renzi_technopole_fotogrammaPubblichiamo la prima parte del documento di studio relativo al progetto Human Technopole della senatrice Elena Cattaneo (scaricabile con il resoconto della seduta del Senato del 4 maggio 2016). La sintesi del documento è stata pubblicata in un precedente post. In questa parte si discute di come è stato pensato HT e delle incongruenze del governo; di come si finanziano nel mondo progetti simili e del problema rappresentato dal fatto che HT non ha competitori e dunque ha già vinto la selezione, a prescindere da quello che scriveranno i valutatori; del fatto che IIT non ha alcuna competenza scientifica sui temi di HT e della reazione della comunità scientifica. All fine anticipiamo una nota personale della Senatrice Cattaneo in merito alla scrittura di questo documento.  

Parte Prima: il progetto Human Technopole

  1.  Come nasce HT.
  2.  Le incongruenze nell’azione del Governo..
  3.  Risorse pubbliche Top-Down nel mondo: come si finanziano progetti simili.
  4.  La concentrazione delle risorse direttamente in poche mani, pregiudica premialità ed eccellenza.
  1. La corruzione dell’etica della scienza e la difesa dell’etica pubblica.
  2.  I temi di HT non coincidono con quelli di competenza dell’Ente beneficiario.
  3.  Si sta valutando un progetto che essendo l’unico ha già vinto- quale il ruolo del MIUR? 
  4. Quale ente andrà a Rho e quando?.
  5. Il silenzio e la reazione della comunità scientifica.
  6. Note personali in merito alla predisposizione del documento
  1. Come nasce HT

Il 10 novembre 2015 il Presidente del Consiglio annunciava a Milano il progetto Human Technopole, definendolo “un centro a livello mondiale che affronti il tema della genetica insieme a quello dei big data, applicato ai temi della neurodegenerazione, nutrizione, cibo, eco-sostenibilità” per il quale “lo Stato è pronto a investire 150 milioni all’anno per i prossimi 10 anni “.

Il 25 novembre 2015, con il decreto-legge n. 185 recante Misure urgenti per interventi nel territorio, sono stati stanziati i primi fondi per il progetto HT. Al comma 2 dell’art. 5 del decreto si legge che “è attribuito all’Istituto Italiano di tecnologia un primo contributo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate” e che “IIT elabora un progetto esecutivo che è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze”. Il decreto è poi stato convertito con modificazioni (non relative alla norma richiamata) con legge del 22 gennaio 2016, n. 9.

  1. Le incongruenze nell’azione del Governo

La dinamica della vicenda Human Technopole è semplice e paradigmatica di come la ricerca pubblica non deve essere promossa. La proposta del Governo di creare un polo tecnologico ha dei meriti. Anche se, con il tempo sufficiente per ragionarci e date le caratteristiche economiche, socioculturali e politico-istituzionali del Paese si sarebbe anche potuto discutere, in alternativa, di un polo scientifico, cioè di uno “Human SciencePole”; ma di certo è interessante per l’Italia dotarsi di una o più strutture che promuovano l’ambito tecnologico per quanto riguarda biomedicina e nutrizione.

Ciò alla condizione di sapere anche che non è con le declamazioni che si diventa “numeri uno al mondo” e che si abbia chiaro che “la costruzione di una nuova casa della scienza”, come fu l’IIT 13 anni fa, non significa garanzia di successo. Né si può ignorare che la creazione di un centro che si occupi di “Scienze della vita, Nutrizione e Big Data” che “combatta la guerra contro il cancro e le malattie neurodegenerative” non ha nulla di originale, che i progetti di “big science” si costruiscono partendo da una visione (e non da una impellenza politica), che il futuro sarà di chi, oggi, riuscirà a disegnare qualcosa di simile a quello che fu lo Human Genome Project 30 anni fa, che esistono ambiti su cui l’Italia è veramente leader nel mondo (ad esempio terapia genica e medicina rigenerativa) escluse da HT, che ci sono scienziati italiani all’estero esperti in nanotecnologie, big data o neuroscienze pronti a disegnare la loro visione rivoluzionaria di HT – se ci fosse l’apertura a ciò, e che esistono già in Italia strutture e laboratori universitari, del CNR, di diversi centri di ricerca e ospedali che fanno “big science” e che si sono distinti – prima di ogni altro al mondo – in diversi campi e vantano una storia documentata e internazionalmente riconosciuta di idee innovative “made in Italy” su genomica, malattie rare e degenerative, neuroscienze e nutrizione e che andrebbero solo meglio raccordati.

In particolare:

  1. a) Sono sbagliate le premesse. Un grande progetto pensato per la ricerca pubblica sarebbe dovuto partire dall’interrogativo: di cosa ha bisogno la ricerca in Italia per essere più competitiva? In questa occasione, invece, il punto di partenza è stato la necessità politica di trovare una soluzione per il post-Expo. HT sembra che servisse più a chiudere un buco, che a dare un’occasione al Paese.
  1. b) L’improvvisazione nelle scelte sull’innovazione è sbagliata. Ciò che si contesta del progetto sono soprattutto le modalità con cui HT è stato concepito. La sua ideazione improvvisata umilia il metodo scientifico, calpestando la trasparenza e ignorando il diritto di uguaglianza di ogni contenuto per l’accesso competitivo alle risorse pubbliche, di cui la scienza stessa è garante

