«Se tutti i Rettori e la CRUI avessero tenuto un comportamento unanime e solidale oggi non saremmo arrivati a questo punto. Sappiamo anche che i pochissimi Rettori che hanno tentato di prendere le nostre parti sono stati zittiti, quando non dileggiati, dalla stragrande maggioranza dei colleghi, che si vantava di aver saputo controllare bene la protesta dei “ricercatori” e le astensioni dalla VQR. Ci hanno traditi tutti, per passare all’incasso di quelle briciole che oggi si accorgono essere del tutto insufficiente a tenere in piedi il sistema»

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

  • le slide della Lezione accademica speciale del Rettore dell’Università di Parma in occasione della primavera dell’università – 21/03/2016
  • il documento elaborato dal Movimento per la difesa della dignità dei docenti dell’Università di Parma, che è stato letto il 21 marzo 2016 durante l’evento organizzato dal rettore per la primavera dell’università.

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Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria

 

Primavera dell’Università, o piuttosto, Inverno?

 

Questo documento riassume la posizione del “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria”, un movimento che è nato spontaneamente in tutto il Paese e che si è esteso in questi mesi utilizzando soprattutto la rete e la posta elettronica. Uno dei suoi ispiratori è il docente torinese Carlo Ferraro.

La motivazione più importante che ha portato alla nostra mobilitazione è stato il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata nel quadriennio 2011-2014, e la decisione del Governo di sbloccare gli scatti di anzianità solo dal 2016. Ciò che il movimento richiede è già stato concesso a TUTTE le categorie dei lavoratori dello Stato. Non ci sono ragioni razionali perché questo non sia riconosciuto anche a noi, che ci vediamo come unici discriminati in senso negativo.

Siamo forse più “brutti e cattivi” delle altre categorie a cui ciò è già stato riconosciuto? In particolare, in ordine temporale di riconoscimento, le categorie sono queste:

  • Dipendenti di Organi Costituzionali (Camera, Senato, Corte Costituzionale)
  • Magistrati
  • Avvocati dello Stato
  • Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado
  • Forze armate e forze dell’ordine
  • Medici delle Aziende Sanitarie
  • Personale delle carriere Prefettizia e Diplomatica
  • Personale della Pubblica Amministrazione

Qualcuno intravede un ordine logico in questa successione?

Forse c’è, a ben vederlo.

Per effetto del blocco degli scatti stipendiali per 5 anni noi abbiamo già pagato alla causa comune una somma importante che ci era dovuta. E non ne chiediamo la restituzione. Perché siamo persone responsabili ed abbiamo dato il nostro contributo per concorrere a risolvere le difficoltà del Paese.

Ma non è accettabile che, durante questi 5 anni di blocco in cui abbiamo regolarmente lavorato, in pratica per il Governo ed il Ministero è come se noi non fossimo esistiti. Non è possibile che 5 anni di carriera vengano cancellati di colpo. Ciò che sta accadendo, per noi si traduce in un danno ingentissimo a livello individuale, che è stato stimato fino a 27 mila euro per i ricercatori, 38 mila per gli associati, 54 mila per gli ordinari ogni 10 anni di prosecuzione di questo stato di cose. Danno tanto più grave nei giovani universitari, perché il mancato riconoscimento ai fini giuridici di 5 anni di attività lavorativa effettivamente svolta prefigura un danno importante che si riverbera su pensione e liquidazione.

 

Effetti_blocco

 

Il Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria ha così deciso, su base nazionale, di protestare astenendosi dalla partecipazione alla VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca). Questa decisione è stata presa per poter attirare l’attenzione del Governo e dei media su ciò che stava accadendo senza provocare danni all’attività didattica, agli studenti ed alle loro famiglie. E’ stata una decisione importante, sofferta e responsabile.

