«Con riferimento […] ad un presunto inserimento di prove standardizzate da parte di INVALSI nella scuola dell’infanzia, si precisa che l’Istituto non ha avviato, in tal senso, alcuna sperimentazione né ha in programma attività simili da svolgere in futuro», così recitava una nota stampa risalente a luglio 2018. Una smentita che già allora era poco convincente, dato che gli articoli che descrivono quelle “sperimentazioni” erano (e sono tuttora) citati sul sito dell’Istituto. Ma adesso c’e una vera e propria “pistola fumante”, le slides di una presentazione firmata dalla responsabile Area Infanzia INVALSI. L’esclamazione “I bambini fanno a gara per fare le prove!” parla da sé. E spuntano prove evidenti anche dell’iniziale ipotesi di lavoro INVALSI: la necessità di misurare le differenze individuali dei bambini nel passaggio scuola d’infanzia – scuola primaria. L’estate scorsa era stato Roars a denunciare l’esistenza di un progetto pilota dell’INVALSI per Valutazione Iniziale della Prontezza Scolastica e all’apprendimento (VIPS) con batterie di test standardizzati per bambini delle scuole d’infanzia di 4-5 anni. Dopo oltre un anno di arresto, l’INVALSI ricomincia la sperimentazione sul Rapporto di Autovalutazione infanzia, che parla esplicitamente di “esiti” e “risultati” relativi all’apprendimento. Dietro l’ormai noto e riconoscibilissimo linguaggio del management educativo, lo sguardo occhiuto del Grande Valutatore Nazionale  arriva anche nei cortili e nelle aule delle scuole d’infanzia.  La qualità va osservata, documentata e misurata, anche se hai 3 o 5 anni. Una sorta di ciclo della performance calato anche su quelle scuole che un tempo chiamavamo scuole materne. Tutto bene, quindi? O finiremo con i test INVALSI anche a 4 anni?

Dopo oltre un anno di arresto e di incertezze, con una breve nota inviata dal Direttore Generale Paolo Mazzoli ai vari referenti degli uffici territoriali del Ministero dell’Istruzione, ai Comuni, coordinamenti o associazioni impegnati sul tema infanzia, l’INVALSI ricomincia la sperimentazione sulla valutazione delle scuole che accolgono bambini dai 3 ai 5 anni. Si tratta di mettere a punto e portare a piena applicazione uno strumento ben noto alle scuole “dei grandi”: il cosiddetto Rapporto di Autovalutazione (RAV), con cui ogni istituto si racconta, esprimendo un’immagine di sé ricostruita attraverso una serie di indicatori predisposti dall’INVALSI, sulla base di diverse fonti. Tra queste, oltre a dati ISTAT  o ministeriali, è prevista la raccolta di un certo numero di informazioni tramite compilazione di questionari predisposti dall’INVALSI. La nota del Direttore Generale parla di “Modifiche di tipo scientifico”: i questionari INVALSI, a quanto pare, da 4 diventerebbero 2.

Non è dato sapere il perché di questa scelta, apparentemente imposta da un alleggerimento del carico di lavoro compilativo, da svolgersi nei  “tempi ristretti imposti della sperimentazione”. Le scuole, del resto, non sono parte attiva del processo di costruzione di questo “strumento”, che dovrebbe servir loro a fare una sorta di “autoanalisi” – come piace oggi – “basata sui dati”.

Il loro compito è solo fungere da oggetto dell’esperimento educativo, “ingoiare la pillola” più o meno felicemente (alcune scuole partecipano su autocandidatura, altre su estrazione casuale[1]). Tempi, struttura e contenuti sono imposti dall’INVALSI, dopo una eventuale rifinitura, a seguito di quella consultazione iniziale  di un campione di scuole che si era svolta in sole due settimane nel 2016[2].

In ogni caso, che siano 2 o 4, non c’è modo di leggere i questionari predisposti dall’INVALSI; di sapere  come siano state pensate le domande, quali siano gli aspetti indagati. Solo chi aderisce alla “sperimentazione” li vedrà. Non si tratta di documentazione pubblica.

Il Rapporto di autovalutazione  per l’infanzia è strutturato sulla falsariga di quello degli altri ordini scolastici: in ogni area tematica, oltre a una breve descrizione qualitativa, costruita a partire da domande-stimolo preconfezionate, le scuole dovranno attribuirsi un punteggio numerico da 1 (molto critico) a 7 (eccellente). A partire da questo, poi, attueranno azioni “di miglioramento”, coerenti con il progetto di istituto e con le “priorità” che si sono date.

