Con comunicazione del 27 maggio, il D.G. MIUR, G. Livon, si rivolge alle commissioni per le abilitazioni.
Relativamente alla tornata 2012, si precisa che:
. il calcolo degli indicatori bibliometrici dei candidati è ancora in corso.
.ulteriori operazioni di verifica sugli indicatori potranno proseguire oltre il 31 maggio.
. le commissioni sono tenute a verificare l’età accademica dei candidati.
Infine si forniscono alcune raccomandazioni relative alla formulazione dei giudizi, ai fini, dice il D.G. di evitare potenziale contenzioso.
Da ultimo, si preannunzia una proroga dei lavori al 30 settembre 2013.
Poiché risulta che l’orientamento del MIUR fosse di rendere noti i risultati dell’ASN 2012 tutti insieme, è lecito supporre che i risultati non saranno resi noti prima del mese di ottobre 2013, a ridosso della scadenza per il bando ASN 2013.
Segue la circolare
Di male in peggio. Le regole continuano a cambiare in corsa. Ora spunta la prima pubblicazione pertinente al settore concorsuale.
Credo di aver capito. Gli anvuriani, alleati in federazione spaziale con i cinechiani, sorretti da un’intelligenza incommensurabile rispetto a quella terrestre, hanno scoperto un materiale più elastico e deformabile del biologico dartos. E’ stato trovato e chiamato “età accademica”. Evidentemente si sono accorti che a qualche figlio di paparino il calcolo originale andava troppo male. Ai figliastri non ne verrà in tasca nulla. E badate che come contenitore delle fregature ho scelto la tasca (per educazione e pudore s’intende). Siccome però i nostri extraterrestri sono personcine generose, si rimettono pure a fare i calcoli (epatici forse?) degli indicatori. Naturalmente in corsa. Chissà se esiste un terrestre che sia riuscito a capire – a ragion veduta – se fosse il caso o no di ritirare la domanda. E come diavolo avrebbe potuto fare se non sono mai stati resi noti i metodi di conteggio? I dati sui quali gli indicatori sono stati calcolati sono misteriosissimi a tutt’oggi. Adesso, gurda un po’, ce li aggiornano pure perchè, oooops, si sono sbagliati.
Sarebbe bastato far partire l’età accademica dall’anno di ingresso nella fascia di appartenenza. Troppo semplice e chiaro, credo. Inaccettabile per il genio anvurian-cinechian-ministerian-gelminiano.
Mi viene di pensare che potrebbe essere motivo di vanto e di orgoglio non essere abilitato. Abilitato a cosa poi?
Cordialmente
dal nanopianeta Terra
ANNO STELLARE DI ABILITAZIONE 0 (terrestre 2013)
Associato di Infima classe
Astronave Accademia
Francesco Felici
Quasi dimenticavo: i settori concorsuali sono un’importato del tutto recente degli extraterrestri. Prima esistevano i SSD, aberrazione di un piccolo paese della Terra (mi pare si chiami Italia). Quindi si pubblicava avendo in mente il SSD no il SC. Pertinente, non pertinente? Questo è il problema …
Beh, davvero dalla padella alla brace. Mi domando solo quale figura stiamo facendo agli occhi internazionali degli altri paesi!
Qualche considerazione:
a) se ancora non è completa l’analisi degli indicatori dei candidati (compresa l’età accademica che necessita di un ulteriore controllo da parte delle commissioni), come sono credibili gli indicatori della platea dei docenti che hanno costituito la base per il calcolo delle mediane? Mistero glorioso.
b) per l’età accademica la nota del DG chiarisce che il calcolo è relativo all’elenco delle pubblicazioni inserite dal candidato nella domanda e la commissione deve rivedere l’età accademica individuando la prima pubblicazione inerente il Settore Concorsuale la cui data di pubblicazione è individuata come primo anno dell’età accademica. Tale indicazione contraddice una storica FAQ dell’ANVUR che faceva riferimento, come calcolo dell’età accademica, alla prima pubblicazione inserita nel sito docenti e/o rilevata dalle base dati di Scopus o WoS.
