E’ deciso. I Bronzi non andranno all’Expo. La Commissione MiBACT istituita ad hoc dal ministro Franceschini ha espresso parere negativo e le motivazioni addotte appaiono del tutto ragionevoli. Le statue sono fragili e il progetto scientifico-culturale in nome del quale avrebbero dovuto muoversi inesistente.
Voltiamo pagina dunque? Volentieri, ma non senza una breve riflessione. La polemica estiva pro et contra i due antichi guerrieri all’Expo ha segnato apici di povertà argomentativa.
La nomina politica a Commissario Expo per le Belle arti ha restituito a Vittorio Sgarbi, al termine di una stagione di maggiore sobrietà, l’abituale costume di futilità e improvvisazione. Forse qualche lettore lo ricorderà in televisione a fine agosto, ospite di una puntata tra le ultime di In Onda, dedicata appunto alla disputa sul trasporto delle statue. Non riuscì affatto a chiarire le ragioni della sua proposta, che sembrò allora (ed è sembrata adesso, ai membri della Commissione) un pretesto come un altro per tornare a calcare l’arena politico-mediatica. Le opere d’arte non sono chiamate a compensare la perdita di sovranità politica e finanziaria di un paese, o la scarsa innovatività delle sue imprese. Fu però ingiurioso e personalistico. Suppongo possa esservi stata querela da parte di chi, come Salvatore Settis, fu da lui insultato nell’occasione in modo plateale e nominativo.
Dall’altra parte, da parte cioè di coloro che rifiutavano l’ipotesi di trasferimento temporaneo delle statue, è emerso un preoccupante distacco dalla realtà, malgrado proprio questa posizione abbia poi trionfato. Si sono usate retoriche localistiche inattendibili. Si è fatto appello a emozioni retrive. E si sono invocate autorità mitologiche, storico-giuridiche etc., anziché portare argomenti razionali, comprensibili a tutti.
Personalmente ritengo che il futuro delle discipline storico-artistiche e archeologiche non si giochi su piani identitari, ma nel dialogo con le scienze cognitive, sociali e della Terra. Lo studio delle immagini conferisce abilità di fondamentale importanza. Educa a ordinare una molteplicità a tutta prima caotica di stimoli e sensazioni. E a restituire in forma narrativa, attraverso una sequenza ben congegnata di parole, un’esperienza simultanea (del quadro, della scultura). Il vantaggio pedagogico è ben più concreto e rilevante di un incerto senso di appartenenza.La conservazione del “patrimonio” chiede peraltro di essere intesa in senso ampio, come protezione accordata al paesaggio storico e naturale.
E’ sbagliato legare il destino del patrimonio a una parte politica, allo Stato unitario, alla Nazione o persino alla Costituzione del 1948: sbagliato sotto profili di strategia e di merito (questo è anche il punto di vista di un esperto di tutela e restauratore come Bruno Zanardi). Le istituzioni storiche, politiche o giuridiche possono perire. Il senso di un’opera d’arte no. O quantomeno: è compito degli storici impegnarsi perché questo non accada, e quadri e sculture possano continuare a trasmettere negli anni, grazie anche a interpreti dediti, i loro tesori di ingegno e sottigliezza. Si può scegliere di andare contro tutti e tutto: dev’esser chiaro però che una politica one issue, velleitaria sul piano pratico, giova solo alla creazione o al mantenimento di posizioni personali.
Non esiste un modo unico di concepire lo studio dell’arte. A livello internazionale già due diverse generazioni di scienziati cognitivi, psicologi o neurobiologi, indagano l’arte da punti di vista sperimentali utilizzando tecniche di ricerca sul campo, “storiometria” e neuroimaging. Di queste indagini gli storici dell’arte italiani sembrano per lo più all’oscuro, impegnati in dispute attribuzionistiche e indagini antiquarie legittime ma parziali. Tuttavia competenze storiche fini sarebbero assai preziose per equilibrare e talvolta correggere talune assunzioni della ricerca sperimentale. A mio parere è essenziale che un intero ambito disciplinare possa oggi riorientare in direzioni meno nostalgiche i propri sforzi.
@MicheleDantini
Una versione ridotta dell’articolo è apparsa sull’Huffington Post
Pur non essendo uno storico dell’arte, ne tampoco un archeologo, apprezzo molto la nota di Michele Dantini, il cui tono pacato è largamente più convincente delle esternazioni di chi affida le proprie ragioni (si fa per dire!) al volume della voce ed al vituperio. Credo che Sgarbi e la sua presenza frequente in salotti scadenti e talk shows più o meno popolari, caratterizzata appunto, da urla ed ingiurie, sia parte del lascito nefasto di un ventennio politico di cui solo ora, forse, cominciano ad essere apprezzati i danni enormi arrecati al nostro paese in generale ma, in particolare, ad uno dei suoi patrimoni più preziosi: la cultura.
per riuscire a capire il senso dell’intervento ho dovuto passare un pò di tempo a leggermi i vari articoli e documenti citati, ma ancora non ci arrivo.
per semplificare: se la richiesta di prestare i bronzi venisse da una istituzione internazionale di chiara fama all’interno di una mostra sulla cultura della magna grecia proposta dai migliori studiosi, si potrebbe fare?
@Carlo. Nel tal caso, dal punto di vista della Commissione, cadrebbe uno dei due motivi di opposizione. E suppongo che avrebbe potuto esservi il “nulla osta”. Questo mio intervento non entra tuttavia nel merito delle valutazioni della Commissione stessa. Rifletto invece criticamente sugli argomenti adottati dai contendenti (a favore o contro lo spostamento dei Bronzi) e su un più generale ritardo culturale.
quindi se capisco la commissione avrebbe comunque detto: anche se la proposta è di altissimo interesse rimane l’impossibilità di superare il quesito posto dal ministero, che le statue potessero essere mosse «senza pregiudizio alcuno», cosa (come dice Berardi) “impossibile da sottoscrivere in tutta sicurezza”, sebbene i bronzi siano (sempre a detta di Berardi) “trasportabilissimi”.