In sostanza, il ciclo della performance (amministrativa), che le scuole primarie o secondarie hanno oramai introiettato come ennesima prova burocratica dell’efficacia/efficienza del loro stesso lavoro, viene calato anche su quelle scuole che un tempo si chiamavano scuole materne.

Dietro l’ormai noto e riconoscibilissimo linguaggio del management educativo, che parla con lingua untuosa di benessere, condivisione e traguardi formativi, lo sguardo occhiuto del Grande Valutatore Nazionale – l’INVALSI – arriva anche nei cortili e nelle aule delle scuole d’infanzia.  La qualità va osservata, documentata e misurata, anche se hai 3 o 5 anni.

Tra gli elementi da valutare non solo “contesto” e “processi”, ma anche “esiti”, “risultati”, dichiaratamente finalizzati al “benessere” dei bambini, che comprendono informazioni sui loro “risultati dell’apprendimento”. D’altra parte, scrive l’INVALSI nel documento-base su cui le scuole sono messe a lavoro:

l’azione della scuola [dell’infanzia] può definirsi efficace quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi o nell’inserimento nel mondo del lavoro”.

Proprio così: percorsi di studio successivi – possibilmente “validati” dal “crisma scientifico” dei risultati positivi ai test [3] – e mondo del lavoro.

L’INVALSI, evidentemente, fa propria quella concezione dell’infanzia tipica della Nuova Pedagogia Economica di marca americana o europea, per la quale i primi anni di vita rappresentano un formidabile asset strategico di natura socioeconomica, da misurare e valorizzare fin da subito, con diversi strumenti: dai Test Baby PISA dell’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OCSE) a quelli per la valutazione delle soft skills a partire dai 6 anni OCSE-INVALSI. Questo ci raccontano i numerosissimi rapporti dedicati al tema: dalla serie Starting Strong dell’OCSE  ai resoconti del gruppo di lavoro dell’ Early Childhood Education and Care della Commissione europea.

Per ogni dollaro investito in progetti sull’infanzia, scrive l’economista americano J. Heckman – coautore di diversi rapporti dell’OCSE – il ritorno in investimento è 7 volte maggiore rispetto a qualsiasi altra fase della vita; poi cala irrimediabilmente con l’età del bambino.

E’ necessario agire quanto prima (addirittura in fase prenatale, sembra suggerire il grafico) nel tentativo di efficientare passo passo, durante la crescita del soggetto e con il coinvolgimento di tutte le organizzazioni educative, gli aspetti più desiderabili per la nuova convivenza sociale, da monitorare e ottimizzare fino alla transizione nel mondo del lavoro. In fondo è questo il successo formativo da cui oggi le scuole sono ossessionate: la conformità agli standard imposti dalla società del Capitale Disumano (R. Ciccarelli).

Finiremo con test INVALSI anche alle scuole d’infanzia?

I processi di autovalutazione, di riflessione e di condivisione di pratiche e percorsi sono alla base dell’agire professionale e collegiale di una scuola, specie di una scuola di infanzia e primaria.

L’era della qualità non inizia con l’INVALSI. Basti pensare, per le scuole d’infanzia, alle tante esperienze italiane significative nate già negli anni 70-80 (scuole comunali e statali, purtroppo concentrate soprattutto al centro-nord) ispirate agli insegnamenti di Makarenko, Montessori o Munari, che proseguono anche oggi, silenziosamente e senza alcun format o contenitore istituzionale.

L’idea che la qualità di un’ organizzazione – e ancor più di una scuola – debba essere osservata e valutata attraverso procedure centralizzate e guidate, sulla base di indicatori quantificabili che ne rendano visibili, comparabili e controllabili i processi, le scelte e gli esiti, è frutto di un preciso schema culturale, divenuto onnipresente in ogni istituzione negli anni recenti.  La qualità intesa come conformità ad uno standard, misurata con criteri assunti sulla base di situazioni e schemi ritenuti “ideali o migliori” (le buone pratiche) è una precisa idea di qualità: quella manageriale, che ragiona in termini di obiettivi e risultati, e che, malauguratamente, abbiamo introiettato come vero e proprio paradigma di pensiero, giustificato dalle esigenze morali di trasparenza e  responsabilizzazione.