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Malgrado il fatto che non tutti gli Atenei, né il MIUR abbiano comunicato dati aggiornati e veritieri sulle dimensioni della protesta, stime affidabili dimostrano che il boicottaggio ha coinvolto in modo attivo tra il 5 e l’80% dei docenti nelle varie sedi italiane. A Parma, alla data del 4 marzo, fonti ufficiali dell’Ateneo hanno dichiarato che 270 “addetti alla ricerca” sul totale di 862 si erano astenuti, partecipando alla protesta. Significa oltre il 30% del totale. La media di astensioni su base nazionale è di circa il 25% del personale universitario. A nostra memoria, mai si era vista una tale mobilitazione spontanea. La nostra astensione è stata preceduta da una fitta pioggia di delibere di dipartimento e di Senati Accademici, di mozioni e lettere ai Rettori: almeno 174 ad oggi, secondo Ferraro.

E poi cosa è accaduto? E’ accaduto che il MIUR e gli Atenei, nelle persone dei loro Rettori, hanno deciso di operare il “caricamento forzoso” dei prodotti della ricerca, incuranti della nostra protesta e delle sue ragioni. Su questo punto occorre essere chiari: la partecipazione alla protesta è stata un grande successo. Abbiamo attirato l’attenzione sul problema, abbiamo resistito fino alla fine malgrado le chiare azioni di mobbing esercitate nei nostri confronti in molti Atenei e Dipartimenti. Abbiamo resistito fino ad obbligare il MIUR e il CINECA ad operare in modo autonomo, forzando il sistema, che è stato così snaturato nella sua modalità di funzionamento.

I numeri relativi alla partecipazione alla VQR che oggi vengono citati dall’ANVUR e pubblicati su alcuni organi di stampa sono il numero di “mancati prodotti” conferiti alla VQR dopo l’azione di caricamento coercitivo dei dati. Ovvero, questo numero non rende giustizia della reale partecipazione da parte di colleghi che si sono astenuti dal compilare la VQR. Sono numeri edulcorati, preparati per dichiarare il falso, per addomesticare l’opinione pubblica, per sminuire una protesta che ha funzionato molto bene.

Ora ci chiedono di partecipare alla “Primavera delle Università”. Ce lo chiede la CRUI.

Come “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria” di Parma abbiamo deciso di partecipare alla giornata per la “Primavera delle Università” con la piena consapevolezza che oggi dovremmo invece dichiarare “l’Inverno del Nostro Scontento”. Davanti a noi c’è l’inverno, non la primavera. E’ bene che i cittadini lo sappiano.

A nostro avviso, l’invocazione della CRUI a “riaffermare il ruolo strategico della ricerca e dell’alta formazione per il futuro del Paese” è troppo tardiva, e per nulla convincente. Gli eventi accaduti lo dimostrano.

E’ inverno, perché non abbiamo mai avuto l’appoggio dei Rettori della CRUI quando si trattò di protestare contro una riforma, la riforma “Gelmini”, che ha cancellato la figura del ricercatore di ruolo, che ha ucciso le legittime ambizioni dei giovani ad accedere alla carriera universitaria. Una riforma che oggi non piace a nessuno, ma che allora pareva piacere a tutti – o quasi – i Rettori, che la sostennero come fosse la soluzione dei problemi dell’università.

E’ inverno, perché quando si trattava di protestare contro i tagli generalizzati e lineari alla ricerca e all’alta formazione, con il chiaro intento di “affamare la bestia” per farla funzionare meglio, nessuno dei Rettori si schierò dalla parte di chi cercava di sollecitare l’attenzione su questa svolta chiaramente autoritaria. Appariva lampante che colpire la ricerca e la formazione significava colpire lo spirito critico del Paese. Si trattava di un segnale quanto mai preoccupante, che tuttavia i Rettori parvero non cogliere all’epoca, lasciando 13.000 ricercatori soli a protestare contro la legge Gelmini e il clima che si era creato.

Un inverno lunghissimo. Ci furono incontri tra docenti e ricercatori che ravvisavano il pericolo a cui l’università pubblica andava incontro e la CRUI, presso la sua sede a Roma. Ne era allora presidente il Rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, vicepresidente il Rettore dello IULM, Puglisi, oggi Rettore sempre dello IULM ma anche dell’Università Kore di Enna. Tra i membri sedeva anche una Rettrice di Perugia, allora conosciuta da pochi, oggi ministro dell’Università, Stefania Giannini. Al termine di quell’incontro, quest’ultima esortò a fare attenzione, perché le proteste avrebbero rischiato di renderci invisi al pubblico più di quanto non fossimo già noi universitari, visti sempre come dei privilegiati. Ecco come i Rettori, “primi inter pares”, eletti per rappresentare i colleghi universitari, hanno interpretato il loro ruolo fino ad oggi, invece di farsi baluardo a difesa delle nostre ragioni.