Il metodo adottato, infatti, identifica “top-down”, dalla sera alla mattina, non tanto un tema, che rimane molto generico soprattutto per un investimento che non è così ingente se riferito su scala internazionale (lo è per gli standard italiani), ma un ente beneficiario (IIT) di una quantità di fondi pubblici pari a 80 milioni di euro (con decreto legge del 25 novembre 2015, n. 185) come primo contributo “sentiti” gli altri enti per la realizzazione del polo HT, a cui si prevede di aggiungere altri 150 milioni/anno per i prossimi dieci anni, come da dichiarazione del Presidente del Consiglio. Il mandato dell’ente IIT, nato con la missione del “trasferimento tecnologico”, viene così modificato in “mandato di ricerca pubblica” per statuto spettante alle università (e CNR), la cui capacità formativa è testimoniata dalla qualità dei giovani istruiti attraverso i percorsi accademici e, troppo spesso, “adottati” da altri paesi. All’ente beneficiario IIT è conferita la possibilità di reclutare discrezionalmente enti, gruppi e ricercatori su aree di ricerca individuate per favorire i soggetti con cui si voleva stabilire l’accordo.

In altre parole, è come se il Governo avesse deciso di costruire con i fondi pubblici un’autostrada (“una”, qualunque essa sia), che vada da un posto all’altro, senza chiedere agli abitanti dell’uno o dell’altro se è necessaria; ovvero senza chiedersi se un aeroporto possa essere più adatto agli scopi, senza discutere o immaginare vantaggi e affluenze. Non solo, ma poi dando mandato di realizzazione e (tanti) soldi pubblici a un’impresa di costruzione di sua scelta, prescindendo da gare e dalla valutazione competitiva delle capacità di più imprese. Sarebbe accettabile per le altre imprese costruttrici? lo sarebbe, soprattutto, per la società?

 

  1. Risorse pubbliche Top-Down nel mondo: come si finanziano progetti simili

Nella pratica del finanziamento alla ricerca pubblica o privata, esistono due alternative possibili: un modello top-down, che parte dall’individuazione di temi generali su cui investire, ed uno alternativo bottom-up o investigator-started, in cui sono i ricercatori a proporre idee ad un ente finanziatore per condurre una certa attività di ricerca.

Non è questa la sede per stabilire quale dei due modelli sia il migliore – un dibattito che peraltro è stato molto intenso in Europa al momento della definizione dei meccanismi di HORIZON 2020[1] – di fatto, a seconda delle circostanze e degli obiettivi che si intendono raggiungere, può essere appropriata l’una o l’altra forma di finanziamento. Quando, per esempio, è necessario superare degli importanti colli di bottiglia per raggiungere un obiettivo indispensabile e soprattutto urgente su scala particolarmente grande, può essere preferibile l’approccio top-down, si pensi al progetto Manhattan negli USA. Quando, al contrario, è necessario favorire l’emergere di scienza veramente nuova, necessaria poi all’innovazione e al trasferimento tecnologico, è stato dimostrato esaustivamente che l’approccio top-down dà risultati inferiori: per esempio, in un confronto tra la Svezia, che attua una politica di promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico di tipo strettamente top-down, i risultati effettivi in termini di trasferimento tecnologico sono molto scadenti rispetto ad un Paese, come gli USA, che al contrario promuove competizione e libertà di innovazione attraverso un approccio tipicamente bottom-up[2].

Preliminarmente, quindi, verrebbe da chiedersi se e come l’obiettivo che si è deciso di raggiungere con HT sia stato affiancato dalla migliore scelta nella strategia di investimento, se cioè si sia deciso su base scientifica, vale a dire dopo aver analizzato la situazione, se procedere in maniera top-down o bottom-up, considerando che le prove disponibili puntano a favorire un approccio del secondo tipo quando si voglia aumentare il tasso di innovazione e trasferimento tecnologico effettivo.

In ogni caso, anche ammesso che per ragioni precise e circostanziate si sia scelto un modello di tipo top-down, è interessante riportare quali sono le caratteristiche di questo modello sia in termini generali, che con riferimento ad alcuni esempi pertinenti. Allo scopo ci soccorre di nuovo la letteratura scientifica, da cui è tratta a titolo esemplificativo la figura seguente[3].

Questa figura illustra come il processo top-down veda prendere ogni decisione in una sequenza ben precisa da parte di stakeholders diversi (per evitare sovrapposizioni infauste e conflitti di interessi). Cioè, mentre il mercato, la società nel suo complesso e la politica decidono del primo passaggio (quello delle motivazioni per un dato investimento) e la politica sviluppa una visione strategica per il Paese (cioè definisce le aree generali di sforzo economico), è sempre un’apposita agenzia a strutturare questa visione strategica in una competizione con regole trasparenti per la selezione meritocratica di chi, nell’ultimo passaggio, dovrà poi eseguire le ricerche coerenti alle politiche di indirizzo governative (gli studiosi, i centri, le organizzazioni scientifiche o i gruppi di ricercatori selezionati).

Perché un processo top-down funzioni, quindi, è pratica indispensabile che la funzione tecnica di strutturazione di una competizione per i fondi sia assegnata a un’apposita agenzia per la ricerca, distinta dalla politica (che non sceglie chi finanziare) e distinta anche da chi poi eseguirà la ricerca (per evitare conflitti di interesse).