Se fa fede la Circolare ormai è chiaro che anche per i candidati all’ASN, e non solo per le signore mature, è lecito ridursi autonomamente l’età accademica senza che la commissione possa dire nulla se il candidato l’avesse furbamente… ridotta.
Cosi è se vi pare
Nicola Ferrara solleva un punto importante. Fino ad oggi l’età accademica partiva dal primo lavoro su Scopus/WoS. Oggi, dal primo lavoro inserito nella domanda e questo premia i furbetti.
Niente di nuovo sotto il sole.
Nel paese delle meraviglie, dove si amministra con creatività e le regole non sono uguali per tutti, l’unico modo per non farsi prendere dallo sconforto è emigrare e tornare solo per le ferie e per mangiar bene.
Da mesi vado scrivendo che la paventata possibilità – ora rivelatasi ufficialmente vera – che ogni candidato si manipoli a piacimento l’età accademica è un vero scandalo. Addirittura, stando a questa interpretazione di Livon, un candidato già inquadrato dal punto di vista accademico (RU o PA) potrebbe indicare una prima pubblicazione successiva, anche di molto, alla data dell’inquadramento stesso per abbassarsi l’EA, e farla franca!
Indurre allo sconforto e’ pratica diffusa tra le classi che vogliono mantenere il potere.
Quando ottenni una individual Marie Curie per la Francia mi dicevano di accettarla.
Quando avevo il posto al liceo mi dicevano di lasciar perder con la ricerca.
Il problema e’ capire bene bene bene chi induce allo sconforto. Generalmente lo si capisce analizzando l’albero genealogico dell’interlocutore.
Caro Proietti
in effetti la colpa non è del candidato: Livon fa riferimento alle pubblicazioni elencate nella domanda.
Ora, nessuno può dirmi come scegliere le MIE pubblicazioni che reputo più significative, e d’altro canto la faq diveva chiaramente che avrebbe fatto fede Scopus o WoS (!!).
La cosa è -non da ora- grottesca (devo anzi chiedere scusa a un tale “sam” al quale diedi del cantastorie, più o meno, quando diede l’interpretazione ora confermata da Livon, che appunto sembrava fantascientifica).
E’ altrettanto grottesco pensare che un numero (come fa qualcuno più sopra), possa rappresentare l’attività scientifica di una persona, al punto che dividerlo per 8 o per 10 o per 12 dia un’indicazione di merito diversa.
Semplicemente grottesco.
Aggiungo che l’età accademica della faq era altrettanto ridicola, perché un articolo precoce (magari post-tesi di laurea) seguito da un periodo di lavoro extrauniversitario sarebbe equivalso a una condanna a morte nel fantastico mondo dei numeretti.
Il problema non è di chi sia la “colpa”, ma che quel sam (che ricordo benissimo per averci polemizzato) e molti altri l’età accademica se la saranno abbassata davvero. Questo non è un paese per chi rispetta le regole, né quelle sane né quelle assurde: per rispondere anche a Salasnich, a indurre allo sconforto sono i fatti, mi pare.
Proietti,
ti faccio notare che scegliere un set di pubblicazioni da includere o citare nella domanda è alquanto diverso dal cancellare pubblicazioni dal sito docente (*)
L’interpretazione Livon fa appunto riferimento al gruppo di pubblicazioni citate nella domanda: nessuna autoriduzione dell’età accademica.
Il problema semmai è rappresentato dal deficit di informazione, che portato alcuni (molti) a prendere sul serio l’editto anvuriano (anzi la f.a.q.) e ritirare di conseguenza la domanda, mentre altri, per preternaturale intuizione oppure naturale vicinanza alle stanze del potere,
avevano prefigurato un’interpretazione fantascientifica che si è poi rivelata reale.
Alla radice, il ruolo dell’anvur e il concetto stesso di numeretto valutante.
(*) Attività peraltro perfettamente lecita, visto che il sito stesso è gestito dal docente: non è il casellario giudiziale né l’anagrafe.
