopo un ‘prelievo’, lo si chiami pure ‘pizzo’, ma se non ci fosse, un PI non sarebbe molto attraente verso altre strutture di ricerca) ebbene, allora è del tutto consequenziale che gli atenei possano chiamarlo direttamente. Se così non fosse l’ERC-Grant varrebbe ENORMEMENTE di meno dal punto di vista del PI.
I politici che hanno strutturato tutte queste belle ‘riforme’ degli ultimi anni non sono stupidi, sbagliano (la qual cosa è a mio avviso peggio di un crimine) nel ritenere che l”indice di produttività” sia: riprendersi i soldi stanziati verso l’Europa per la ricerca (Progetti, ERC etc). E’ facile per loro adottare questo indice perché si presta bene a mimare il ‘profitto’ aziendale, nel senso che induce Dipartimenti e Istituti di Ricerca a cercare il ‘profitto’ (assimilabile a ‘introiti esterni’, p.es. da ERC, Progetti europei etc.).
Dominati da una ideologia neo-liberista basta a questi politici escogitare anche solo un surrogato del concetto di profitto per persuadersi della verosimiglianza delle proprie invenzioni.
Una volta però che si accetta la premessa, sulle conseguenze non c’è più Cristo che tenga. Se devi spingere le persone a lavorare per gli ERC a questo punto gli strumenti sono contabili con le dita: per incentivare qualcuno a lavorare per qualcosa che è molto difficile ottenere (l’ERC) gli devi promettere un grosso premio. Nell’ambiente accademico c’è solo UN grosso premio: la carriera accademica. Diventare velocemente ordinario. Esclusi quindi gli ordinari (non incentivabili), la regola della ‘chiamata’ diventa assolutamente necessaria per incentivare tutti gli altri possibili operatori.
Il problema come dicono altri commenti e’ che noi chiamiamo “premiare l’eccellenza” una cosa che invece si chiama “non abbiamo soldi per finanziare il sistema, quindi ne prendiamo pochi”.
In questa situazione, se il criterio di ingresso nell’ universita’ italiana e’ “devi vincere una Starting grant” ovviamente svantaggia quelli che rimangono, e *proprio* perche’ rimangono (il fatto che ci prendiamo poche ERC Starting ne e’ una misura. Il nostro sistema non e’ competitivo con gli altri: a partita’ di eta’, un giovane ricercatore Italiano ha un CV ed un esperienza peggiore perche’ e’ stato trattato come un precario sfigato e non come un professore).
Da qui a dire che i dipartimenti si prendono i vincitori di ERC solo perche’ portano overhead (che peraltro non spetta per forza al dipartimento) e bonus, mi pare che ci sia un salto logico non condivisibile.
Per Leobowsky: perfetto, ma finché chi chiama
“premiare l’eccellenza” una cosa che invece si chiama “non abbiamo soldi per finanziare il sistema, quindi ne prendiamo pochi”, non lo consideriamo come una persona in ASSOLUTA MALAFEDE (e non una ‘opinione’ detta in buona fede), noi non faremo passi in avanti.
Mi scuso per l’anonimato, ma se possibile fidatevi della mia sincerità e buona fede. Sono stato vincitore di ERC all’estero e sono rientrato in Italia grazie ad una chiamata diretta come raccontato nell’articolo.
Racconto brevemente la mia esperienza personale, che dalla scarsa statistica che mi è concesso conoscere è molto rappresentativa di molti altri come me:
a) dopo il dottorato in Italia ho condotto molti anni di post-doc all’estero, più per scelta che per necessità (nel senso che probabilmente avrei potuto campare anche in Italia, ma ho avuto lo stimolo e la possibilità di girare un po’).
b) la mia produzione oggettiva, non legata a nessun grande progetto internazionale, è superiore alla media/mediana secondo qualsiasi tipo di parametro io conosca (inclusi quelli della ASN);
c) ho svolto la mia parte di didattica all’estero (non è che nelle realtà estere che conosco la didattica e la gestione degli studenti la facciano i postini o i messi comunali, eh, ma sempre il personale di ricerca);
d) ho vinto un ERC, passando per una serie di referaggi e controlli di qualità oggettivamente più stringenti che in qualsiasi concorso italiano (od estero) al quale io sia passato in precedenza. Faccio notare che, nel mio caso come nella maggior parte, la commissione ERC è molto meno a rischio di “conflitti di interessi” che la maggior parte di commissioni (nazionali e ristrette a pochi commissari) di altri possibili concorsi.
e) avendo preso in considerazione la possibilità di rientro in Italia, ho chiesto ad alcuni istituti di ricerca/Università l’interesse a recepirmi, ed una Università mi ha offerto la possibilità di entrare come ricercatore TDB.
Bene, al momento non me ne sono pentito.
