Segnaliamo ai lettori il documento della Conferenza delle Associazioni Scientifiche di Area Giuridica sulla riforma dell’ASN. Segue il testo.
Segnaliamo ai lettori il documento della Conferenza delle Associazioni Scientifiche di Area Giuridica sulla riforma dell’ASN. Segue il testo.
Penso che con i difetti di ASN (anche quella 2.0 della nuova bozza) ci si potrebbe pubblicare un volume. Tuttavia temo che un documento come questo non aiuti.
Anzi, pensavo che la mia area (Psicologia) avesse molte gatte da pelare, ma temo che qui sia ancora peggio. Questo documento a me è sembrato un modo per dire: “Lasciate fare alle commissioni e basta”. Insomma, le belle storie di sempre dei concorsi legibus soluti.
Niente classificazione delle riviste, ci pensa la commissione.
Nessun parametro numerico, ci pensa la commissione.
Troppo alta l’asticella, si lasciano fuori i giovani. Citazione dal documento “Si pensi – ad esempio – alla “responsabilità scientifica per progetti di ricerca internazionali e nazionali, ammessi al finanziamento sulla base di bandi competitivi che prevedano la revisione tra pari” (n. 4), dalla quale i giovani studiosi aspiranti all’associazione sono ovviamente esclusi (e dalla quale sono normalmente esclusi anche i professori associati aspiranti alla prima fascia) o alla “direzione o partecipazione a comitati editoriali di riviste, collane editoriali, enciclopedie e trattati di riconosciuto prestigio” (n. 5), per le quali valgono analoghe considerazioni”. Fine della citazione. Ma davvero si può scrivere “ovviamente esclusi dal finanziamento” e “ovviamente esclusi dai comitati editoriali”? Una gerontocrazia allo stato puro, ovviamente…
Troppa discriminazione geopolitica. Citazione dal documento: “molti dei titoli elencati nell’allegato sono alla portata di studiosi che si formano nelle sedi universitarie maggiori, con contatti internazionali ed aperture al mondo della ricerca.” Ma cosa ci stiamo a fare nell’università, se non abbiamo “aperture al mondo della ricerca”?
E infine contro i ranking delle riviste si fa intravvedere persino la minaccia di possibili cause intentate alla direzione della rivista di fascia A che rifiutasse la pubblicazione di un articolo… Non lo invento, è a pagina 3.
Temo che così ci facciamo davvero del male…
Mi spiega in quale paese al mondo le commissioni sono tassativamente vincolate a rankings di riviste e soglie numeriche fissate a livello centrale? E’ solo una semplice domanda, partiamo di qui.
Lei dirà “ma senza queste soglie i concorsi sono legibus soluti”! Ora, a parte che non si tratta di concorsi e che nulla è legibus solutus, per evitare storture, il rimedio principe si chiama trasparenza. Invece le classifiche di riviste sono esattamente il contrario della trasparenza e si avvicinano pericolosamente al malaffare.
Trasparenza è quando il giudizio è ancorato a criteri riconoscibili e – soprattutto – quando il suo esito è largamente indipendente da chi sia il valutatore. Io non ho parlato di “livello centrale”, ci mancherebbe: ma se una comunità scientifica, tramite le sue associazioni, indica di comune accordo un ranking (ragionevole, senza pretese di discriminazione fine tipo i decimali dell’IF) delle riviste mi sembra che sia un bel passo verso la trasparenza.
Molti miei colleghi giovani mi dicono di preferire questo sistema: a me, che giovane non sono più, sembra meglio che non accendere un cero per l’esito del sorteggio dei commissari.
Ma noi siamo sempre avanti, che bisogno abbiamo di criteri riconoscibili? Sono gli altri paesi al mondo che non hanno Anvur e dunque sono in mano a bande di baroni che decidono come gli pare. Un po’ come gli USA ad esempio.
OK. Trasferiamo il sistema universitario italiano nel Wisconsin e siamo a posto…
Basterebbe meno creatività e più studio. Perché in nessun altro paese al mondo sono impiegate le tecniche anvuriane? Perché siamo più furbi? Perché c’è un problema genetico?
L’immagine del giurista che viene fuori da questo documento, però, è esilarante. Tristissima se non facesse sorridere. Qualcosa a metà tra Fantozzi e il Professor Aristogitone, ma ambientati negli anni ’30.
L’immagine-tipo è quella di un soggetto periferico che insegna in una università “minore”(i virgolettati sono citazioni testuali).