Questa riforma ci ha portato a una burocratizzazione senza fine, al taglio costante dei fondi e delle risorse, a una farraginosa procedura di valutazione che è diventata paradigmatica di come non la si debba fare, a nuove regole per le abilitazioni che cambiano a ogni spirar di vento, all’incertezza sul reclutamento dei “giovani”, al sistematico mancato rispetto delle scadenze della vita universitaria. I dubbi sono infiniti, e non vi è alcuna certezza, a causa di norme incomprensibili e che si accavallano. Nessuna azienda “privata” sarebbe mai sopravvissuta ad una riforma come questa.

E l’inverno continua, “urla il vento ed infuria la bufera” quando nel 2011 il blocco delle retribuzioni venne reiterato, e poi di nuovo nel 2013 e fino al 2015. Forse c’è stato un momento in cui la CRUI cominciò ad accorgersi della sua miopia, ma la sua maggioranza decise di mantenere la barra a dritta, pur vedendo il rischio reale di naufragare fra scogli fin troppo evidenti. Nella tempesta che infuriava, i pensionamenti non solo “affamavano la bestia”, ma le tagliavano le ultime forze, senza alcun ricambio che rappresentasse anche una prospettiva di carriera e di stabilizzazione per i tanti giovani tenuti in parcheggio da un sistema assurdo. Giovani costretti a portare all’estero quelle competenze che noi gli avevamo dato, e per le quali i cittadini italiani avevano pagato. Competenze regalate all’estero, come se noi fossimo un Paese che se lo può permettere. Con una Ministra che risponde pubblicamente, ai giovani che ottengono finanziamenti all’estero, che l’ambiente accademico è internazionale. Certo Sig. Ministro, i ricercatori si muovono in ambito internazionale, la maggioranza di noi lo ha già fatto, per poi rientrare nel nostro Paese ed essere tradito. Ma i fondi di ricerca però sono introitati da strutture di ricerca stanziali, ben ancorati sul territorio, in altre nazioni che competono con noi per i fondi europei. Sarà per questo che il nostro Paese riceve indietro molto meno di quanto spende per la ricerca in Europa? Non è che per caso, attraverso questo meccanismo, stiamo finanziando la ricerca degli altri? Proprio quella dei paesi più competitivi, che ne hanno meno bisogno? Stiamo forse facendo piovere sul bagnato, con enorme spreco di nostre risorse?

Ma alla CRUI si accontentavano di meno. Molto meno. Sembrava bastare che arrivassero i soldi del famigerato FFO: pochi, maledetti e subito. Ma il meccanismo della “garrota” messo in atto dal Governo e dal MIUR non li ha salvati. Nemmeno il “merito” li ha salvati. Che in realtà significa semplicemente togliere un po’ meno. Oggi la CRUI fa appello alla solidarietà di tutti per salvare ciò che non ha saputo essa stessa difendere. Troppo intenta nella sua funzione di organo di governo, e troppo poco in quella di rappresentanza dei colleghi che hanno eletto i suoi componenti.

Perché i Rettori questo dovrebbero essere: nostri colleghi e nostri rappresentanti, e non nostra controparte a difesa di decisioni spesso improvvide e incomprensibili, maturate a danno dell’università pubblica da parte dei vari governi che si sono succeduti nel corso di molti, troppi anni. Molti Rettori hanno tirato dritto anche quando noi abbiamo protestato contro la VQR nel tentativo di usare questa protesta temporanea come un mezzo per indurre MIUR e Governo a trattarci al pari delle altre categorie pubbliche simili alla nostra. Non pretendevamo alcun arretrato, ma un semplice riconoscimento del fatto che non siamo una spesa improduttiva, da punire riservandole un trattamento diverso da tutte le altre categorie del pubblico impiego. Abbiamo chiesto di non cancellare con un colpo di spugna cinque anni della nostra vita di docenti e di ricercatori, che non hanno rinunciato a nessuno dei loro obblighi, né didattici, né di ricerca. Anzi, spesso sovraccaricandosi di impegni didattici e burocratici non dovuti.