Vediamo un primo esempio di questo meccanismo nel progetto ENCODE, lanciato nel 2003 negli USA. In breve, si trattava di un’iniziativa da 400 milioni di dollari che aveva per scopo dichiarato di individuare tutti gli elementi funzionali all’interno del genoma umano, e che per tale motivo è stato definito il “Progetto Genoma 2.0”. Poco prima che fosse pubblicata la sequenza definitiva del genoma umano (aprile 2003), su pressione di molti stakeholders – dal pubblico, alle riviste scientifiche, alla stessa comunità scientifica – e su mandato del governo USA, che aveva ben compreso come la mappa del genoma fosse solo il primo passo, nell’estate del 2002 il NHGRI, National Human Genome Research Institute (braccio esecutivo dell’agenzia governativa National Institutes of Health, NIH, che aveva avuto la gestione del progetto genoma umano) organizzò un apposito convegno per il seguente scopo: “To encourage discussion and comparison of existing computational and experimental approaches to annotating the human genome, and to stimulate the development of new ones, the NHGRI proposed to create a highly interactive public research consortium to carry out a pilot project for testing and comparing existing and new methods to identify functional sequences in DNA”[4].

I partecipanti, di fronte alla sfida, reagirono con entusiasmo all’idea di un progetto pilota iniziale, e definirono una serie di scopi per i goal, l’organizzazione e l’implementazione di tale progetto, che furono quindi incorporate nel piano del NHGRI. Prima ancora di iniziare le fasi operative del progetto erano presenti elementi chiave di un tipico processo Top-Down: vi era un’iniziativa del Governo USA, spinto da vari stakeholders pubblici e privati, che stabiliva quale fosse il settore di un grosso investimento pubblico (in questo caso, la continuazione del progetto genoma umano). L’agenzia ingaggiava la comunità scientifica nel suo complesso per meglio definire procedure e obiettivi e non sceglieva in questo stadio nessuno in particolare per portare a termine il progetto. Finita questa fase di consultazione, l’agenzia lanciava una serie di bandi pubblici – il che puntualmente avvenne dopo il citato meeting – per identificare i migliori candidati possibili a partecipare al progetto, vigilando quindi sulla sua corretta esecuzione dall’inizio fino alla pubblicazione scientifica (30 articoli scientifici, di cui il grosso su Nature e qualcuno su altre riviste).

Si noti che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono bastati pochi mesi dal convegno menzionato (luglio 2002) al lancio del progetto e delle relative call per le fasi implementative (marzo 2003). Un processo trasparente, veloce, efficiente; top-down sì (nella scelta dell’area di intervento), ma non per questo mortificante della competizione e della democrazia. Certamente negli USA le agenzie competenti alla strutturazione ed esecuzione di bandi e alla selezione dei vincitori sono radicate e di riferimento.

Non a caso, l’iniziativa ha ricevuto critiche al momento della presentazione dei risultati finali (nel 2012) che si sono appuntate sull’opportunità della scelta di investire in una ricerca con ritorni non chiari sul medio-lungo periodo e sugli stessi risultati in quanto, secondo alcuni, scientificamente poco significativi rispetto all’investimento fatto, ma non sulla natura del processo di lancio del progetto né sulla allocazione meritocratica dei fondi, i cui punti fondamentali non sono in discussione.

Il secondo esempio di finanziamento top-down alla ricerca scientifica è a noi più vicino, ed è costituito dai finanziamenti tematici che costituiscono una grossa fetta del budget alla ricerca definito in Horizon 2020. Come specificato in un editoriale pubblicato da Nature Methods[5], questi progetti sono necessari in alcune aree – come per esempio quello delle malattie rare o quello delle malattie diffuse nel terzo mondo – per il semplice fatto che una richiesta proveniente dalla società mondiale nel suo complesso andrebbe altrimenti inevasa e per la necessità di raggiungere una massa critica (ad esempio, necessaria a riunire i dati clinici di pazienti scarsamente rappresentati nelle varie nazioni) se si vuole avere successo.

Anche in questo caso, per le iniziative top-down dell’Unione Europea (che quindi escludono il 16.6% del budget totale destinato agli ERC), si è assistito a una discussione pubblica (in questo caso, in sede europea, con la preparazione di una serie di documenti di analisi per identificare le priorità), all’apertura di bandi internazionali per selezionare i destinatari dei fondi. È il caso, ad esempio, dei progetti di allargamento e potenziamento delle large scale infrastructures europee, che sono iniziative volte a costituire strutture fisiche di eccellenza in settori identificati come strategici dall’ Unione europea per il futuro della sua ricerca scientifica. È interessante notare come per Nature gli investimenti top-down realizzati abbiano una sola peculiarità: sono “topic-oriented”, cioè la direzione dell’investimento è predeterminata; per il resto, partecipanti, meccanismi di controllo ed attuazione, rendicontazione, tutto avviene secondo le regole ordinarie.

Del resto anche il nuovo documento della European Strategy Forum on Research Infrastructures (ESFRI) istituito nel 2002 per migliorare l’efficienza della ricerca e stimolare le contaminazioni creative fra aree diverse della scienza e della tecnologia, evidenzia l’avanzamento delle strategie di progettazione, selezione e realizzazione delle infrastrutture di ricerca che passano necessariamente attraverso fasi elaborate di valutazione e selezione delle proposte, in modo da ridurre gli errori e tenere conto delle esperienze di successo nate dalle precedenti roadmap. A titolo di esempio si riporta la roadmap presente nella pagina 25 del documento ESFRI[6]:

Questi esempi indicano che il top-down – inteso come definizione della tematica in termini generici – in Italia per iniziative come HT non è di per sé negativo; esso però deve essere commisurato agli obiettivi che si vogliono raggiungere, e deve seguire un percorso simile a quanto si osserva nel resto del mondo, senza scorciatoie in termini di trasparenza e “accountability”.

