Le classifiche di riviste elaborate da ANVUR per la VQR sono uno strumento davvero utile ai fini della valutazione? Come sono state composte?

Segnaliamo gli articoli ospitati dal Corriere della Sera intorno alla questione della classifiche di riviste scientifiche.

Il 23 aprile è intervenuto Paolo di Stefano sulle riviste di Italianistica (Le classifiche del merito, Pasolini in B, Gadda in C):

Il fatto è che anche volendo considerare le sedi istituzionali, la classifica dell’Anvur presenta delle sviste clamorose: «In Fascia A – sorride Ferroni – ci sono riviste che non ho mai sentito nominare. Ma è il principio a lasciarmi perplesso: tutto è assimilato al pensiero unico economico-finanziario, si cerca di riprodurre il mondo delle agenzie di rating. Non è il metodo più adatto per valutare la ricerca, non solo in ambito umanistico ma anche in ambito scientifico»

Il 25 aprile è stata pubblicata la replica di Marina Giaveri, del GEV 10 (Non conta la rivista ma il valore della ricerca).

Il 26 aprile è stata la volta di Sebastiano Maffettone (Il ranking è una cura peggiore del male):

Perché – ci si chiederà – il metodo dei ranking potrebbe essere una terapia peggiore del male? A mio avviso, perché sposta l’enfasi e l’interesse dallo studio a queste classifiche spesso incomprensibili. Andando avanti così, finiremo con il creare una prossima generazione di studiosi abili a far entrare nel più breve tempo possibile in classifica loro stessi e i loro dipartimenti, ma magari scarsamente appassionati alla ricerca.

Il 30 aprile il Corriere ha pubblicato anche un articolo in materia di Alberto Baccini e Antonio Banfi, di cui riporteremo successivamente il testo.


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