Il dibattito su costo della informazione scientifica sembra non voler decollare in Italia o viene affrontato in maniera scomposta mescolando temi come l’open access e i predatory journals, il gold open access e il green, e ricorrendo ad argomentazioni e pregiudizi ormai superati in ogni parte del mondo e francamente imbarazzanti. Ma quanti di coloro che parlano di questi temi sanno davvero quanto pagano le istituzioni (almeno la propria) per l’informazione scientifica? Quanti sanno che fuori dai confini nazionali, rettori e amministratori di istituzioni hanno ingaggiato una lotta davvero dura contro le pretese degli editori? Quanti sanno che le comunità scientifiche sono talmente consapevoli dei problemi che appoggiano incondizionatamente coloro che sono delegati a contrattare anche in azioni dure come il no deal?
l dibattito su costo della informazione scientifica sembra non voler decollare in Italia o viene affrontato in maniera scomposta mescolando temi come l’open access e i predatory journals, il gold open access e il green, e ricorrendo ad argomentazioni e pregiudizi ormai superati in ogni parte del mondo e francamente imbarazzanti. Ma quanti di coloro che parlano di questi temi sanno davvero quanto pagano le istituzioni (almeno la propria) per l’informazione scientifica? Quanti hanno idea di quanto pagano le istituzioni (almeno la propria) per APC? Quanti hanno idea di quanto pagano le istituzioni (almeno la propria) per open access ibrido? Sembra che i costi sostenuti (tipicamente) dalle biblioteche non riguardino chi fa ricerca, chi gestisce i fondi degli atenei, chi ne definisce le politiche. Di fatto ai ricercatori sembra importare poco quanto costano gli abbonamenti alle riviste elettroniche, e agli amministratori sembra importare ancor meno il fatto che spesso la stessa informazione si paghi più volte. Con fondi pubblici. Sotto forma di lavoro che docenti e ricercatori regalano alle riviste scientifiche, sotto forma di abbonamenti attraverso i quali le istituzioni ricomprano gli articoli ceduti alle riviste, e talvolta sotto forma di article processing charges (APC) soprattutto quelle pagate per pubblicare nelle riviste ibride, quelle riviste che pubblicano articoli accessibili solo dietro pagamento di un abbonamento accanto ad articoli che sono invece accessibili a tutti perché pagati (sempre con gli stessi fondi pubblici). Il tema delle riviste ibride è particolarmente rilevante in quanto si viene a configurare come double dipping, fenomeno contro il quale la Leru qualche anno fa aveva lanciato la campagna Christmas is over.
Più volte da queste pagine abbiamo fatto riferimento a quanto sta avvenendo in Germania che ha sospeso le trattative con l’editore Elsevier, in Svezia si sta procedendo sulla stessa strada e così in Francia. Anche l’Olanda probabilmente nella nuova fase di contrattazione muterà il modello di business.
Rettori e amministratori di istituzioni hanno ingaggiato una lotta davvero dura contro le pretese degli editori e le comunità scientifiche sono talmente consapevoli della problematica che appoggiano incondizionatamente coloro che sono delegati a contrattare anche in azioni dure come il no deal.
Non così è avvenuto in Italia dove il contratto con Elsevier pare essersi concluso in un silenzio assordante, o almeno non risulta che sia stato oggetto di discussione nelle istituzioni. L’Università di Milano ha istituito da tempo una commissione di Ateneo sull’accesso aperto a cui il tema del costo della conoscenza scientifica sta a cuore. Preso atto dei costi del contratto con Elsevier negli anni passati, dei costi sostenuti per il gold open access e per il gold open access ibrido, la Commissione ha prodotto una nota che ha inviato agli organi e che riportiamo qui sotto nella speranza che la discussione sul costo della conoscenza scientifica non resti argomento per pochi addetti, ma diventi un tema che investe tutti i ricercatori che di tale conoscenza sono i principali produttori e fruitori.
La Commissione Open Access dell’ Università degli Studi di Milano guarda con grande preoccupazione alle condizioni previste dal cosiddetto Pilot Open Access Gold inserito nel nuovo contratto con l’editore Elsevier. Si ritiene che un simile modello di business, in controtendenza rispetto a quanto discusso nei consorzi olandese, francese, tedesco e svedese, sia poco funzionale ad uno sviluppo dell’Open Science nella direzione voluta dalla EU.*(Si ricorda che il Pilot Post Grant FP7 prevedeva il finanziamento delle sole riviste pure Gold Open Access, non le ibride, e che il prezzo massimo era stato fissato in 2000 euro).
L’Università degli Studi di Milano, come istituzione ma anche con le firme individuali dei suoi ricercatori, ha sottoscritto la petizione della LERU “Christmas is over” che per le riviste ibride prevedeva un riequilibrio dei costi per gli abbonamenti. Tale riequilibrio non emerge dall’attuale Pilota in cui si parla solo di sconti (a calare) per le APC (Article Processing Charges) senza che il costo degli articoli delle singole riviste sia trasparente. Attualmente il modello proposto si configura quindi come double dipping. Anche se double dipping con lo sconto.
Riteniamo non solo che questo modello non porti alcun beneficio alle istituzioni che vogliono praticare una politica di Open Science, incrementando in maniera iniqua i profitti degli editori, ma soprattutto riteniamo che ci sia da parte delle istituzioni, oltre a un dovere di trasparenza, anche quello di assicurare a chi paga le tasse che i fondi pubblici vengano spesi nel modo più etico, socialmente responsabile ed efficiente possibile.