Come nel resto del mondo, questo percorso dovrebbe passare attraverso le seguenti tre fasi, che hanno delle caratteristiche che non possono essere lasciate all’improvvisazione:

Fase 1 – identificazione degli ambiti di investimento. La decisione di carattere governativo, presa auspicabilmente dopo una riflessione sulle qualità e le eccellenze del sistema ricerca e sulle necessità del sistema Paese, ha i caratteri dell’indicazione delle aree strategiche di investimento (per esempio, nanotecnologie), dell’entità delle risorse destinate, dell’arco temporale e della localizzazione geografica degli investimenti. Nulla di più, nulla di meno.

Fase 2 – preparazione delle regole di valutazione e scelta della procedura. Le regole valgono per più iniziative e sulla cui definizione gli “ufficiali pubblici” hanno un ruolo dominante. Esse devono prevedere le indicazioni precise su come istituire un processo selettivo di scelta dei progetti migliori per realizzare le finalità specificate all’atto dello stanziamento. Vi sono due modalità prevalenti: una procedura a invito (in cui però sono indicati i criteri sulla base dei quali saranno scelti i soggetti invitati); oppure una procedura a bando. Inoltre, è sempre e subito specificato l’organismo, cioè la necessità di una commissione di valutazione, che si farà carico della selezione. Tra le regole si evidenziano le norme per evitare i conflitti di interesse. Il tutto può essere snello e veloce. In altre parole l’equivalenza “procedura di selezione = burocrazia” è falsa. La stessa fase di competizione può essere veloce e durare meno di nove mesi (vi sono esempi anche nei settori indicati per HT).

Fase 3 – nomina della commissione di valutazione e monitoraggio. Tale commissione deve essere composta da membri terzi, indipendenti e competenti nel settore specifico. Tale commissione non potrà mai coincidere con quella che ha definito le regole e le procedure di monitoraggio. Oltre alla selezione dei progetti vincenti, è spesso previsto un meccanismo di valutazione in itinere. Spesso è coinvolto lo stesso ente terzo o il panel di valutatori ingaggiato per la procedura valutativa. Esistono sempre norme di garanzia volte a impedire che chi riferisce al Governo dell’andamento dell’investimento abbia co-interessi con gli affidatari del progetto finanziato.

Una nota conclusiva: in Horizon 2020, proprio in riconoscimento dell’eccellenza e della maggior produttività della ricerca bottom-up (cioè investigator-proposed) in tutti quegli ambiti in cui si desidera produrre vera innovazione scientifica, invece di consolidare un settore di interesse sociale o politico, i fondi per gli ERC (che finanziano ricerca immaginata e proposta da singoli ricercatori eccellenti, applicando poi una selezione estremamente rigorosa) hanno subito un incremento di budget del 77%, passando dai 7.5 miliardi di euro in FP7 ai 13.3 miliardi di Horizon 2020. In un periodo di crisi economica, quando l’innovazione reale è l’unica a poterci far uscire dalle secche della stretta finanziaria, proprio la ricerca originata da idee che nascono dai singoli studiosi sarebbe la scelta migliore. In Europa, come ci spiega il citato editoriale su Nature Methods, questo è particolarmente necessario, come esplicitato dal seguente stralcio:

“Yet innovation is—by definition—unpredictable, so focusing a large part of the funds on a limited number of research areas poses risks and is not the best way to encourage nonmainstream ideas. Top-down funding programs are harder for young, up-and-coming investigators to access, as research networks are largely built based on researchers’ track records and established connections. Moreover, within the ‘health’ area, these grants cover almost exclusively translational projects. Both top-down and bottom-up research initiatives are needed to ensure Europe’s global competitiveness. But as the EU sets its priorities under the clouds of overall budget woes, it should favor researcher-originated projects over thematically defined grants if it wants to promote technological and scientific innovation more efficiently”.

  1. La concentrazione delle risorse direttamente in poche mani pregiudica premialità e eccellenza

Nel decidere lo stanziamento di un’ingente somma di denaro pubblico per un ente affinché esso confezioni l’unico progetto ammissibile, il Governo disconosce la premialità nei confronti dell’eccellenza (che può trovarsi altrove rispetto all’ente prescelto) e il diritto di ogni ente e studioso ad essere giudicato per le proprie proposte.

Soprattutto, il Governo disconosce le prove raccolte nel mondo che dimostrano come la decisione top-down di concentrare eccessivamente le risorse in poche mani sia stata un fallimento, che ha prodotto:

(a) una minore resa marginale dei soldi pubblici investiti;

(b) una minore produttività scientifica dei ricercatori di eccellenza;

(c) l’instaurarsi di un “club degli amici” che ha dominato il teatro della ricerca pubblica rallentando innovazione e ostacolando l’eccellenza scientifica nel medio periodo.

I motivi indicati dalle analisi sono molteplici e in linea generale riportano che molti soldi in pochi posti e in poche mani, senza competizione, producono danni anche quando questi pochi sono individuati come eccellenti perché, nel lungo periodo, non si può sapere da quale ambito, organizzazione, progettualità emergerà la scienza migliore. Ecco perché la continua competizione tra le idee, i proponenti e gli enti si prospetta nella scienza come l’unica opzione vincente. Tra i motivi, val la pena ricordare: il problema nella definizione obiettiva di “merito” (nessun indicatore resiste a un’analisi qualitativa e quantitativa condotta con serietà); lo spostamento delle energie mentali dei ricercatori verso la competizione per le risorse (invece che la competizione per le idee scientifiche); il grado di corruzione e di familismo amorale del Paese (ricordiamo la posizione dell’Italia nelle classifiche mondiali); il disallineamento tra i tempi della ricerca scientifica e i tempi su cui sono attesi risultati dalla politica (che costringe i ricercatori a focalizzarsi su risultati ottenibili a breve, invece che su problemi fondamentali). Ed è il caso di aggiungere che qualunque sia il criterio di merito prescelto, non vi è nessuna garanzia che continuare a premiare lo stesso ricercatore o ente – prescindendo quindi dalla continua competizione – garantisca una produzione efficiente in futuro.