Come già sperimentato negli primi anni di applicazione del Rapporto di Autovalutazione nelle scuole secondarie, quando indicatori numerici e obiettivi sono impiegati per regolare e controllare le professionalità (insegnanti e presidi), si interviene direttamente sull’etica e sulla natura stessa di quelle professioni (emblematico il caso del RAV del Liceo Virgilio di Roma, o i tanti casi di rapporti sostanzialmente omologhi, pubblicati su Scuola in chiaro [«non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate», «negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi» NdR]).

A parte queste considerazioni, tuttavia, è un altro l’elemento che desta maggiore preoccupazione: il timore, suffragato dall’esistenza di prove mai smentite, che pratiche di misurazione standardizzata degli esiti dell’apprendimento (pur con tutte le buone intenzioni in termini di benessere e sviluppo) possano scivolare pian piano fino alle scuole d’infanzia, tramite questionari, batterie di quesiti da compilare o somministrare ai bambini, messi sotto costante osservazione. Per chi non avesse avuto occasione di leggere, già nell’estate scorsa questo sito aveva denunciato l’esistenza di un progetto pilota che l’INVALSI aveva condotto, denominato VIPS, Valutazione Iniziale della Prontezza Scolastica e all’apprendimento: batterie di test standardizzati a bambini delle scuole d’infanzia di 4-5 anni.

Nonostante diversi riscontri dell’esistenza di tale progetto (non trascurabile un rapporto del CNEL[4] del 2014 curato dagli stessi responsabili INVALSI) l’Istituto di Valutazione aveva pubblicamente replicato con una nota stampa di “non [aver] avviato alcuna sperimentazione” né di avere in programma test standardizzati su bambini di quell’età. Secondo Invalsi, si trattava di una notizia falsa, messa erroneamente in relazione alla sperimentazione RAV infanzia.

A dispetto di questa nota, le preoccupazioni restano, vista la ripresa della sperimentazione del Rapporto di Autovalutazione, in cui si fa esplicito riferimento ad “esiti” degli apprendimenti dei piccoli.

Ma la smentita era credibile?

Nella “bibliografia essenziale” INVALSI del RAV infanzia è tuttora citato l’articolo scientifico su rivista internazionale a firma della Ricercatrice INVALSI Stringher (Stringher C., Assessment of learning to learn in early childhood: an italian framework, 2016) che fa riferimento proprio al progetto VIPS.  E con esso sono citate anche le batterie di test standardizzati utilizzati proprio nel progetto pilota (Zanetti M.A. e Cavioni Z. SR 4-5 School readiness. Prove per l’individuazione delle abilità di base nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria, 2014) (fonte: documentazione RAV infanzia, sito INVALSI https://www.invalsi.it/infanzia/docs/cnravinfanzia_2017.pdf).

Sembra strano che l’istituto non ritenga di dover dare alcuna spiegazione su  quel progetto pilota, negando ogni tipo di sperimentazione basata su misurazioni di competenze e abilità con test su bambini piccoli. Soprattutto perché esiste una vera e propria “pistola fumante”.

Che il progetto VIPS sia esistito e abbia fornito – quantomeno inizialmente –  proprio lo sfondo per la costruzione del RAV infanzia, sembra evidente anche dalla lettura della seguente presentazione (a firma della stessa Responsabile Stringher, INVALSI), circolata tramite fonte sindacale e presentata in occasione del Convegno Nazionale del Coordinamento Nazionale delle Politiche dell’Infanzia (“Nella Scuola dell’Infanzia il paese del Futuro”, Roma, 29/4/2015). In quella sede l’INVALSI mostrava i “primi risultati” proprio di quel progetto (pdf delle slide: https://www.roars.it/wp-content/uploads/2019/05/INVALSI_RAV_Indagini_Internazionali_VIPS_framework-.pdf).

Evidentemente all’epoca l’INVALSI riteneva “necessario” misurare le “differenze individuali” nel passaggio scuola dell’infanzia-scuola elementare e l’idea sembrava essere proprio quella di farlo tramite test standardizzati, (o check list, come scrive la Dr.ssa Stringher nel suo articolo), dall’innegabile “effetto formativo” . L’esclamazione  “I bambini fanno a gara per fare le prove!” parla da sé.

Quali riflessioni siano seguite a quei primi risultati, se e perché la rotta dell’INVALSI  sia effettivamente (e definitivamente) cambiata e dove quella attualmente imboccata ci porterà, è difficile stabilirlo.