Ecco il duro inverno che continua. A questa protesta, che non ha danneggiato in alcun modo né gli studenti né i colleghi di lavoro, come hanno risposto gran parte dei Rettori? Dichiarando che era loro precisa responsabilità fare ciò che il governo e l’ANVUR chiedevano. L’un contro l’altro armati, quasi tutti i Rettori hanno deciso che la volontà dei ricercatori dei loro atenei di astenersi dal conferire i loro ‘prodotti’, per una protesta assolutamente legittima e condivisibile, poteva agevolmente essere aggirata con il cosiddetto “inserimento forzoso”, adducendo a loro salvaguardia improbabili giustificazioni legali. Qualche Rettore si sente al sicuro ora, ma dovrà rispondere di queste decisioni, perché se ciò sia stato legittimo o meno è cosa che andrà (e sarà) verificata nelle sedi opportune.

I Rettori della CRUI non hanno mai messo in discussione né l’ANVUR (un carrozzone costoso, asservito all’esecutivo e senza alcuna garanzia di indipendenza), né il sistema di valutazione da loro elucubrato, una procedura avulsa dalla realtà, sganciata dai metodi riconosciuti a livello internazionale, incoerente nelle sue diverse versioni che si sono fin qui succedute nel corso degli anni, totalmente incapace di restituire alcunché della reale attività di ricerca svolta nel Paese. La procedura di valutazione, per il metodo seguito e gli indicatori adottati, non trova eguale in nessuno dei grandi Paesi UE. Anzi, la VQR “italica” disattende esattamente tutti i requisiti di qualità individuati in UE dalla più estesa operazione di assessment ex-post fatta sui sistemi nazionali di valutazione della ricerca scientifica. E’ bene ricordare che l’ANVUR stessa non è accreditata come membro effettivo della ENQA, la European Association for Quality Assurance in Higher Education. Per non parlare di come alcuni dei suoi membri attuali hanno ottenuto il posto, faccenda che è stata oggetto di inchieste giornalistiche ed è diventata l’ennesimo scandalo mediatico. Verrebbe da chiedersi quali interessi inconfessabili si nasconda in questa operazione.

In conseguenza di tutto ciò, ci troviamo ora con un metodo che si è dimostrato eccellente solo per baloccarsi con astrusità, per descrivere modalità incerte, spesso obsolete e inattendibili. Ma l’ANVUR è stata estremamente efficiente nell’assorbire risorse economiche sottratte alla ricerca pubblica. Il costo della VQR infatti è stato stimato in circa 300 milioni di euro, più del doppio dell’intero finanziamento alla ricerca nel periodo soggetto a valutazione (2011-2014).

Pare che depotenziare il sistema della ricerca pubblica italiana, sottraendo risorse in modo subdolo ed improprio, per poi dirottarle su istituzioni private e “amiche”, istituzioni che private non sono perché si sostengono con denaro pubblico sottratto a tutti noi, sia uno sport nazionale che si gioca da tempo.

Recentemente c’è voluto l’intervento pubblico della senatrice Cattaneo per denunciare l’atteggiamento da “pifferaio” magico del Presidente del Consiglio che, con operazioni di illusionismo demagogico, mentre la ricerca nel nostro Paese agonizza, decide di dirottare preziose risorse pubbliche, accantonate in modo illogico in un tesoretto di diverse centinaia di milioni di euro “dormienti” e depositati presso un fondo privato, sul progetto post-Expo. Lo stesso si dica della sbandierata assunzione di 500 “superprofessori”: anche in questo caso si tratta di un esempio emblematico di distorsioni per fini politici, di improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi pubblici per la ricerca. Un metodo che crea una nuova corte dei miracoli, per la quale c’è già chi si è messo in coda. Sempre la Senatrice Cattaneo dichiara che servirebbe, invece, mettere un limite all’arbitrio della politica, che dovrebbe solo scegliere gli obiettivi da perseguire (quale è la strategia?), lasciando alla libera e meritocratica competizione tra idee la selezione dei mezzi migliori per raggiungerli. A causa di questi comportamenti scellerati e disonesti la comunità scientifica del nostro Paese è stata costretta ad appellarsi all’Europa con la petizione pubblica “Salviamo la ricerca italiana”, firmata da moltissimi docenti e ricercatori del nostro Paese.

