Che quella sulla valutazione sia la partita decisiva giocata dal “tecnico” Profumo su scuola e università è ormai chiaro a tutti. Che il prossimo governo (quale che sia) sappia allontanare da sé il feticcio della meritocrazia è tutto da dimostrare: niente di meno che una robusta dose di anticonformismo culturale occorrerebbe per liberarsi della scatola vuota del “merito”, cui hanno fornito puntelli demagogici le analisi, spesso lacunose o sfacciatamente faziose, degli osservatori bocconiani e gli articoli di sfrontata propaganda della stampa mainstream, con il loro corredo di polemiche a basso costo e luoghi comuni.

In questo contesto, può lasciare spiazzati, chi non consideri l’efficacia della roulette elettorale che l’ha prodotta, l’intenzione del ministro Profumo di dare avvio al Tirocinio Formativo Attivo (= tfa) cosiddetto speciale o riservato: un percorso formativo per gli aspiranti docenti nella scuola secondaria, parallelo al Tirocinio Formativo ordinario a numero programmato (istituito dal precedente governo col D.M. 249/2010 e avviato nella primavera dello scorso anno), che attualmente gli atenei si trovano a gestire. Nel caso in cui l’iter del provvedimento abbia un esito positivo, l’accesso al tirocinio speciale sarà consentito, senza il superamento della prova di selezione cui si sono sottoposti i candidati al tfa ordinario, a quei docenti precari che abbiano maturato, tra il 1999 e il 2012, un’anzianità di servizio di almeno tre anni. Per tutti, partecipanti al tfa ordinario o speciale, la magra posta in palio è l’abilitazione ad insegnare. In vista del ruolo (qualora si superi la successiva tappa del concorso ordinario per l’insegnamento) o della sola iscrizione in graduatoria, in attesa di una supplenza, ma senza diritto all’assunzione.

Le pasticciate volontà del ministro Profumo – espresse per di più in limine mortis dell’attuale governo – e la negazione di qualsiasi prospettiva reale di futuro rischiano di alimentare la lotta per la sopravvivenza tra generazioni ferocemente umiliate: precari un po’ meno giovani e giovani un po’ meno precari. In questa situazione di generale declassamento della vita (sarà questa la “società aperta” di cui scrive Monti nella sua Agenda?), è comprensibile che i laureati selezionati dalle prove del tfa ordinario rivendichino per sé, con un’istanza promossa dall’Associazione Docenti Italiani  un diritto acquisito che vedono ora minacciato dall’immissione in graduatoria di precari con maggiore anzianità di servizio.

 

Come sempre accade, le macerie delle esistenze individuali e collettive si espongono ai più inquietanti impieghi ideologici e non è mancata la retorica imbolsita dei soliti fustigatori del demerito altrui a rilevare che i precari eventualmente ammessi al tfa speciale (ovvero «chi ha l’unico merito di aver messo un piede tra lo stipite e la porta, aspettando di poter passare in qualche modo») si sono «adattati ad attendere la sanatoria» (così Andrea Ichino sul «Corriere» del 7 febbraio).

Difficilmente sarà da attribuire a un’illuminazione sulla via di Damasco la decisione di un ministro così fortemente compromesso con la migliore tradizione della “governamentalità neoliberista” (riprendo l’espressione usata da Roberto Ciccarelli su «il Manifesto» del 25 settembre 2012) e così irrimediabilmente lontano dalla realtà di drammatica sofferenza della scuola pubblica, ma a lorsignori andrà forse ricordato che la condizione di precariato di tanti docenti non è sinonimo di dequalificazione (Ichino parla espressamente, nel suo intervento, di «docenti incapaci»): tra i centosessantatre mila precari, che hanno sinora garantito la tenuta della scuola italiana, decine di migliaia sono coloro che hanno superato l’esame di stato conclusivo del corso abilitante Siss (scuole d’insegnamento equivalenti agli attuali tfa) o i vincitori di diverse tornate concorsuali (nel 1991 e/o nel 1999), mai assorbiti nei ruoli per carenza di posti disponibili (dato il radicale definanziamento del sistema pubblico della formazione con conseguente azzeramento del tempo pieno e continuo incremento del numero di alunni per docente). A smentire la ricostruzione, fornita ancora da Ichino, secondo cui «questi “anziani” o non hanno superato le prove o non hanno colto tali opportunità, preferendo attendere la “corsia preferenziale” che valorizzava il loro mero invecchiamento anagrafico».