Ormai sembra che tra le direttive/circolari ministeriali e le “interpretazioni” delle stesse da parte dell’ANVUR con le sue famose FAQ ci sia un divario insanabile a tutto discapito, purtroppo, delle persone oneste. Soprattutto quelle che, lontani dalle stanze del potere, si sono fatti i loro calcoli con la loro prima pubblicazione pertinente recensita nelle banche dati Scopus/ISI e che hanno “forzatamente” inserito al primo posto nella loro lista dei lavori.
E’ altresì molto strano che tutte le volte che viene tirata in ballo l’età accademica nessuno (né tantomeno Livon nella sua circolare) fa riferimento esplicito alla definizione che di questa viene data nel DM 76: “…periodo di tempo successivo alla data della prima pubblicazione scientifica pertinente al settore concorsuale…” Qualcuno mi deve spiegare il significato di questa frase. Sembra quasi che si abbia paura a scriverlo. Infatti, ai sensi del succitato DM, la “piattaforma”, come viene riportato nella circolare, dovrebbe far decorrere l’età accademica non genericamente “dalla prima pubblicazione”, ma “dalla data della prima pubblicazione”. Questo significa, a rigori, considerare il mese e l’anno della stessa. Si abbia il coraggio di ammetterlo. E’ assurdo che da un lato si chieda di verificare rigorosamente i periodi di congedo previsti (presumibilmente calcolati in mesi) e poi, dall’altro, si attribuisca al candidato l’intero anno solare relativo alla sua prima pubblicazione. E se questi ha pubblicato il suo primo lavoro a dicembre ed ha un numero di citazioni al limite? Questo tipo di calcolo lo penalizzerebbe enormemente. Riguardo questo aspetto, se il MIUR non vuole assumere ufficialmente una posizione in merito, mi auguro che almeno lo facciano le Commissioni avendo ora la possibilità di “verificare l’età accademica” dei candidati sulla base del DM e, a maggior ragione, se dai candidati stessi tale dato viene espressamente indicato nella loro domanda.
Infine, è sotto gli occhi di tutti che il CINECA stia commettendo una serie di errori nel calcolo delle citazioni vuoi per omissioni o, peggio, per non aver considerato correttamente quelle migliori tra le due banche dati di riferimento. Prova ne è il fatto che le stesse Commissioni ricevono continuamente correzioni dei precedenti valori con dati che, allo stato attuale, non sono, per molti settori bibliometrici, ancora definitivi. Numero di citazioni che, per come sono state acquisite, dovrebbero perlomeno essere successive alla data alla quale è stato chiesto ai candidati di inoltrare quel modulo con i vari codici ISI/Scopus per l’aggancio alle loro pubblicazioni (primi giorni di marzo) E se nonostante tutte le verifiche del caso ci fossero ancora errori? Come potrebbe difendersi il candidato in questa situazione? Riceverebbe un’ulteriore penalizzazione. Sarebbe stato molto più semplice far autocertificare a quel candidato un modulo simile con tutte le citazioni da questi riportate per i vari lavori, eventualmente da sottoporre a verifica da parte del Cineca. Sarebbe stato tutto molto più trasparente, giusto ed inattaccabile. In questo modo, invece, si continua a “giocare” a carte coperte. Mi chiedo, visto che in molti casi le verifiche sono ancora in atto, se valga la pena inviare ora una tale autocertificazione al Ministero. Come si dice, a mali estremi, estremi rimedi!
Perchè la colpa non dovrebbe essere del candidato? A suo tempo, direi se la memoria non mi inganna circa sei mesi fa, su queste stesse pagine discutevo animatamente sulla insensatezza (e non solo) del criterio età accademica. Tutti coloro i quali hanno esperienza accademica ed hanno imparato in anni di duro lavoro cosa sia insegnare e fare ricerca in un paese che non desidera ne l’una ne l’altra cosa, sanno che l’unico metodo serio di reclutamento si fonda su colloqui individuali di selezione dei candidati. Candidati che si presentano perchè in coscienza ritengono di possedere i requisiti specifici richiesti per quella posizione accademica. E la posizione, ricercatore,associato, ordinario, stabilita in base alla valutazione – LOCALE – di meriti ed esperienza del candidato. Fine dei giochi.