Si è formato nella suddetta università, “al di fuori dei circuiti con contatti internazionali e aperture al mondo della ricerca”. Egli scrive un solo articolo in quindici anni e lo pubblica su una rivista sconosciuta del suo Dipartimento (che chiamano ancora Istituto), rivista che non ha un sito internet e abstract “in lingua diversa dall’Italiano” (tutte pericolose diavolerie); una rivista che, immaginiamo, ha in redazione il suo Venerato Maestro ormai novantenne e sei o sette accoliti, che ha un comitato scientifico composto da altrettante cariatidi, tutti italiani in auge negli anni sessanta; la rivista non chiede referaggi ma il suo Commentario viene letto da alcuni degli accoliti e approvato dal Venerato Maestro. Non ha mai diretto un gruppo di ricerca perché non potrà farlo finché il Venerato Maestro sarà in vita, non è mai andato all’estero perché doveva spicciare le faccende nel suo polveroso Istituto (ooops, Dipartimento), che si occupa di aree del sapere giuridico “strettamente nazionali”.
Se qualcuno osasse ostacolare questa macchietta (…ops, “questa tipologia di studioso”, si minaccia “un contenzioso consistente”.
Faccio mie le parole dell’unico mio Venerato Maestro, il Principe de Curtis: “Ma mi faccia il piacere!”
…si scherza, eh!
L’ironia involontaria di quel testo era irresistibile.
@alice clark
totalmente d’accordo con lei, in realtà questa presa di posizione dei giuristi sembra proprio dimostrare che abbiamo un problema genetico …
Certo, i giuristi sono antropologicamente diversi. A me fanno anche un po’ ribrezzo, ma cerco di nasconderlo perché non sta bene manifestare certi pensieri che abbiamo in molti.
“L’ironia involontaria di quel testo era irresistibile.”
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… mai paragonabile all’ingenuità di chi commenta pensando che per aree parecchio diverse dalla sua si possano dare per scontate le stesse prassi e le stesse modalità di produrre e diffondere i risultati della ricerca.
Si chiamano “prassi” quando sono trasversali e consolidate ovunque. Ma non pare così: l’evidenza empirica mi dice che conosco molti (e leggo di altri) colleghi giuristi che non rispondono affatto a quei canoni . Magari è anche un problema di quali prassi esprime e riconosce chi sta ai vertici delle associazioni.
che quelle siano o no delle prassi (e io non credo che lo siano fino a quei livelli), nessuno pretende che tutte le aree e tutti i ssd debbano avere i medesimi criteri di valutazione, ci mancherebbe!
però suona davvero strano, direi imbarazzante, che una “corporazione” scientifico-accademica (ci intendiamo, vale per tutti i ssd) sostenga a spada tratta un idealtipo di studioso che invece dovrebbe essere interessata a marginalizzare. Proprio perché molti giuristi di oggi, come dice qui sopra Depolo, e come credo saprà ancor meglio Antonio Banfi, non gli assomigliano affatto (per fortuna).
Non sono solo i giuristi italiani ad avanzare riserve nei confronti di un certo tipo di valutazione. La lettura del seguente documento, elaborato a Lovanio, rende l’idea della dimensione internazionale del problema.
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LEUVEN LAW & CRIMINOLOGY RESEARCH CLASSIFICATION & EVALUATION MODEL
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2416240
[…]
The Problem
2. The trap of meritocracy has been that the qualitative criteria have become quantified over the years. We all know that sciences, also ours, have been caught by the “publish or perish” quantitative tsunami. This has ended in impact factor and citation index worshipping in other sciences. This reinforces the moving away from quality, as only the published instrument (journal or book, press) and its formal ranking, becomes the quality determinant, not the individual piece itself.
3. In legal sciences, where such formal rankings are not readily available (less so in criminology), it has led to over-emphasizing the importance of writing in English or in foreign journals or publishers. It has also led to overemphasis on counting publications, making the evaluation of legal and criminological research far too quantitative.
[…]
The Solution: Beyond Quantity – Look at the Individual Piece of Work (IPW) not the Instrument
6. We feel it is vital to move “beyond quantity” and to re-focus on quality. For that we need to look at the individual piece of work (IPW) itself and get out of both the quantity madness and pure formal indicator imperialism of ranking journals and presses, impact factors and citation index.