Nulla di tutto ciò è mai stato pubblicamente discusso, condiviso o dibattuto nelle sedi ufficiali e con i tempi necessari ad un coinvolgimento reale e partecipativo,  almeno da parte di delegazioni di scuole o insegnanti più sensibili. La totale autoreferenzialità dei progetti INVALSI, imbellettata con la retorica della “consultazione” con le scuole –ridotta nei fatti a rapidissima compilazione di questionari “di gradimento”, svolta generalmente dallo “staff dirigenziale” nel bel mezzo dell’attività quotidiana– è ormai cosa nota. E convince ben poco.

Anche gli autori Cerini, Mion e Zunino, professionisti ed esperti di politiche scolastiche dell’infanzia, in un recente editoriale[5] dedicato al RAV infanzia, affermano:

Resta invece aperto il problema degli esiti scolastici dei bambini, che è centrale nella mappa di ogni RAV ma che nella scuola dell’infanzia ha bisogno di particolari accortezze: non possiamo infatti parlare di risultati scolastici, né di prove Invalsi, né di testing generalizzato sulle abilità e competenze dei bambini.”

e sottolineano che esistono punti da approfondire, in particolare mettono in guardia dal:

rischio che si possa semplificare la valutazione in termini di testing e prove strutturate.

Difficile condividere l’atteggiamento possibilista degli autori, che, pur con le dovute cautele, giudicano positivamente il percorso di valutazione che l’INVALSI si appresta a ricominciare.

Da parte nostra, riteniamo che l’ormai lungamente osservato intreccio scuola -INVALSI e l’impiego di strumenti di rendicontazione in campo educativo insegnino che un’architettura valutativa di tipo centralizzato e gestionale come quella proposta – basata su evidenze, priorità e traguardi – finirebbe piano piano per conformare pratiche e approcci, trasformare la natura stessa del lavoro dei maestri e delle maestre e snaturare il loro sguardo sull’infanzia, rendendolo attento solo o principalmente a ciò che gli indicatori INVALSI chiedono di vedere. Le “scale di osservazione, rubriche, check-list”, “viste in un’ottica evolutiva” – come scrivono Cerini, Mion e Zunino – finirebbero per omologare, indirizzare e distorcere le relazioni;  fissare in fermo-immagini e prototipi non solo gli atteggiamenti e i comportamenti di bambini così piccoli, ma anche le aspettative degli adulti.

Forse non tutti gli strumenti prodotti dall’INVALSI in nome della qualità dovrebbero essere accettati e assunti.

Forse il Coordinamento Nazionale delle Politiche dell’Infanzia, costituito da cinque storiche Associazioni Professionali della scuola  – ANDIS (Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici), AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici), FNISM (Federazione Nazionale degli Insegnanti),  CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti) e MCE  (Movimento di Cooperazione Educativa )-  e dalle quattro maggiori Organizzazioni Sindacali (CGIL, CISLS, Uil e SNALS) potrebbe semplicemente dire: no, grazie, la qualità dell’infanzia la valuteranno le maestre e i maestri, liberamente.

 

 

 

 

[1] 400 scuole campionate e 1000 su autocandidatura, vedi G. Cerini, C. Mion, G. Zunino in “RAV infanzia: oplà! “ Newsletter Scuola 7 nr. 137, scaricabile al link  http://www.scuola7.it/?page=2

[2] Scriveva la responsabile Area Infanzia INVALSI, C. Stringher, in un’intervista del 2016, all’epoca della consultazione: “Le scuole hanno la possibilità di esprimere il proprio parere su questa prima versione del RAV Infanzia e di fornire spunti e suggerimenti su come eventualmente migliorarlo, tenendo presente che questo lavoro è il frutto di un’analisi ormai triennale delle migliori esperienze internazionali e si basa su concetti scientifici rigorosi.” in https://www.giuntiscuola.it/scuoladellinfanzia/magazine/articoli/il-punto-sul-rav-infanzia-intervista-a-cristina-stringher/ . La consultazione è stata avviata con nota prot. 9644 del 25 agosto 2016 e si è svolta in soli 15 giorni (dal 15 al 30 settembre 2016).