Anche allora, come oggi, i miei “avversari” (sia detto col sorriso), si affannavano a spiegarmi le ragioni dei furbetti. Ma non è questo il punto.
Se, come sembra, a prescindere dalle posizioni individuali su punti particolari, non sono mai riuscito a leggere un commento favorevole in toto a questa pseudo moralizzazione del reclutamento, allora si sarebbe dovuto boicottare questo sistema dal principio.
Come al solito si sceglie – ME COMPRESO – la strada più facile: partecipo (che non si sa mai) e magari dopo faccio ricorso. Poi qualcuno che mi chiama lo trovo (???). E chi si è visto si è visto. Tanti cari saluti a chi viene dopo o a chi è rimasto fuori perchè ha pubblicato la prima volta a 25 anni e ora ne ha 30 di più.
Gesti di fuga, ispirati dalla comoda consapevolezza che “tanto non cambierebbe nulla”. Elusione del punto. Indifferenza. Disimpegno.
Cordiali saluti a tutti.
FF
Felici,
la mia posizione sull’ASN e le mediane dovrebbe essere chiara da un pezzo.
Su numeretti e pseudonormalizzazioni sfondi una porta aperta ma qui i candidati non c’entrano.
La cosa strana è che apparentemente qualcuno sapeva che le cose avrebbero preso questa piega.
E se tra qualche settimana ci dicessero che salta tutto? Il Ministero annulla la valutazione e scioglie le commissioni, spiegando che ci sono troppi “ostacoli”. Voi vi stupireste? Io no.
a chi dovesse interessare, le discussioni cui faccio riferimento sono:
Strategia e tattica nell’abilitazione scientifica nazionale
by Giovanni Figa Talamanca
Alla ricerca della citazione perduta, S. Ciarcia, Novembre 2012.
Grazie, Stefano della precisazione. Continuo a pensare che non si tratta di scegliere le pubblicazioni, esercizio evidentemente del tutto legittimo, ma di “celarne” alcune, cosa che lascia qualche dubbio.
Davvero ti pare una cosa strana? A pensare male si fa peccato …
Un saluto
FF
Sull’età accademica si è discusso all’infinto. La mia posizione rimane la stessa: l’età accademica è inutile in una procedura di abilitazione. Abilitazione=soglia, tipo la Laurea che si consegue raggiunti un certo numero di crediti. Ha senso negare la Laurea a qualcuno perché ci ha messo 8 anni anziché 5? L’età accademica avrebbe senso solo nel concorso locale, premiando chi ha ottenuto gli stessi titoli in meno tempo.
L’età accademica creerà una serie di contenziosi e problemi per le commissioni di non facile soluzione. L’ultima idea che l’età accademica parta dalla prima pubblicazione “pertinente al settore concorsuale” è interessante. Come potranno le commissioni stabilire praticamente quale è questa prima pubblicazione pertinente al settore concorsuale? Nella domanda per le pubblicazioni è indicato solo il titolo e la rivista. Sono sufficienti queste informazioni? L’unico modo certo per determinare la pertinenza al settore concorsuale è di LEGGERE le prime pubblicazioni dei candidati, che non è detto siano state allegate. Quindi, in pratica le commissioni dovranno andare a recuperare i primi N lavori di un certo numero di candidati, sperando che questi siano disponibili, finché non ne trovano uno sicuramente pertinente…
A consuntivo (ci si arriverà?) si potranno fare i conti. Un TAR potrà sindacare su una valutazione di età accademica? Penso proprio di no.
Considerazioni aggiuntive:
1. altri 90-100 gg implicano un teorico “risparmio di sistema” poiché abilitare a ridosso della scadenza dell’anno accademico implica, almeno probabilisticamente, lo slittamento di 1 anno di buona parte delle chiamate;
2. poter “valutare analiticamente i titoli” richiede tempo ed è l’unica possibilità delle commmissioni per limitare al massimo il numero di giudizi negativi, fonte inesorabile di ricorsi e contenziosi. In sostanza, per i commissari è fortemente auspicabile che chi “avrebbe” ricevuto un giudizio negativo, si sia ritirato e che chi sia rimasto in gioco sia, in qualche modo, difendibile;
3. a ottobre è ipotizzabile che i giudizi vengano resi noti dopo la scadenza della tornata successiva, basta frenare o prorogare ancora un po’. In tal modo un candidato 2012, anche con giudizio negativo o non ammesso a causa delle mediane (leggi citazioni insufficienti), non sarebbe automaticamente fuori della tornata 2013 e, anzi, vi parteciperebbe modificando i lavori per aggiustare le mediane in funzione dell’età accademica. Geniale: lo stesso candidato con mediane radicalmente diverse a 1 anno di distanza!!