 

 

 

Ma evidentemente per i cultori dello “svecchiamento” – più pubblicizzato che reale – del sistema, che nulla hanno eccepito quando il concorso per l’insegnamento è stato precluso proprio ai “giovani” neolaureati, è decoroso fingere che sino a questo punto il ministro Profumo abbia garantito procedure di selezione credibili e rigorose. Ed è giusto che l’avvento dell’anno zero del “merito” consideri carta straccia i precedenti percorsi di qualificazione (il tfa è cosa seria e la Siss no? Non risentono forse entrambi i percorsi degli stessi deprecabili vizii?) ed equipari i diritti maturati all’arroccamento difensivo – e assai poco “moderno”– nelle rendite di posizione corporative. Sull’altare del “merito” è preferibile ignorare che la stessa preselezione del tfa ordinario (la caterva di domande errate formulate da funzionari ministeriali voraci lettori di Wikipedia, le scuse ufficiali del ministro ai partecipanti al concorso, le graduatorie di merito emesse e poi ritirate e implementate: tutto ciò è stato ampiamente denunciato da voci autorevoli, ancorché inascoltate, del panorama intellettuale italiano e se ne è discusso anche su roars) sia stata concepita nel più disastroso naufragio di ragioni scientificamente fondate e nella più desolante assenza di ogni seria problematizzazione metodologica. E che, per puro caso, nonostante la modestia della prova e di chi l’ha concepita, siano stati selezionati anche ingegni brillanti e motivati.

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8 Commenti

  1. Esperienze raccontate dagli iscritti ai TFA: persone sbattute come supplenti da una scuola all’altra, mancanza di continuità didattica nelle scuole perché non vengono concessi posti di ruolo (mancano i soldi). In compenso: acquisto di LIM che non aggiungono nulla alla didattica, informatizzazione forzata con imposizione di reti wireless le cui continue emissioni sul cervello di minori hanno effetti ancora da verificare; acquisto obbligatorio di tablet; sminuzzamento dei testi tramutati in test a cui rispondere con le crocette in tempi predeterminati da funzionari ministeriali: se un bambino ci mette più tempo a finire è insufficiente in quanto consegna un compito incompleto.

  2. C’è qualcosa che non capisco. Pensavo che chi ha l’abilitazione all’insegnamento conferita da una SISS non avesse alcun bisogno di partecipare al TFA. Invece in questo articolo si parla di diplomati della SISS che rientrerebbero tra gli aspiranti al TFA speciale. Forse perché aspirano ad una diversa abilitazione? Ma questi saranno una esigua minoranza. La stragrande maggioranza degli aspiranti al TFA speciale dovrebbero essere laureati che hanno a lungo insegnato anche se privi di abilitazione. Ma forse non è così.

  3. È proprio questo uno dei paradossi: centinaia di migliaia di persone che lavorano nella scuola e sono state (con criteri più o meno credibili, certo: ma questo è un altro discorso…) pluriesaminate e hanno superato un esame di stato con valore concorsuale sono state costrette a ripetere una prova che hanno già fatto.

  4. Mi riferisco alla prova del “concorsone” per l’insegnamento, ovviamente.
    Il requisito per accedere al TFA speciale è unicamente l’anzianità di servizio di almeno tre anni, maturata tra il 1999 e il 2012.
    Dopodiché, per ottenere il ruolo, bisogna sottoporsi tutti al concorsone: anche i “precari storici” (tra cui persino i vincitori, mai assunti, delle tornate concorsuali del 91 e del 99…).
    Non è comunque irrilevante il numero di abilitati SSIS che partecipano al Tfa: stando alla normativa attuale, infatti, il tfa consentirebbe di accreditare il punteggio che in precedenza si maturava con l’ulteriore abilitazione (3 punti aggiuntivi: gli stessi cui dà diritto un master…).

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