Concentrare eccessivamente le risorse con una scelta top-down, pur scegliendo un ricercatore o ente particolarmente meritevole (e a patto che tale sia), equivale quindi a investire sul passato, non sul futuro: non possiamo sapere chi infatti sarà il prossimo Leonardo da Vinci e strozzando l’accesso alle risorse per il bacino nazionale dei ricercatori attraverso l’eliminazione della competizione sicuramente impediremo che i nuovi emergano.

Diversi studi dimostrano che per avere ritorno dall’investimento economico è necessario diversificare in modo competitivo il “portafoglio di teste” sulle quali si investe, vale per la ricerca come per la finanza. È quindi la diversificazione competitiva tra le idee, invece che la concentrazione su una proposta a dovere essere perseguita. Sostenere il contrario nega la realtà scientifica emersa in diverse nazioni con nutrita letteratura[7].

  1. La corruzione dell’etica della scienza e la difesa dell’etica pubblica

Alla decisione del Governo di conferire a un ente beneficiario una notevole quantità di soldi pubblici, è seguita, con una politica “dei prescelti”, l’inclusione o esclusione da parte dell’ente beneficiario IIT di specifici “temi e nomi amici, nemici, opportuni”, in modo discrezionale e arbitrario, come l’intera operazione. In uno dei miei interventi pubblici ho parlato di “attività corruttiva dell’etica della scienza”. Intendo dire che questa modalità annulla ogni competitività, induce al silenzio e all’accettazione, all’andare a bussare di porta in porta, quelle prescelte, quelle ideali per raggiungere un accordo di “cartello” per preparare un testo che escluda altri in Italia e all’estero, giovani o meno giovani con le loro idee di contenuti e coordinamento di una forma diversa di Human Technopole.

Lo scorso 30 novembre 2015 anche io ero stata contattata. Un mio “sì” avrebbe probabilmente assicurato “tranquillità” finanziaria al mio laboratorio universitario per i prossimi anni, invece di continuare a lottare “armati” della sola forza delle proprie idee per vincere a livello mondiale i fondi per ricercare sulla malattia che studiamo, ma allo stesso tempo avrebbe determinato l’esclusione delle idee di altri colleghi da una libera competizione. Al successivo contatto del 17 dicembre da parte del direttore scientifico di IIT segnalavo il problema della “continua gestione della cosa pubblica su base discrezionale, senza programmazione e con modalità del tutto estemporanee quando non addirittura clientelari o propagandistiche” e auspicavo “coerenza e che nessuno si presti (ingenuamente?) ai capricci della politica nel nostro Paese avallando modalità operative che impediscono ancora una volta ai principi cardine della scienza di emergere e rafforzarsi e alla nostra società di beneficiare di un percorso ben più virtuoso e liberatorio”. ​ 

Quella che ha finora prevalso, non è l’Italia cui sento di dover contribuire a costruire con il mio doppio ruolo di scienziato e senatore. Ne faccio una questione sia di etica pubblica sia di adeguatezza delle strategie di investimento degli ingenti finanziamenti governativi che riguarda, cioè, i criteri sulla base dei quali si decide di impegnare risorse pubbliche. In questo caso, si è rinunciato colpevolmente alla libera competizione tra le idee, tra proponenti e enti per fare emergere il miglior progetto da consegnare al cittadino.

 

  1. I temi di HT non coincidono con quelli di competenza dell’ente beneficiario

È di tutta evidenza come l’ente beneficiario IIT – la cui missione statutaria è il trasferimento tecnologico – non possieda le risorse scientifiche specifiche richieste per la creazione di un campus sulle scienze della vita (malattie, genomica, neuroscienze) e la nutrizione individuate come tematiche chiave di HT. Anche da questo emergono le conseguenze di un accordo frettoloso e arbitrario. L’IIT ha dichiarato che non farà tutto da solo. Recluterà, con i soldi pubblici, ricerche (cioè idee) da altre istituzioni, quindi Università e CNR e altri centri di ricerca. È inspiegabile che a questi Enti e studiosi titolari delle competenze specifiche nelle scienze della vita e nutrizione (o nei big data) non sia consentito di poter disegnare la loro visione di un HT, o di vedere le loro idee finanziate direttamente, visto che sono enti pubblici, senza passare attraverso una forma di  intermediazione.

L’ente beneficiario deciderà come distribuire i finanziamenti e quanto e su quali idee (degli altri istituti) investire. Quali spazi assegnare e a chi. In altre parole l’IIT riceve e ri-eroga fondi pubblici, con forme non dissimili da quelle di un’Agenzia di finanziamento, come già evidenziato anche in passato in interventi in numerosi atti parlamentari (si veda più avanti e in Appendice), aggiungendo fondi o reclutando personale per lavorare sulle tematiche non proprie ma di altri, presso gli istituti coinvolti, e così garantendosi ritorni. Le collaborazioni tra idee e gruppi sono abituali nella scienza e si stabiliscono “alla pari” senza svendere le proprie idee a intermediari dell’erogatore pubblico. 