Cervellotico? può darsi, ma si sa che in Italia viene premiata la “creatività” e per come è andata finora non mi stupirei più di tanto…
I candidati non hanno mediane. Hanno indicatori da confrontare con le mediane.
Mi scuso per la superficiale gergalità, ma credo (spero) che chiunque, senza capziosi distinguo, avesse colto che ovviamente mi riferivo al superamento delle mediane, peraltro a loro volta alquanto “indicative”…
Se un TAR ne è richiesto e vuole può certamente sindacare anche le modalità di calcolo dell’età accademica. Altrimenti (se preferisce non affrontare la questione) può rifiugiarsi nel concetto di merito tecnico-valutativo. La prassi giurisprudenziale esprime tendenze assai diversificate sul tema della effettiva sindacabilità delle scelte tecnico-valutative della Amministrazione.
Quanto al termine di conclusione dei lavori delle commissioni, nessun dubbio che il termine fissato dai vari provvedimenti ministeriali è quello massimo, essendo ben possibili conclusioni anticipate.
ma la legge di stabilità 2013 dispone che non si può andare oltre il 30 giugno, che fanno devono modificare la legge ? (articolo 1, comma 389, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede la possibilità di prorogare, con decreto direttoriale e non oltre la data del 30 giugno 2013, il termine per la conclusione dei lavori delle commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale)
se il termine è previsto per legge, certamente ci vuole un atto legislativo (che immaginino un bel decreto legge per mettere ordine sulle abilitazioni?)
La stessa legge di stabilità dà questa possibilità di ulteriore proroga:
“394. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può essere disposta l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2013 del termine del 30 giugno 2013 di cui ai commi da 388 a 393.”
@Teo e Thor
dimentichiamo per un attimo il problema normativo (che pure esiste). L’età accademica è calcolata in un modo per determinare le mediane e in un altro per i candidati. Poi si confrontano i valori. Ma che senso ha tutto questo? Produrremo un’università migliore in questo modo?
Un’età accademica fai da te.
Grazie Atoshalex: in conclusione, il Ministero dell’istruzione non può più prorogare il termine, ma tuttavia lo possono fare il PCM – Ministero Economia (ovviamente prima della scadenza del 30 giugno). Livon ha quindi preannunciato un provvedimento non suo, ma che evidentemente ritiene che altri stiano per emanare.
Dalla nota di Livon:
– “l’attività di perfezionamento del calcolo degli indicatori dei candidati dei settori concorsuali bibliometrici sta per essere completata e che la maggioranza dei relativi valori si possono ritenere attendibili”
– “alcune commissioni dei settori bibliometrici potranno trovarsi ancora degli indicatori con valori contrassegnati dal doppio asterisco” (doppio, sic!)
-“la commissione è tenuta a verificare l’età accademica tenendo conto dei periodi di congedo previsti dalle leggi vigenti e diversi da quelli per motivi di studio”
-“in alcuni casi si è intervenuti d’ufficio a non ridurre l’età accademica in relazione ai congedi per motivi di studio”
-“La piattaforma, che al momento fa decorrere l’età accademica dalla prima pubblicazione inserita dal candidato nella domanda, consente altresì di rideterminare la decorrenza della stessa …”
Sono frasi agghiaccianti rispetto al contesto cui sono riferite. Ma come si possono mettere in collegamento quelle frasi con quanto dovrebbero giudicare le commissioni, ossia:
a) la capacità di insegnare e di appassionare i discenti alla disciplina per la quale si chiede l’abilitazione?;
b) il grado di curiosità con il quale si cerca di esplorare strade mai percorse, spesso invano, per spostare di qualche centimetro la frontiera della conoscenza e del sapere in questa o quella disciplina?;
c) la capacità di interagire in modo efficiente con i colleghi e con il personale tecnico e amministrativo nell’ambito di una struttura complessa come un dipartimento universitario?