Sulla base di queste premesse la Commissione OA ritiene l’ adesione dell’Ateneo al “Pilot Open Access Gold” inserito nel contratto con l’editore Elsevier in contraddizione con i contenuti della petizione sottoscritta insieme alla LERU nel 2016, e la considera del tutto insoddisfacente. Suggerisce pertanto all’Ateneo di scoraggiare il pagamento di APC per riviste ibride con fondi pubblici o fondi di ateneo ed esprime una forte perplessità sulle condizioni economiche dell’intero contratto.
La Commissione OA invita con fermezza la governance di Ateneo ad avviare una seria discussione sull’ accettazione delle condizioni economiche che verranno proposte nei futuri contratti con gli Editori scientifici, e a rendere pubbliche tali condizioni, con particolare riferimento al prezzo dei singoli contratti sottoscritti.
La Commissione auspica che simili discussioni abbiano luogo anche negli altri atenei e avanza alcune proposte nella speranza che possano essere considerate e condivise anche dalle altre istituzioni:
- I costi dell’informazione scientifica dovrebbero essere chiari all’interno delle istituzioni. Solo una consapevolezza diffusa permette infatti di andare alla contrattazione con gli Editori forti dell’appoggio di professori e ricercatori.
- La Commissione auspica che i contratti tengano conto di un riequilibrio dei costi legati all’OA e dei costi per le APC, in particolare per quanto riguarda i costi per l’OA ibrido, causa di double dipping.
- Sarebbe interessante poter rilevare quanti dei nostri professori e ricercatori svolgono attività come referee o come editor per le riviste dei grandi editori. Un contributo forse non monetizzabile, ma utilizzabile sul tavolo di contrattazione.
- La discussione sull’adesione ai contratti dovrebbe essere ampliata nelle istituzioni a coloro che si occupano di Open Science.
Credit to Michael Eisen (http://www.michaeleisen.org/blog/?p=975) per l’immagine di copertina. http://michaelnielsen.org/polymath1/index.php?title=File:Elsevier_poster.jpg
Finché queste tematiche non troveranno modo di incontrarsi e diventare sinergiche alla lotta contro i sistemi farlocchi di valutazione che abbiamo in Italia sarà difficile fare progressi.
Avere una idea di chi paga quanto, quante volte e per quali servizi potrebbe già essere un punto di partenza.
Infatti il problema non è solo (non tanto) di comportamenti individuali e di disponibilità di fondi personali, ma di bilanci degli atenei e, più in generale, di assetto di un sistema di pubblicazione/distribuzione editoriale. I singoli poco o niente possono fare. Il sistema di valutazione c’entra fino a un certo punto e non per ogni settore della conoscenza scientifica, anzi, il rischio è che si apra la strada ai predatory publishers e a una notte dove tutti i gatti sono bigi
“I singoli poco o niente possono fare”
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Rassegniamoci: anche se non viviamo nel migliore dei mondi possibili, possiamo comunque fare poco o niente.
Università di Padova – Decisioni Consiglio di Amministrazione seduta del 3 luglio 2018
– adesione al contratto unico nazionale per l’acquisizione delle riviste scientifiche in formato elettronico pubblicate dall’editore Elsevier realizzato attraverso una trattativa consortile condotta dalla CRUI per il sistema universitario nazionale, per una spesa complessiva quinquennale pari a euro 7.386.312 a cui sommare il costo dell’IVA (4%). Nell’ultimo anno (2017), docenti, ricercatori, studenti e personale dell’Università di Padova hanno scaricato complessivamente dalle riviste elettroniche Elsevier 980.279 articoli scientifici;
Università di Milano – Piattaforma riviste unimi, costo 6000 euro l’anno. Le 30 riviste open access gratuite per chi legge e per chi scrive hanno generato nel primo semestre del 2018 450.000 download di articoli scientifici
La retorica della “disintermediazione” ha sostenuto il disimpegno e ha favorito la mancata consapevolezza di grossa parte della comunità accademica su questi temi nei nostri atenei: gli attori che mediano in realtà si sono posti oltre l”orizzonte” dell’attuale capacità di controllo delle università.
Ma credo che ci sia sempre – ciascuno per la propria parte – la possibilità di favorire di un cambiamento. Per esempio troppo debole è sinora risultato il riconoscimento della professionalità dei bibliotecari che danno e possono dare un sempre maggior supporto e contributo alla diffusione di informazioni, competenze e servizi a supporto della produzione di ricerca, dei processi di pubblicazione e più complessivamente di disseminazione: i bibliotecari dovrebbero essere riconosciuti in maniera più forte dalle università come i professionisti di infrastrutture di conoscenza più “prossime” agli interessi della comunità accademica e – anche nell’ottica della terza missione – più aperte ai cittadini dei territori su cui le Università insistono.
Credo che sia già più che necessario un momento di incontro dei sistemi bibliotecari e di tutti gli attori a supporto della ricerca per favorire – insieme a tutte le alte iniziative – una decisione politica e delle Università che indirizzi in maniera un po’ più stringente verso una visione più strategica dei servizi bibliotecari.
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[…] vedano i commenti di Paola Galimberti e Patrizio Tressoldi a Paola Galimbert, “I costi della informazione scientifica. Possiamo parlarne?”, Roars, 13 luglio 2018. Anche altre università italiane – per esempio quella di Bologna, […]
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[…] italiana per la scienza aperta e che riprende il tema dei costi della conoscenza già trattati qui e qui, e delle modalità “disinvolte” con cui l’Italia affronta un tema molto […]
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