  1. Si sta valutando un progetto scientifico che essendo l’unico ha già vinto – quale il ruolo del MIUR?

La “revisione internazionale” ci sarà ma, per legge (promossa dal Governo), sarà di un unico progetto. Nessun confronto tra proposte. In queste condizioni, anche il revisore più critico non frustrerà l’intenzione di un governo di promuovere un nuovo centro per la ricerca, limitandosi a consigliare migliorie all’unica opzione data. Da un comunicato congiunto dei Ministri Giannini e Martina dello scorso 22 marzo si apprende che “il progetto” elaborato nelle condizioni descritte “è stato inviato ad un panel di valutatori internazionali di altissimo profilo”. Nel comunicato, il MIUR viene definito “soggetto coordinatore degli attori coinvolti” e IIT diventa l’ente che “coordina in collaborazione con gli altri enti”. In questo coordinamento del coordinatore, non bisogna distrarsi dalla circostanza che il Ministro deputato a promuovere e difendere la libertà di ricerca, non abbia avuto nulla da obiettare di fronte alla scelta di sottoporre a “valutazione” internazionale una sola opzione progettuale su cui ragionare. Così come non ha obiettato sull’anomalia di una procedura anti-meritocratica che identifica un unico destinatario dei fondi pubblici per la ricerca, senza gara, e con modalità totalmente disaccoppiate da procedure di selezione degli enti coordinatori e dei temi di ricerca da far crescere nell’area Expo. Procedura che è volta a concentrare le risorse (le tasse dei cittadini) della ricerca pubblica del futuro, in pochissime mani.

È grave che il Ministero dell’Università, venendo meno al suo mandato di promozione della libera ricerca, abbia accettato di escludere e negare la libertà di accesso a fondi pubblici per la ricerca ad altre progettualità attraverso un bando pubblico; è grave che non siano stati resi noti i criteri attraverso i quali il “panel di valutatori internazionali di altissimo profilo” è stato chiamato a valutare il progetto proposto da IIT; non è ulteriormente chiaro in cosa consista il ruolo di “coordinatore degli attori coinvolti” svolto dal Miur nel progetto Human Technopole e come tale coordinamento sia stato esercitato fino ad oggi; non è nota quale destinazione concreta avranno gli 80 milioni di euro attribuiti come “primo contributo” per l’anno 2015 all’IIT con il decreto-legge n.185 del 25 novembre 2015; non è chiaro se gli 80 milioni sono destinati a IIT solamente per avere assemblato un testo – per quanto è dato conoscere – contenente principalmente proposte progettuali di altri enti trattandosi di temi di cui IIT non ha competenza; né sono note le ragioni che hanno portato il Governo a richiedere espressamente a IIT un progetto di ricerca (con contestuale erogazione diretta di 80 milioni), a un ente sprovvisto delle competenze specifiche nelle materie e i contenuti di scienze della vita e nutrizione oggetto del progetto stesso.

  1. Quale ente andrà a Rho e quando?

Non esistono informazioni certe. È presumibile che l’ultimazione della costruzione del polo di ricerca richieda anni ed è quindi incomprensibile che si “valuti oggi” e si “finanzi oggi” un progetto su scienza della vita e nutrizione quando non vi sono strutture per ospitare ricercatori e strumenti. C’è quindi anche tutto il tempo per studiare, elaborare e istruire un programma serio, coordinato e globale della scienza che verrà lì ospitata e magari farlo a valle di una operazione di riforma delle modalità di erogazione dei fondi pubblici per la ricerca che preveda l’istituzione di una Agenzia nazionale della ricerca sul modello di analoghe e consolidate realtà europee.

Nel frattempo è appurato che ricercatori degli istituti partecipanti (a) hanno accettato di contribuire a redigere una parte di progetto HT su obiettivi stabiliti senza bandi, ciascuno con le proprie parcellizzate competenze, senza una visione di insieme (impossibile da attuarsi in così poco tempo), anche basandosi su proposte già in house e quindi, verosimilmente, optando anche per una riproposizione di testi di progetti in itinere magari già finanziati da altri enti (la duplicazione delle proposte sperimentali presso diverse agenzie di finanziamento o bandi è identificata come “misconduct” e severamente punita dalla comunità scientifica internazionale); (b) nell’aderire a questo ruolo hanno di fatto contribuito ad escludere altri concorrenti per l’accesso competitivo alla fonte pubblica delle risorse; (c) questi enti ospiteranno per anni dei laboratori congiunti con Tecnopolo-IIT fino a che l’area Expo non sarà costruita. In altre parole, per diversi anni non ci sarà alcun Tecnopolo (se non per aspetti minimali); (d) i laboratori congiunti saranno pagati e stipendiati da HT-IIT sebbene l’idea progettuale sia dell’ente partecipante. In tal senso, quindi, si verifica nuovamente una forma di cooptazione da parte di un ente che riceve ingenti fondi pubblici, che si struttura per rierogarli ai soggetti coinvolti.

In sintesi, per quanto è dato conoscere, all’atto della partecipazione al progetto dedicato all’area Expo, sottomesso per la valutazione, non vi è alcun impegno preciso, necessità o dovere di nessuno dei partecipanti di trasferire il loro intero ente o parte di esso o un singolo laboratorio presso l’area Expo per i prossimi anni.

  1. Il silenzio e la reazione della comunità scientifica

In seguito al primo articolo pubblicato sul tema, il 25 febbraio, ho ricevuto centinaia di messaggi di sostegno da colleghi, anche dall’estero. Ho appreso personalmente, attraverso richieste di contatti che non ho sollecitato, delle difficoltà – ahimè – di altri studiosi, dirigenti di enti di ricerca nel prendere una posizione per il timore di “esclusioni future o rappresaglie”.