Sarò controcorrente, ma a costo di accettare come inevitabile quel 5% di concorsi male gestiti e fatti vincere a figli, amanti, politici e mignotte che non li meritavano, preferivo le valutazioni comparative della gestione precedente.
“Sarò controcorrente, ma a costo di accettare come inevitabile quel 5% di concorsi male gestiti e fatti vincere a figli, amanti, politici e mignotte che non li meritavano, preferivo le valutazioni comparative della gestione precedente.”
5%??? Volevi dire 95%, giusto???
Per il resto concordo.
Un conto sono le valutazioni comparative – che peraltro esistono ancora – altro l’abilitazione, che se fatta in modo serio, e non come la si sta facendo in Italia, è assolutamente utile a evitare gli inconvenienti delle valutazioni comparative che tu steso segnali.
Quando leggo affermazioni come quelle di Sargenisco, mi viene in mente il teorema di Linus Torvalds, sicuramente valido per tutta l’accademia: “95% of programmers consider themselves in the top 5%”. Ne propongo un corollario: “il 95% degli universitari considera il 95% degli altri universitari figli, amanti, politici e mignotte.”
@sargenisco
Lavoro all’università dal 1990. Dieci anni tra dottorato, post doc e precariato, poi ricercatore poi PA e poi PO. Non ho mai visto dalle mie parti tornate concorsuali con il 95% di scandali. Per dirla tutta, lavoro in un dipartimento con circa 60 colleghi tra RU, RTD, PA e PO, nessuno dei quali ricopre indegnamente il ruolo che ha. Per la mia esperienza (23 anni di uni), e limitatamente alle cose che vedo, la quota di “scandali” è prossima allo 0%. Non estrapolo dicendo che sia così dovunque, ma la tua stima del 95% sembra oggettivamente una “sparata” iperbolica: un pò di umiltà, no?
@fausto_proietti
Ok, ma sgonfiando l’intera faccenda dalla dubbia prosopopea della quale l’ANVUR vuole ammantarla: numerini giusti -> buon professore.
Bastava e avanzava quanto proposto dal CUN: soglia “scientifica” di sbarramento (senza sciocche pretese di “contemporary”) per tenere fuori gli incompetenti dai concorsi universitari e valutazioni comparative OPPURE concorsi nazionali. In entrambi i casi, però, teste pensanti in commissione, non algebra e pesudostatistica di serie B.
@Occhiuzzi
“Per dirla tutta, lavoro in un dipartimento con circa 60 colleghi tra RU, RTD, PA e PO, nessuno dei quali ricopre indegnamente il ruolo che ha.”
Allora ribalto la questione: quanti dei concorsi dei quali lei parla NON avevano già il nome del candidato-vincitore in calce al bando?
Arriviamo al 95%? Superiamo, vero? Quindi sono stato più che umile…
Forse è vero che nessuno di questi non ricopre “indegnamente” il loro posto, ma se dobbiamo arrivare al non essere degni per dire che qualcosa non va…beh…ce ne corre.
E quanti di quelli esclusi, “convinti” a ritirarsi o che semplicemente hanno capito ancor prima di partecipare che non era “aria” forse (dico forse) avrebbero ricoperto più DEGNAMENTE quel ruolo???
Qualcosa andava (e va) fatta…purtroppo hanno chiamato l’ANVUR a risolvere il problema.
Ovviamente la stessa risposta vale anche per il commento di Giannozzi.