[3]Nel caso in cui la grande maggioranza dei bambini della scuola dell’infanzia si iscriva nella primaria della stessa istituzione scolastica si può utilizzare l’indicatore 2.1.a del RAV della scuola primaria sugli esiti degli scrutini. Per gli anni successivi è possibile anche considerare gli esiti nelle prove INVALSI o altre prove standardizzate nazionali o internazionali”, scrive l’INVALSI in nota a pag. 22 del rapporto autovalutazione infanzia.

[4] Rapporto CNEL sulla qualità della Pubblica Amministrazione, 2014, pag 275 e 276, in note a piè di pagina nr. 60,65 http://www.condicio.it/allegati/159/Relazione_CNEL_2014.pdf

[5] Vedi nota (1).

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4 Commenti

  1. Fra le news che scorrono sulla home page del sito INVALSI si possono leggere gli avvisi relativi ai bandi per gli incarichi di esperto prima-infanzia e per sostenere la sperimentazione del RAV INFANZIA, di cui scrive Rossella. Poiché il MIUR è un sistema poroso, le diatribe e le manovre interne filtrano e costituiscono una fonte di indiscrezioni funzionali a sostenere l’una o l’altra fazione. Ma anche all’INVALSI qualcuno ha interesse a sfogare malumori. Così al Gruppo NoINVALSI arrivano due informazioni riservate. La prima – si tratta di voci autorevoli – concerne proprio i bandi (questi, quelli già espletati?) e i loro costi. A quanto pare ci sono rilievi della Corte dei Conti perché il budget dell’Istituto non copre la spesa e la richiesta è che rimedi il MIUR. Manovra che ovviamente potrebbe esporre lo stesso Ministero. La seconda – di cui abbiamo prova cartacea – è nel merito della vicenda RAV. Il 30 marzo – con nota rivolta a Paolo Mazzoli- le sfere più alte del Ministero bloccano l’avvio della sperimentazione. Due le ragioni: 1. i questionari predisposti dallo staff Mazzoli – Ajello – Strigher (& C) vengono giudicati inadeguati allo scopo; 2. i tempi sono ormai troppo avanzati e, come si sa, molte cose cambiano nelle scuole fra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo, dunque si rischia di lavorare su dati e su risposte non più pertinenti all’autovalutazione. L’INVALSI, come si può leggere nel resoconto di Rossella, va avanti comunque, pur con una struttura più leggera rispetto alle prime formulazioni (nota del 16 maggio). Ma la questione più sconcertante è che dal 4 novembre 2018 i funzionari del Dipartimento scrivono all’istituto innumerevoli email di critica a tutto l’impianto. I 4 questionari (genitori, dirigenti, docenti, scuola) predisposti assommano a un totale di 287 domande con tempi enormi di compilazione (40′-60′ ciascuno). Ma la discussione – durata fino a metà aprile scorso – è soprattutto intorno ai contenuti e agli scopi dei questionari. Le domande riguardano dati sensibili sull’idea di bambino, di educazione religiosa, di stili educativi, il richiamo ai “valori” dunque, si direbbero ” non finalizzate al RAV ma sono di fatto un’indagine sulla scuola dell’Infanzia” con “connessioni con le ricerche internazionali” (quelle a cui fa menzione Rossella?). La Stringher, che pare nelle email essere l’interlocutrice privilegiata, accetta di predisporre solo due questionari ma, come abbiamo detto, la sperimentazione parte comunque. Non conosciamo il testo dei questionari cassati e solo le scuole che entrano in piattaforma accedono ai questionari diffusi. La Presidente INVALSI Ajello si è molto piccata quando, alla tavola rotonda convocata il 15 maggio al CNEL dal Viceministro Fioramonti sul tema della valutazione, a cui ero stata invitata, ho accennato alle ricerche internazionali svolte dalla Stringher sulla fascia 3/5 anni e ha negato che l’Istituto ci stia lavorando. A quanto pare al MIUR i funzionari non ne sono convinti. Renata Puleo, Gruppo NoINVALSI.

  2. Se avessi tempo mi piacerebbe leggere quegli articoli di Stringher sulla valutazione della / nella scuola dell’infanzia. Anche se questa ossessione maniacale per la valutazione la farei piuttosto valutare da uno psicanalista. Io proporrei , in aggiunta, di anticipare la valutazione ai primi giorni di vita del neonato. Dopodiché chiederei al Ministro di fare pulizia intorno a sé, rottamando queste escrescenze dannose, costose e confusionarie. E parassitarie. Perché qualcuno non fa una interpellanza in Parlamento?

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