Del resto, levare la propria voce critica e documentata ha prodotto tentativi di colpire anche il lavoro, l’onorabilità e l’impegno della sottoscritta. Il 22 marzo, a mezzo stampa, venivo accusata di agire per finalità politiche, facendo totale economia di una storia pubblica richiamata in premessa di denunce che ha interessato governi e maggioranze d’ogni colore e perimetro, volte ad alimentare frizioni interne al PD e quindi contro il Governo[8]; il giorno successivo con un articolo su La Stampa l’accusa si spostava su un (inesistente, come ampiamente dimostrato[9]) conflitto di interesse della sottoscritta relativamente all’attività di ideazione e realizzazione a livello parlamentare e di governo del Progetto Genomi Italia (un progetto che solo il Regno Unito in Europa ha attivo) per studiare i genomi italiani al fine di derivarne conoscenze con potenziali ricadute sanitarie. Un progetto sul quale – come ben sanno tutti i colleghi scienziati, anche per le mie continue denunce circa la necessità di evitare commistione di interessi – non ho alcun interesse personale come altro non potrebbe essere, né aspettativa alcuna di contribuire a destinare l’impiego dei fondi, tanto meno all’ente di cui sono dipendente, avendo previsto ruoli ben distinti tra la Commissione Genomi di cui al momento sono parte e che prepara il regolamento dei futuri bandi, oltre a trovare il cofinanziatore (pena decadenza dell’intero progetto), e il Comitato che selezionerà i progetti vincenti. Una distinzione più volte da me espressi in numerosi interventi sulla stampa, precedenti all’approvazione del progetto stesso.

Contemporaneamente da mesi dottorandi e giovani ricercatori mi chiedono di tenere alto il principio della libertà delle idee e di evitare un’altra concentrazione di denaro pubblico per programmi di ricerca “precostituiti” da coloro che partecipano all’operazione. Mi scrivono studiosi italiani all’estero, esperti e titolati in immunologia, genomica, malattie del cervello e mi chiedono a chi possono rivolgersi per sottoporre la loro idea di HT o di centro di ricerca nell’ambito di HT. Mi chiedono perché, per vedere finanziata una loro buona idea di ricerca o di sviluppo tecnologico, dovrebbero rivolgersi al gestore prescelto dello Human Technopole (e di tutti i fondi per la ricerca che gli verranno assegnati) invece di avere equo accesso e competere presso le risorse che provengono dalle tasse di tutti i cittadini. Qualcuno lamenta un profilo incostituzionale. Coloro che mi scrivono non sono certo contrari alla ricerca industriale, ma si oppongono all’idea di un’accademia asservita, che crede di poter governare un processo senza regole, non accorgendosi che sta infilando la testa nel “cappio d’oro” che si sta prospettando all’orizzonte.

Mi sono quindi chiesta quale sia il compito degli scienziati quando la politica si ostina a non capire che la mancanza di procedure trasparenti e competitive umilia i giovani, la scienza e l’innovazione; quando vediamo promettere fondi decennali, per legge, a un prescelto che fa da “intermediario” del sistema di finanziamento pubblico alla ricerca. Ai colleghi ricercatori ho più volte espresso il mio impegno e la responsabilità, che credo debba essere di ogni singolo scienziato e intellettuale, nel difendere la libertà della ricerca. Ho scelto di rifiutare l’invito e di denunciare quello che per me rimane una cosa fatta male, un tentativo di “corrompere” il metodo scientifico la cui difesa investe anche le istituzioni universitarie.

Vi è stata anche una importante parte della comunità degli studiosi che è scesa nell’agone politico manifestando pubblicamente, in rete e sulla stampa, la necessità di modificare quanto promosso dal Governo. In particolare tra i tanti si segnalano i seguenti appelli:

  1. a) “Separare scienza e politica”, appello degli scienziati italiani all’estero del 20 marzo 2016 pubblicato sul supplemento della domenica de Il Sole24Ore promosso da otto scienziati con prima firma della Prof.ssa Arlotta[10];
  2. b) “Human technopole adesso è il tempo della trasparenza” del 31 marzo 2016 pubblicato su Il Corriere della Sera a firma di venti eminenti accademici con prima firma della Prof.ssa De Monticelli[11];
  3. c) “Tecnopolo, gli scienziati chiedono trasparenza” del 4 aprile 2016 pubblicato su Il Corriere della Sera e promosso dal Direttivo del Gruppo 2003[12];
  4. d) “Human technopole e il futuro della ricerca” pubblicato sul supplemento della domenica de Il Sole24Ore il 24 aprile 2016, appello degli scienziati dell’accademia EMBO operanti in Italia[13].

Note personali in merito alla predisposizione del documento

 

1) Sono un professore ordinario, in aspettativa a vita, attivo scientificamente come responsabile di laboratorio all’Università degli Studi di Milano. Il laboratorio studia la malattia di Huntington. Dal luglio 2015 il laboratorio è fisicamente localizzato presso l’istituto INGM dell’Ospedale Policlinico di Milano. Il personale del laboratorio (borsisti, dottorandi, ricercatori) è strutturato e dipende direttamente dall’Università di Milano. I finanziamenti per le ricerche del laboratorio provengono esclusivamente da bandi competitivi e, per il 5%, da donazioni di privati.

2) I miei contatti con IIT sono sempre stati con colleghi operativi presso l’Ente e quindi di tipo professionale.