@sargenisco
Mi spiego meglio. In 23 anni di università non ho mai visto concorsi che non sono stati vinti da chi lo meritava. A volte lo meritavano anche alcuni degli esclusi, ma così sono i concorsi. Nei concorsi di cui ho avuta diretta conoscenza, la circostanza che il 95% delle volte era noto sin dalla data del consiglio di dipartimento/facoltà che dava origine alla procedura di emanazione e pubblicazione del bando chi aveva più titoli scientifici e didattici nonché la migliore capacità di interagire in un dipartimento universitario non mi pare preoccupante. Ribadisco che non ho la pretesa di estendere all’intera università quanto succede dalle mie parti (ingegneria), ma che questa è la mia esperienza.
@sargenisco
Sono le buffonate diffamatorie sul presunto 95% che ci hanno portato all’anvur.
@Occhiuzzi
Sono completamente d’accordo.
@Occhiuzzi
Inutile dire che la mia esperienza è invece opposta e che potrei portare molti esempi di gente vincitrice già dal bando, certo NON indegna (in qualche caso si…) di ricoprire quel posto, ma il più delle volte NON la migliore tra i candidati.
Fortunato Lei (e le credo).
@Stefano L.
Guardi che Occhiuzzi NON discute che il 95% dei posti a concorso avessero già il nome scritto del vincitore… Se Lei ritiene che questo sia corretto, beh…effettivamente poteva continuare tutto come prima e il marziano saro’ io.
Posto che Occhiuzzi alla fine certifica solo il fatto che LOCALMENTE (cioe’ in quel dip. e su quel piano!) abbia vinto la persona più meritevole. Come si dice: nel paese dei ciechi, Polifemo sarebbe sindaco.
E tutti gli altri dov’erano? Ah, già…non hanno nemmeno partecipato al concorso…certo colpa loro! Pero’ se tutta questa gente degna è salita in cattedra, mi si deve allora spiegare come mai le mediane fossero “mediamente” basse e in alcuni casi (vedasi non bibliometrici) addirittura pari a zero.
Credo che sia stata proprio l’autoreferenzialità accademica (con autoassoluzione inclusa) e il non riconoscere i propri errori ad aver offerto il fianco all’ANVUR. Che per inciso resta una porcata.
Però non si può ragionare per editti o assumendo di aver letto cose non scritte: le parole sono importanti!
Io non ho affatto detto che il 95% dei concorsi avessero già scritto il nome del vincitore, ma che nella maggior parte dei casi al momento in cui si manifesta l’esigenza di coprire una certa posizione in un certo SSD risulta abbastanza chiaro, a chi vive nell’università e sta prendendo la decisione di “aprire” quella posizione, quale sia la situazione generale in termini di potenziali concorrenti; non sul pianerottolo, ma a livello almeno nazionale.
Progetti di ricerca congiunti, partecipazione a convegni, lettura della bibliografia permettono di capire chi fa cosa in un SSD. Se non si ha la capacità di fare un’analisi critica su un argomento, meglio lasciar perdere la vita universitaria.
Per quanto riguarda mediane e indici, sono profondamente convinto che siano strumenti assolutamente inidonei a definire la “statura” di un docente universitario, con la sola eccezione delle citazioni (normalizzate per il numero di autori) per l’attività di ricerca(che notoriamente corrisponde ad un terzo dell’attività che è richiesta a un professore.
D’accordo, infine, sul fatto che nascondere la polvere sotto il tappetto ha dato origine prima al discredito ingiustificato dell’università italiana e poi all’ANVUR.
Ci sono alcuni passaggi che mi sfuggono.
Sembrerebbe, dai commenti che leggo su ROARS da molto tempo, che l’idea della cooptazione degli allievi sia del tutto aliena nell’università italiana. Per cortesia, non mi replicate che è stato proprio questo il meccanismo che ha portato alla barbarie del reclutamento nepotistico – che pure ha piagato facoltà come quella medica, da cui provengo – forse meno altre comunità, sicuramente più virtuose. A mio avviso non è questo il punto.
Una delle missioni dell’accademia è, da sempre, il “fare scuola”. Altro, però è essere onesti e saper riconoscere che i propri allievi non sono proprio i migliori del parterre nazionale, altro è, invece, fare “cupola” ed imporre autentiche nullità per mero esercizio del potere. Forte di 31 anni di anzianità accademica e delle mie numerose trombature passate e di quelle future, certo ne ho visti di migliori di me superarmi, ma anche tanti obiettivamente imposti dai bossettini di turno (il riferimento onomatopeico al papà del trota non è casuale).
