Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Nei giorni scorsi il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, a valle dell’udienza tenutasi il 22 gennaio 2015, ha emanato la sentenza n. 00644/2015 relativa al ricorso presentato il 7 gennaio 2013 da 87 ricercatori di ruolo del Politecnico di Milano contro il proprio Ateneo. In tale ricorso i ricercatori chiedevano l’abolizione del “Regolamento per l’impegno didattico dei professori e dei ricercatori”. Il TAR ha accolto le istanze dei ricorsisti e ha disposto “l’annullamento dell’atto impugnato, nei limiti della parte censurata”. Ma qual è stato l’oggetto del contendere?
Il regolamento in questione, emanato con Decreto Rettorale del 9 novembre 2012, prevedeva per i ricercatori di ruolo confermati un impegno didattico annuo di 350 ore, con l’obbligo di svolgere 80 ore frontali in aula nella forma di esercitazioni o laboratori didattici curriculari, commutabili con la titolarità di uno o più insegnamenti a titolo gratuito per un numero di crediti formativi pari a 8 CFU. Questo nonostante la Legge 240/2010 (Legge Gelmini) all’art. 6 reciti:
(comma 3) “I ricercatori di ruolo svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti di didattica integrativa e di servizio agli studenti, inclusi l’orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell’apprendimento, fino ad un massimo di 350 ore in regime di tempo pieno e fino ad un massimo di 200 ore in regime di tempo definito.”
(comma 4) “Ai ricercatori a tempo indeterminato […] sono affidati, con il loro consenso e fermo restando il rispettivo inquadramento e trattamento giuridico ed economico, corsi e moduli curriculari […]. Ciascuna università, nei limiti delle disponibilità di bilancio e sula base di criteri e modalità stabiliti con proprio regolamento, determina la retribuzione aggiuntiva dei ricercatori di ruolo ai quali, con il loro consenso, sono affidati moduli o corsi curriculari”
La legge è dunque chiara nel puntualizzare che i compiti didattici dei ricercatori possono riguardare solo la didattica integrativa (dunque non curriculare) e che, nel caso di assegnazione della titolarità di un corso, si debba determinare una retribuzione aggiuntiva.
Nel maggio del 2011 erano stati proprio i ricercatori del Politecnico di Milano, con una lettera aperta sottoscritta da circa 300 firmatari, a sollecitare la definizione da parte del proprio Ateneo di un regolamento che definisse i compiti didattici di tutti i docenti. Tale regolamento avrebbe dovuto tracciare una chiara distinzione tra le attività didattiche “curriculari” e quelle “integrative”, sancire il rispetto del principio per cui allo svolgimento di corsi e moduli curriculari dovesse essere riconosciuto un livello di responsabilità superiore rispetto all’attività didattica integrativa e, conseguentemente, fissare un’equa retribuzione aggiuntiva per l’affidamento di tali incarichi, come previsto dalla Legge Gelmini.
Nei mesi successivi, con l’affidamento alla Commissione Risorse Umane dell’istruttoria per la redazione del regolamento, il Coordinamento dei Ricercatori del Politecnico di Milano ha elaborato proposte concrete per ottemperare al dettame di legge, corredate da analisi economiche che ne dimostrassero la sostenibilità rispetto ai vincoli di budget imposti dall’Ateneo. Tuttavia, al termine di tale fase istruttoria, il Senato Accademico ha adottato un’impostazione in cui vigeva per i ricercatori l’obbligo di coprire parte dell’impegno didattico mediante esercitazioni/laboratori, didattica dunque curriculare e non integrativa, con la possibilità in alternativa di soddisfare tale obbligo mediante la titolarità di moduli o corsi curriculari, senza il riconoscimento di alcuna retribuzione aggiuntiva.
Con la sentenza ora depositata il Tribunale Amministrativo accoglie nella sua interezza il ricorso, stigmatizzando il fatto che l’Ateneo abbia “operato in sostanziale elusione della ratio e della lettera della legge”. Riteniamo tale sentenza di grande rilevanza in quanto, nell’attuale disomogeneità delle interpretazioni dei dettami di legge, esclude la possibilità di un monte ore obbligatorio di esercitazioni/laboratori per i ricercatori, così come a maggior ragione la possibilità di scambiare tale monte ore con la titolarità gratuita di un corso. La sentenza afferma infatti che “l’eventuale attività di docenza curriculare posta in essere dai ricercatori debba ricevere una congrua retribuzione aggiuntiva, in ragione del diverso impegno professionale e della maggiore responsabilità inerenti a detta attività di docenza”. Ci auguriamo che tale sentenza possa servire a chiarire la questione anche in altre università italiane ponendo fine, ove dovesse sussistere, all’elusione di questi principi.