A me non sembrae sattamente la stessa cosa, rilegga la parte “altri titoli” in cui ci sono tratti francamente grotteschi, come quello sulle università periferiche, sugli abstract in italiano…
vorrei essere chiara, non voglio difendere l’anvur su moltissime cose che vengono comunemente criticate dalle società scientifiche (e anche qui su roars), come la scomparsa del ruolo delle “riviste scientifiche”, l’ottusità dei criteri soltanto quantitativi, il ruolo demiurgico dei non italiani in comitato scientifico o degli scritti in altra lingua, l’esaltazione della produttività a tutti i costi et similia. Sono fortemente critica anch’io.
Semplicemente faccio notare che molte osservazioni della casag mi sembrano altrettanto ottuse difese di una monade senza porte né finestre, che rivendica la “perifericità” di alcuni contesti per poterli, forse, meglio controllare. E lo fa con modalità culturalmente desuete, emi sembra un’osservazione di puro senso comune, una percezione molto evidente.
Poi magari sbaglierò, non mi interessa intestarmi questa polemica perché non intendevo esserlo.
Forse i giuristi medesimi potrebbero dirci come leggono questa presa di posizione.
I giuristi fanno ovviamente i giuristi, non i matematici. Però i giudici hanno la forma mentis dei giuristi, quindi le raccomandazioni di area giuridica vanno prese molto sul serio. Del resto molti principi di ASN 1 sono caduti sotto i colpi delle sentenze. A me, che non sono un giurista, le osservazioni paiono tutte sensate e concrete, in particolare la raccomandazione di fare procedure annuali, ma fatte rigorosamente, onde evitare la fatale conclusione a “sportellate”.
Come si fa a buttare a mare, come emerge da alcuni post, il lavoro di una intera commissione, intelligenze, dibattiti confronti, dialettiche di docenti esperti di diritto. E’ il male dell’università italiana i gioco tra colleghi tra chi ce l’ha più lungo (l’ IF ovvaimente). Questo gioco, a mi modestissimo avviso al massacro, è stato complice (non unico protagonista sia chiaro) del disastro della nostra università. C’è sempre un grande professore con super IF che critica (gli altri ovviamente) e qualche giornalista che non vede l’ora di dimostrare che l’Università pubblica fa schifo. Il male storico si chiama, individualismo (magari con un po’ di narcisismo). La retorica sui ranking, sul merito è il risultato anche di questo. Mi sbaglio? certamente qualche grande (di IF) scienziato me lo dimostrerà…:)
Cosa c’entra l’IF? Ma chi pensa di applicare l’IF e per di più ai giuristi? Cosa c’entra essere pro o contro Anvur? Ma chi ha mai difeso il modo di procedere di Anvur?
Le reazioni emotive vanno benissimo, leggere bene i post cui si risponde sarebbe ancora meglio.
Non vorrei nella mia area un documento ufficiale in cui si dicesse dei giovani colleghi che sono “ovviamente esclusi dal finanziamento” e “ovviamente esclusi dai comitati editoriali”.
Presentare l’università pubblica come una “ovvia” gerontocrazia non mi pare il modo migliore di valorizzarla.
IO non mi riferivo a lei…ma evidentemente…
tranquillo, sono perfettamente d’accordo con depolo, quindi…
in particolare, quando scrive “Presentare l’università pubblica come una “ovvia” gerontocrazia non mi pare il modo migliore di valorizzarla.”
dando un’occhiata all’analogo documento, appena pubblicato, dei filosofi non posso riproporre le osservazioni (ironiche) fatte su quello de giuristi.
Indi, c’è qualcosa di diverso che va oltre la prosa, e che è, probabilmente, proprio la logica.
Il documento della Società Italiana di Filosofia Teoretica (https://www.roars.it/documento-della-societa-italiana-di-filosofia-teoretica-sui-criteri-e-parametri-per-labilitazione-scientifica-nazionale/) contiene considerazioni del tutto sensate, alcune persino ovvie.
Io credo che l’ironia qui sia davvero mal riposta. I ricorsi e gli affondamenti di buona parte di ASN 1.0 sono fatti concreti, mentre situazioni analoghe per ASN 2.0 sono dietro l’angolo.
scusi de nicolao, ha letto bene il mio post? Ho scritto che “non posso riproporre” le osservazioni ironiche sul documento dei giuristi.
Proprio perché quello dei filosofi è, per l’appunto, sensato e condivisibile.
Sorry, avevo letto (per sbaglio) “non posso (che) riproporre”.