Mi permetto però di rivoltare il problema (all’articolista ed in generale a chi legge):
ho il fondato sospetto che nonostante la mia attività di ricerca pregressa (azzardo a dire oggettivamente eccellente secondo ogni standard) e le mie più che plausibili chance di buoni successi futuri, io nel sistema universitario italiano non sarei più potuto rientrare, se non fosse per i fondi extra che si sono mossi assieme a me. Ovvero, che i fondi ERC (o qualsiasi altro tipo di finanziamento analogo) siano il dazio necessario perché un sistema tanto intasato prenda in considerazione la possibilità di assorbire un corpo estraneo, che da qualche anno “è fuori dal giro” della particolare sede o istituto. E perché questo processo avvenga con successo, è come giusto necessario che diversi livelli di responsabilità in Ateneo si riuniscano, decidano e votino ed alla fine deliberino o meno la chiamata, sempre colla sgradevole sensazione che si tratti di un qualche tipo di favore che viene concesso al rientrante (appunto perché “non ha tirato la carretta negli anni precedenti eccetera”).
Insomma, fatta salva la necessità di essere sicuri dell’eccellenza o anche solo dell’adeguatezza ai criteri esistenti per il reclutamento di chi si va a reclutare, il vero rischio secondo me è che per un (fortunato/a e bravo/a) vincitore/rice di ERC esistano almeno cinque o dieci altrettanto eccellenti, che il sistema italiano non accoglierà mai o molto difficilmente senza la dote extra dei loro fondi, in barba alla vera eccellenza.
Scusate lo sfogo/commento.
Caro Sentenza, grazie per la lucidità e i chiarimenti; congratulazioni per l’ERC, che avrà fatto rosicare centinaia di colleghi mediocri. Come ha osservato Simona Ventura una volta espulsa con il televoto dall’Isola dei famosi: l’Italia è una repubblica fondata sull’invidia.
Congratulazioni. Nel mio dipartimento per anni hanno detto no a vincitori di ERC che volevano rientrare dall’estero. Senior che vogliono imporre la linea di ricerca (che non fanno in prima persona). E giovani che temono di essere scavalcati dai nuovi arrivati. Dicono di no a tutti, poi si lamentano che mancano persone e fondi.
X Marcello GA: gli ideatori di queste splendide ‘riforme’ degli ultimi anni, nella loro onirica visione aziendalista non hanno considerato un ‘piccolo’ particolare: il giovane che teme di essere scavalcato o il senior che vuole imporre la linea di ricerca semplicemente se ne fottono delle prestazioni del dipartimento nel suo complesso. Anche ammesso che un ERC alzi il punteggio del dipartimento, tale innalzamento non sarebbe dovuto a loro, e quindi ne risulterebbero ancora più sminuiti.
Caro sentenza non penso ci si debba vergognare o aver paura di dire di aver vinto un ERC.
Mi complimento con lei per la vittoria del prestigioso grant.
Lasci perdere però l'”eccellenza” che è solo retorica (funziona bene però) dei potenti accademici messa in bocca alla massa di giovani per giustificare la loro condizione precaria (una sorta di “giochetto Jedi per menti deboli”, cit.) al fine di evitare aumentare la qualità media della ricerca (mica possiamo davvero pretendere di di aiutare la crescita del Paese). Prima le risorse si tenevano “riservate” in base alla presunta superiorità di censo (i vecchi baroni) ora gli eredi dei baroni lo fanno in base alla retorica del merito e dell’eccellenza.
Non c’è bisogno di nascondersi dietro parole vacue
e senza alcun senso se non declinate in termini relativi:
cosa significa “eccellenza vera”?
Sarebbe questa l’eccellenza vera?
quella degli “eccellenti” truffatori e vincitori di ERC:
https://forbetterscience.com/2016/08/03/does-erc-help-cheaters-pay-protection-money/
ai quali nulla può succedere perché le università in cui lavorano non hanno nessuna voglia di rinunciare ai soldi dell’ERC.
Continui a fare il suo lavoro bene come ha sempre fatto e sicuramente questo farà bene alla ricerca e al paese.
Cordialmente
Se non mi sbaglio in 10 anni circa di ERC l’università pubblica ha perso 12000 posizioni a tempo indeterminato di docente universitario (i circa 300 vincitori di ERC non sono nulla al confronto) e l’IIT ha avuto 1 miliardo di euro (il doppio di quanto hanno avuto i 300 vincitori ERC). Il PRIN ha perso circa 600 milioni di euro rispetto alle attese (finanziamenti 2000-2005) e non parliamo del FFO. Qui sulla Terra c’è qualche problemino.
Esatto ! Oltre la ciliegina ci dovrebbe essere la torta, nel qual caso della ciliegina potremmo anche non parlarne affatto.
bisogna ovviamente distinguere.
Il fatto che Horizon2020 funzioni (poiché i suoi soldini li dà) è scarsamente interrelato col fatto che il Miur non sganci più nulla.
Diciamo pure che Horizon può andare. A me piacciono forse più gli schemi Marie Curie degli ERC, ma a parte questo, non si può dire che non funzioni.
Il problema è tutto italiano, invece.