Paolo Biagioni
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Secondo il TAR Lombardia, il Politecnico di Milano ha “operato in sostanziale elusione della ratio e della lettera della legge”.
Che sberla.
All’Universita’ di Padova il regolamento sui compiti didattici di professori e ricercatori, dovuto in base alla legge 240 2010 (Gelmini) che io sappia non solo non e’ mai stato emanato ma neppure discusso (si procede di anno in anno per delibere del senato accademico, nelle more dell’adozione di uno specifico regolamento).
Mi domando se esistano altri atenei in questa situazione e come sia possibile ritardare di anni un regolamento dovuto per legge (situazione analoga a quella dei regolamenti che il MIUR non emana, vedi nuove abilitazioni). Esistono strade legali per imporre l’adozione dei regolamenti o si tratta di una questione puramente “politica”?
Mrco: ennesima dimostrazione di come (male) le università gestiscono questioni delicate. Si potrebbe ipotizzare un ricorso contro l’inerzia amministrativa, ma la conseguenza più ovvia è la seguente: le delibere del senato accademico sono illegittime, sicché in Unipd non esiste una disciplina sull’impegno didattico dei docenti e ricercatori.
Qui la delibera di UNIPD sui compiti didattici:
http://www.scienze.unipd.it/fileadmin/Documenti_utili/Docenti/Allegato_Delibera_49-2014_SA_7-4-2014.pdf
Nel mio Dip. sostanzialmente tutti gli RU (circa 50) sono titolari (volontariamente) di un insegnamento, hanno il titolo di prof. aggregato e ricevono dei soldini specifici (pochi).
Tutti gli incarichi di insegnamento sono approvati dal Dip.
(prima che l’insegnamento inizi) in coordinazione con il Corso di Studi e la Scuola di riferimento.
Il regolamento didattico vigente di UNIPD e’ questo:
http://www.unipd.it/sites/unipd.it/files/REG_Didattico_2013.pdf
nell’art. 8 si discute dei compiti didattici in generale.
caro Salasnich,
la delibera che citi e’ stata approvata (come recita testualmente)
“nelle more dell’adozione del Regolamento di Ateneo di cui all’articolo 6 della
Legge 30 dicembre 2010, n. 240”
quindi a UNIPD il regolamento sui compiti didattici dovuto in base alla legge 240 non e’ mai stato adottato (e sono passati piu’ di 4
anni)
Caro Marco, lo so.
Del resto operano in sostanziale elusione (o diretta violazione) della legge anche quelle università (probabilmenete la gran parte di quelle statali) che non retribuiscono i professori di II e I fascia quando fanno lezione al di fuori del loro monte orario. Sarebbe bello che si iniziasse a rifiutare questo tipo di prepotenze, opponendo ai vari argomenti portati avanti dai vertici universitari un argomento giuridico semplice ma fondamentale: ai sensi dell’art. 36 cost., “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. Cioè il diritto alla giusta retribuzione non è comprimbile sulla base di altre (più o meno vere) esigenze.
A UNIPD pagano le ore in più: circa 70 Euro lordi l’ora.
Quando facevo il prof. a contratto a UNIBZ mi pagavano (alcuni anni fa) circa 200 Euro lordi l’ora con, in aggiunta, rimborso di vitto, alloggio, e spese di viaggio.
Luca: mi fa piacere per voi! ma in molte università non è così. La stessa esistenza di prassi così diverse a seconda delle università (nonostante che lo status giuridico della docenza universitaria dovrebbe essere affidato alla legge e quindi uguale in tutta Italia) dimostra come una presa di posizione chiara ed unitaria da parte dei professori e ricercatori universitari sarebbe necessaria. L’errore fondamentale, secondo me, è accettare la logica per cui queste retribuzioni “aggiuntive” sono concessioni “graziose” del rettore e CDA, invece che oggetto di un diritto alla giusta retribuzione che non può essere posto in discussione.
Mi è stato detto che c’è una qualche legge dello Stato che proibisce di pagare ore aggiuntive ai docenti universitari.
E che quindi la didattica aggiuntiva viene pagata come “incentivo”.
Non sono leguleio, e quindi faccio fatica a capire la sottile differenza tra le due forme di pagamento.
E quindi non capisco perchè non ci possa essere anche un “incentivo” per la mensa. Anche in questo caso c’è una legge dello Stato che proibisce di pagare “buoni pasto” ai docenti universitari (mentre il personale tecnico e amministrativo ha i buoni pasto, e gli studenti (tutti legalmente poverissimi) mangiano quasi gratis nelle mense universitarie).