Occorre uscire da questo lungo inverno, dalla spirale negativa nella quale, con perseveranza, i Governi degli ultimi 30 anni ci hanno spinto, e che mira a portarci ad una rassegnazione acritica, a un quadro normativo impositivo e invasivo, che sempre più tende a ridurre il mestiere del professore e del ricercatore a quello di un burocrate, soggetto ad astrusi bizantinismi, sottratto alla sua vera ‘missione’ a causa di una costante e progressiva decurtazione dei fondi destinati alla ricerca che pone l’Italia agli ultimi gradini nel panorama dei Paesi occidentali, e non solo.

Ribadiamo con fermezza che proprio sulla ricerca si fonda la differenza tra un docente universitario e un docente di scuola secondaria, poiché l’universitario produce almeno una parte del sapere che insegna. E quindi parla e distribuisce il sapere perché lo conosce di prima mano. Solo questo fa di lui la fonte autorevole che deve essere. Ma questo sapere si genera e si alimenta con finanziamenti e strutture adeguati, che ci pongano nelle condizioni di essere competitivi verso l’esterno ed attrattivi per gli studenti. I quali, una volta ottenuto il titolo di studio, hanno il diritto legittimo di aspirare anche alla carriera universitaria e di rimanere, se lo vogliono, nel loro Paese d’origine. Ecco perché il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione è imprescindibile dal Diritto alla Ricerca, anch’esso difeso dalla Costituzione, un diritto che non può essere negato in alcun modo, né esplicito né implicito, ovvero con provvedimenti subdoli ed obliqui.

Oggi quindi, mentre urla la bufera nel cupo inverno del nostro scontento, la CRUI, dopo aver abdicato alla funzione critica e direttiva che le competeva, dopo avere per anni lasciato indisturbato il manovratore che colpiva e depauperava le strutture dell’università pubblica, invece di difenderla, viene a parlarci di primavera. Interessante. Dove sarebbe la primavera?

Il Rettore Loris Borghi, apparentemente unico tra i suoi colleghi, prende atto e misura la consistenza della protesta a Parma, e la validità delle nostre ragioni. Si esprime nella CRUI chiedendo una presa di posizione a favore della protesta. Emette un documento (datato mercoledì 16 marzo) in cui chiede di rinviare la scadenza della procedura VQR fino a quando non siano riconosciute le nostre “sacrosante” ragioni. Chiede inoltre di rivedere il sistema di valutazione mettendo l’intera procedura in capo alla stessa amministrazione. A proposito, lo sapevate che tutto questo è fatto per valutare una “Istituzione”, non i ricercatori, che non hanno il minimo beneficio personale a seguito della loro produttività scientifica individuale? Ma perché non è stato fatto così fin da subito, con grande risparmio di tempo e denaro pubblico? Perché non è stata l’ANVUR ad occuparsi di questo direttamente, raccogliendo dati che sono pubblicamente disponibili? Lo sapevate che chiunque all’estero può essere informato in un attimo sulla produzione scientifica di ognuno di noi, sostanzialmente senza alcun costo? Nessuno di noi, infatti ha mai detto di non voler essere valutato. Dobbiamo toglierci anche questo fango, che qualcuno ci ha lanciato sui piedi.

Siamo la categoria di lavoratori più valutata del Paese, una valutazione basata sui risultati che non ha pari, e che segna le varie fasi di passaggio della carriera e prosegue fino alla pensione. Figuriamoci se abbiamo reticenze o pudori. La media degli “addetti alla ricerca” considerati inattivi dall’ANVUR nelle passate valutazioni in Italia è del 5% circa. Significa (detto da loro, con i loro criteri) che il 95% di tutti noi fa bene il suo lavoro. Allora perché non siamo stati premiati TUTTI?