3) Nel febbraio 2011 venivo invitata a far parte del Comitato di valutazione di IIT per gli anni 2009-2011. La nomina a far parte mi è giunta da IIT. Il compenso (cui ho rinunciato) sarebbe stato erogato da IIT. Nella valutazione non avevo trovato grosse anomalie ma necessità di intervento su aspetti relativi alla governance e al trasferimento tecnologico, peraltro segnalate nella valutazione. La valutazione relativa alla produzione scientifica si basava su dati forniti da IIT (in cooperazione con il Comitato Tecnico Scientifico dell’ente). In nessun momento erano per altro emersi aspetti di cui ho preso conoscenza recentemente, in alcuni casi direttamente dagli organi di stampa e cioè (a) “l’accantonamento finanziario” di ingenti somme di denaro pubblico; (b) l’incomprensibile meccanismo di funzionamento di una fondazione di diritto privato largamente sostenuta con denaro pubblico; (c) il Consiglio composto soprattutto da professionalità appartenenti al mondo della finanza, delle banche, delle assicurazioni e del mondo industriale oltre alle ridotte ricadute industriali; (d) l’assenza di trasparenza amministrativa; (e) la debolezza del trasferimento tecnologico; (f) l’utilizzo di metriche di comparazione con altri enti utilizzando dati messi a disposizione dall’ente che facevano risaltare l’ente come modello di successo.

4) nel marzo 2015 ricevevo da un membro del Consiglio di IIT l’invito a far parte del Comitato di valutazione di IIT per il triennio 2012-2014. Declinavo per troppi impegni. Alla successiva richiesta di un nome di una collega del laboratorio che vi potesse partecipare suggerivo un professore associato, autorevole studioso responsabile di linee di ricerca sull’Huntington segnalando che lo stesso era comunque “a me vicino” in quanto dapprima dottoranda del laboratorio e poi persona con la quale condivido studi e laboratorio. Mi si rispondeva positivamente al suggerimento, giudicando irrilevante il collegamento con le mie attività di ricerca e si proponeva di contattarla. Circostanza che mi risulta essere avvenuta.

Assenza di conflitti di interesse

Non ho conflitti di interesse cioè non ho interessi personali o professionali tali da far venire meno l’imparzialità relativamente a quanto da me rappresentato in merito alla proposta di uno Human Technopole e alla valutazione degli aspetti relativi all’ente beneficiario di HT discussi in questo documento.

Le informazioni e le analisi qui rappresentate discendono direttamente dall’esercizio della funzione parlamentare, cioè di studio, approfondimento e condivisione con i colleghi parlamentari e la pubblica opinione di informazioni essenziali per valutare la bontà e l’appropriatezza delle politiche pubbliche in essere e in corso di realizzazione in tema di ricerca e sviluppo nell’interesse del Paese.

In tal senso le informazioni analizzate in questo documento sono di dominio pubblico e sono state raccolte per favorirne lo studio e gli approfondimenti ulteriori da parte di ogni componente del Parlamento e della società.


 

[1] http://www.sciencebusiness.net/news/75503/Bottom-up-or-top-down-Parsing-the-EU-research-debate.

[2] Si veda il seguente studio di Goldfarb e Henrekson http://www2.hhs.se/personal/henrekson/Artiklar%20eng%20i%20orig/RP%20w%20Goldfarb%202003.pdf

[3] Tratta da http://www.dta.cnr.it/publications/ISSN2239-5172/2015_19_EU_Alignment/2015_19_EU_alignment.pdf

[4] https://www.genome.gov/12513456/encode-project-background/

[5] http://www.nature.com/nmeth/journal/v9/n9/full/nmeth.2168.html

[6] http://ec.europa.eu/research/infrastructures/pdf/esfri/esfri_roadmap/esfri_roadmap_2016.pdf

[7] Si veda, ex multis, Berezin, A. The perils of centralized research funding systems. Knowledge, Technol. Policy 11, 5–26 (1998); Adams, J. & Gurney, K. Funding Selectivity, Concentration and Excellence – How Good is the UK’s Research?, HEPI Publ. – High. Educ. Policy Inst. (2010); Hicks, D. & Katz, J. S. Equity and Excellence in Research Funding, Minerva 49, 137–151 (2011); Mongeon, P., Brodeur, C., Beaudry, C. & Lariviere, V. Concentration of research funding leads to decreasing marginal returns (2016).

[8] Si veda l’articolo Elena Cattaneo, largo ci sono anch’io pubblicato da Italia Oggi il 22 marzo 2016.

[9] Si vedano i due articoli pubblicati sul sito de La Stampa, rispettivamente http://www.lastampa.it/2016/03/24/italia/politica/fondi-e-ricerca-la-senatrice-cattaneo-nessun-conflitto-di-interessi-EIzJwXH46uyjMS2xNbNvbL/pagina.html e http://www.lastampa.it/2016/03/25/italia/politica/la-senatrice-cattaneo-sul-mio-caso-ci-sono-stati-grossolani-travisamenti-nB2x0tYZSuOW8GLutw9NOK/pagina.html

[10] http://users2.unimi.it/labcattaneo/wordpress/wp-content/uploads/2016_03_20_Scienza_Filosofia_Sole24Ore.pdf

[11] http://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-milano/20160331/281990376661485

[12] http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/direttivo-gruppo-2003/tecnopolo-gli-scienziati-chiedono-trasparenza/aprile-2016

[13] http://users2.unimi.it/labcattaneo/wordpress/wp-content/uploads/2016_04_24_Sole24OreAAVV.pdf

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