Luca, l’asserito divieto di pagare didattica aggiuntiva non ha alcun fondamento giuridico; è anzi vero il contrario, ossia che andrebbe pagata. Quanto alla mensa, lì purtroppo è vero che con un DL spending review (credo del 2011) invece che tagliare i veri sprechi Monti ha pensato bene di tagliare la nostra mensa .
[…] 4. TAR LOMBARDIA: RETRIBUIRE I CORSI AI RICERCATORI IL TAR della Lombardia ha cancellato il Regolamento del Politecnico di Milano nella parte che non prevede la retribuzione dei corsi tenuti dai ricercatori. – Per leggere la sentenza e un commento cliccare qui. […]
Ci andrei piano con gli entusiasmi perchè le cose non sono così semplici. Il mio Ateneo si è adeguato alla Gelmini, per cui paga i ricercatori di ruolo in proporzione al numero di ore in cui questi svolgono attività didattica. E fin qui tutto bene. Contemporaneamente, però, l’Uni ha varato alcune linee guida sulle attribuzioni dei carichi didattici ai ricercatori in cui si “invita” i Consigli Didattici ad attribuire carichi prima ai docenti di I e II fascia (e ancora ci siamo), poi ai ricercatori RTD, i quali per legge devono svolgere 60 ore di attività didattica non retribuita ed, infine, in maniera equivalente ad una supplenza, ai ricercatori RTI che devono essere pagati. Difatti, in questo modo, agli RTD vengono attribuiti tutti i carichi didattici che sono tolti agli RTI. La cosa può andare bene a qualcuno ma non a chi, seppure RTI, ormai da anni è titolare di uno a più corsi che teneva gratis prima della sciagurata Gelmini e vorrebbe continuare a tenere a prescindere dal pagamento.
“La legge è dunque chiara nel puntualizzare che i compiti didattici dei ricercatori possono riguardare solo la didattica integrativa (dunque non curriculare) e che, nel caso di assegnazione della titolarità di un corso, si debba determinare una retribuzione aggiuntiva.”
Riguarda sia RTD e RTI??
Vi risulta che ci siano Uni che pagano i ricercatori sia per la didattica curriculare che per la didattica integrativa?
Caro Gianni74, capisco l’indignazione, ma secondo me facciamo sempre lo stesso errore. Confondiamo articoli di legge con relazioni familistiche un pò invischiate e ambivalenti, come è, fra l’altro, la posizione degli RU nei confronti della didattica. Credo che questa cosa esista solo nell’accademia. Una legge dice che gli RTD hanno un obbligo (240/10), mentre un’altra (382/80) dice che gli RU non hanno questo obbligo. Sono leggi che regolano le relazioni fra amministrazione e lavoratore in modo chiaro. Contravvenirle con regolamenti locali è a dir poco ingenuo. Faccio un esempio: imporre un corso ad un RU può portare a casi giuridici incredibili. Può capitare, per esempio, che l’avvocato di uno studente che non superi l’esame e non può laurearsi chiami in giudizio il RU perchè non esiste la documentazione (tipo richiesta del soggetto e approvazione di una commissione di facoltà) che determina l’approvazione di quell’incarico: insomma l’avvocato può affermare che il RU non ha il diritto di essere titolare di quel corso.
Capisco che siamo affezionati alle nostre cose, e che non essere titolari di corsi è un ostacolo per la propria carriera accademica, ma siamo dentro istituzioni regolate da leggi, non fra amici
Ciao. Ho forse comunicato male il mio pensiero per cui mi dilungherò un pò di più. Condivido assolutamente quello che dici in merito agli aspetti legali e sono ben contento della sentenza del TAR. Dicevo solo che bisogna stare attenti a come poi tutto ciò ci si può ritorcere contro quando di mezzo ci sono le esigenze economiche degli Atenei che li spingono a varare regolamenti al limite del legale. Es: consideriamo due corsi da 60 ore ciascuno, uno tenuto da un docente di II fascia, l’altro tenuto da un RTI con suo consenzo, che ne è titolare da qualche anno, e deve essere pagato. Quest’anno entra un RTD che deve fare 60 ore integrative senza essere pagato. Il Consiglio didattico, supportato dall’Ateneo, decide che i due corsi da 60 ore siano assegnati al docente di II fascia, siano splittati entrambi in due moduli al 50%, uno di didattica frontale, l’altro di esercitazioni in aula ed in laboratorio. Questi moduli esercitativi sono asssegnati allo RTD che li svolge come didattica intergrativa, senza aggravio di spese per l’Ateneo. Risultato lo RTI rimane senza corso. Questo è un problema? Per alcuni potrebbe esserlo. Vi invito solo a pensare all’impatto di questa cosa quando l’RTI chiederà risorse al Dipartimento, magari per passare di ruolo, cosiderato il suo apporto, ormai nullo, sulla didattica erogata. Sto esagerando? Può darsi.