Ebbene, noi la Primavera non la vediamo, semplicemente perché “una rondine non fa primavera”. Un solo Rettore non basta. Non ce la può fare. Se tutti i Rettori e la CRUI avessero tenuto un comportamento unanime e solidale oggi non saremmo arrivati a questo punto. Sappiamo che anche i pochissimi Rettori che hanno tentato di prendere le nostre parti sono stati zittiti, quando non dileggiati, dalla stragrande maggioranza dei colleghi, che si vantava di aver saputo controllare bene la protesta dei “ricercatori” e le astensioni dalla VQR. Ci hanno traditi tutti, per passare all’incasso di quelle briciole che oggi si accorgono essere del tutto insufficiente a tenere in piedi il sistema.

Sarebbe quindi Primavera? Solo perché oggi la CRUI finalmente pare accorgersi dell’abisso di noncuranza con cui i nostri atenei sono stati dati in pasto alla denigrazione pubblica? Forse perché sembrano solo oggi ridestarsi da un lunghissimo e colpevole letargo, in cui loro hanno dimostrato di essere, in buona parte, non una soluzione, ma il problema?

Noi del “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria” di Parma ci auguriamo che non sia troppo tardi. Speriamo che alcuni propositi recentemente espressi dal nostro Rettore possano essere un segnale che finalmente qualcosa possa cambiare. Se riuscirà a farsi portavoce, come ha dichiarato, presso la CRUI, l’ANVUR, il MIUR e il Governo di tutto lo scontento dell’Università pubblica italiana, se riuscirà a fermare la macchina della VQR fino a quando non sia ridata alla docenza italiana la sua piena dignità, noi saremo con lui. Solo allora potremo parlare di “Primavera delle Università”. Se la CRUI si dimostrerà ancora una volta refrattaria a questi argomenti non potremo che considerare la CRUI come una parte reale del problema dell’università italiana, e come tale incapace di produrre qualsivoglia soluzione al riguardo.

E quindi cosa succederà, da oggi in poi? Ora che la VQR verrà comunque fatta, nel bene o nel male, con noi o senza di noi, senza che ci sia stato un pronunciamento ufficiale del Governo, della classe politica, del Ministero, sulle nostre ragioni?

Cominciamo proclamando “l’Inverno del Nostro Scontento”, appellandoci a tutte le altre componenti del mondo accademico, agli studenti, ed alla società civile perché si schierino al nostro fianco nella protesta e nella lotta che intendiamo proseguire, senza deflettere dai nostri intenti, per tutti noi e per tutti loro.

Ma i proclami non bastano. Da domani, contro tutti i “gufi” che dichiarano che la protesta in qualche modo è fallita, si sappia invece a chiare lettere che è stata una grande vittoria. Che il nostro stato d’animo è alto. E che domani noi saremo ancora qui. Perché nessuno di noi intende rinunciare. Perché non ci faremo spaventare. Perché terremo duro, e cresceremo in numero e forza delle argomentazioni.

E che metteremo in atto altre forme di protesta.

Annunciamo che, se fino ad ora abbiamo usato forme di protesta responsabili, che non hanno minimamente danneggiato gli studenti, forse ciò non potrà essere più garantito da oggi in poi. Perché la posta in palio è troppo grande. Perché in gioco è il futuro del Paese. Perché combattiamo per tutti, anche per chi finora non ha capito, o ha fatto finta di non capire.

 

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Si ringraziano i molti contributi dei colleghi del movimento, la Rete 29 aprile, il coordinamento UNIFI, la Senatrice Cattaneo, i numerosi articoli di stampa, i contributi alla discussione di numerosi sindacati di categoria. Tutto ciò ha fornito dati, materiali ed ispirazione per questo documento. Ma ringraziamo soprattutto il collega Ferraro di Torino per quanto è stato capace di realizzare, risvegliando finalmente le nostre coscienze addormentate.

 

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5 Commenti

  1. Ieri alla primavera dell’università bolognese, mancava proprio il rettore di Parma. Tutti i rettori si sono lamentati molto, ma sono stati anche quelli del prelievo forzoso. Il doppio comportamento,battagliero con i colleghi e supino con Miur e Anvur evidentemente paga. È brillato per assenza il governo che non ha mandato neanche un rappresentante a testimonianza del totale disinteresse per l’argomento.Ferraro ha ribadito le posizioni , ma in assenza di qualsiasi rappresentanza governativa con la quale interloquire, ancora una volta ce la siamo suonata e cantata da soli, Inter nos.

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