Caro Ernest, il PoliTo retribuisce sia la titolarità del corso che separatamente le ore di esercitazione.
La retribuzione aggiuntiva cmq x legge non riguarda gli RTD ma solo gli RTI, in quanto per i primi la legge definisce nei compiti da svolgere la didattic, per i secondi solo la didattica integrativa.
Grazie JT,
Ma se un ricercatore fa troppa didattica e non pubblica adeguatamente , è giusto che venga pagato per la didattica, mentre non fa adeguatamnete il suo lavoro principale???
Fantasy.
C’era una volta un RU, consigliere comunale, che si vantava sui giornali locali dei meravigliosi voti che prendeva dagli studenti per la didattica che svolgeva. Era stato infatti lui a costringere l’Università a rendere pubblici online le valutazioni degli studenti sui docenti.
In effetti il nostro RU era piuttosto bravo, ma si dimenticava di sottolineare ai giornalisti che lo intervistavano (almeno 2 volte a settimana) i suoi contributi scientifici di ricerca, che come RU (settore bibliometrico) avrebbero dovuto essere il suo principale interesse.
Il nostro RU credeva molto nella valutazione fatta degli studenti, ma molto meno nella valutazione dei colleghi e nella bibliometria dato che non aveva quasi mai pubblicato articoli scientifici. Infatti, il nostro RU era un fiero oppositore del cardinal FANTON e della sua organizzazione occulta nota come l’A.N.V.U.R. del G.A.D.U.
Con la riforma dell’Università del re RENZIBUS, il nostro RU divenne “prefetto dell’Università” a controllo del Rettore (sospettato di essere simpatizzante del cardinal FANTON). Ruolo che di fatto già svolgeva. E divenne anche PO, a seguito delle sue eroiche proteste sui tetti che fermarono l’invasione delle orde barbare di ZAIABRUT.
X Ernest. Non non lo è allo stesso modo per cui non è giusto pagare un docente universitario con uno stipendio da II o I fascia quando fa solo didattica mentre è “silente” sull’aspetto ricerca. Non dimenticare che il docente universitario deve svolgere entrambe le attività. Se poi sostieni che per i ricercatori quella della ricerca deve essere un’attività prevalente, concordo, ma attenzione a non dimenticare la motivazione storica del ruolo del ricercatore universitario perchè troppo spesso, per giustificare sciagure come la Gelmini, ho sentito dire che gli RU devono fare solo ricerca. Questo sarà vero per gli RTi dell’ultima ora e per gli RTD, il cui ruolo è stato difatti adeguato a quello degli altri Paesi europei, ma negli anni passati la figura dello RU è stata difatti quella di un docente di III fascia a tutti gli effetti. Anche il loro reclutamento era spesso fatto sulla base di esigenze di diattica più che di ricerca e le mansioni didattiche/istituzionali non hanno quasi mai avuto nulla da invidiare a quella dei docenti associati e ordinari. La realtà è stata questa per molti anni, a prescindere da quello che effttivamente citava la legge. Capisci anche l’ulteriore assurdo quando dopo dieci anni e più di attività didattica/istutuzionale ti senti dire che in realtà non sei abilitato a svolgerla?????
I RU non hanno alcun obbligo di didattica se non i compiti di didattica aggiuntiva previsti dalla 382/80. Quindi le strutture universitarie devono attribuire i compiti di didattica curriculare prioritariamente alle figure PO+PA+RTD che hanno l’obbligo di farla senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Questo non e’ una materia su cui si può discutere e’ un obbligo di legge pena un possibile intervento della Corte dei Conti. Per quanto riguarda l’affidamento di insegnamenti ai RU lo si può’ fare, in mancanza di una delle figure precedenti nello specifico SSD o in settori affini. In tal caso e’ OBBLIGATORIO che tale attività sia retribuita.
La legge non garantisce alcun diritto soggettivo alla titolarità di insegnamenti da parte dei RU ma prevede un affidamento, in caso di documentata necessita’, con il consenso dell’ interessato. Ovviamente in molti atenei non sarebbe possibile accreditare i corsi di studi se i RU non potessero essere incardinati, quindi molto spesso il problema si pone solo in quei pochi casi dove ci sono molti RU e i corsi sono già tutti coperti da professori di ruolo. In tal caso gli RU faranno solo quello che prevede la 382.