Insomma, la parola d’ordine deve essere, sempre a mio avviso, onestà e desiderio di progresso. Progresso prima di tutto di conoscenza e di servizio. E già, perchè, e questa è la seconda cosa che non mi è chiara, chissà se qualcuno si pone ancora realmente il problema che è pagato dalla comunità per educare studenti e non per fare carriera. E quanti ne abbiamo visti di pseudo accademici utilizzare la sigla “Prof” (piuttosto che libero docente in anni passati) per fare quattrini a bottega, sempre come si diceva una volta piuttosto che scalare la politica. Purtroppo, in quest’ultimo caso, molto spesso questo è un modo per eliminare le mezze cartucce, quelli che come docenti e/o scienziati hanno miseramente fallito. Notare che dico molto spesso e non sempre. Certo però, che a scorrere l’elenco dei ministri della pubblica distrazione prima e delll’università e ricerca poi, si riesce anche a comprendere dove molti di questi siano andati a finire. Dalla Falcucci alla Gelmini, non c’è che dire, un bel progresso!
Terzo: i docenti universitari, gli accademici, hanno tollerato qualunque cosa da chiunque. Anche questo è un bel mistero.
Tutti coloro i quali, e credo che siano la maggioranza, si sentono di non avere frodato nessuno, di essere onesti ricercatori e docenti, potrebbero, una buona volta, decidere un’azione “forte” per difendere il loro amatissimo (parlo per me almeno) lavoro? Potremmo, per esempio, decidere di chiudere a tempo indeterminato: l’università chiude sino a che non ci metterete (chi lo farà?) in grado di lavorare di nuovo. I miei figli pagherebbero, visto che da poco si sono affacciati all’università, ma qualche prezzo bisognerà pur pagarlo per cambiare realmente le cose.
@ Felici:
la totale passività della cosiddetta “comunità” accademica è ormai certificata, e si nutre a mio avviso degli stessi meccanismi della cooptazione (che di per sé non demonizzo), i quali da sempre premiano – diciamo a parità di bravura, così non provochiamo alzate di scudi – i più “obbedienti”.
Una qualche forma di sollevazione, secondo me, non è all’ordine del giorno. L’occasione, clamorosa ed evidente, ma anche l’ultima, c’è stata a fine 2010; in poche settimane, il governo di allora decise: 1) la decurtazione fortissima del fondo di funzionamento delle Università; 2) il blocco triennale degli stipendi, con perdita dell’anzianità e degli scatti, anche per le categorie a minor reddito (ricercatori neoassunti); 3) con la riforma Gelmini, lo smantellamento della democrazia negli Atenei e la messa a esaurimento della categoria comprendente il personale mediamente più giovane, categoria rimpiazzata dai ricercatori a tempo determinato.
Una parte consistente dei ricercatori italiani, e io fra questi, si mobilitò nelle forme possibili (indisponibilità alla copertura di insegnamenti, manifestazioni ecc.): ma la CRUI e la stragrande maggioranza dei professori ordinari tacque e/o acconsentì, dietro la promessa di briciole di finanziamenti poi mai arrivati. Spero di sbagliarmi, ma secondo me lì è finito tutto: l’università pubblica oggi non ha più le forze per risollevarsi e neanche per protestare con qualche credibilità.
Ecco, appunto. Nei miei 15 anni di vita accademica, mi sono accontentato di vedere il “cooptato” di turno che fosse almeno bravo. E non sarei nemmeno contrario alla cooptazione, purché ci sia poi una valutazione legata al finanziamento sulla gente cooptata. Questo “contrappeso” non c’e’ mai stato e quindi perché cooptare gente anche brava? Meglio se ubbidiente e poi se è anche brava…beh…grasso che cola!
In accordo con Felici, credo che l’Universita’ debba e possa ancora avere uno scatto di reni per risollevarsi. Se ancora teniamo almeno un po’ al futuro del nostro “BelPaese”…
Io vedo le cose andare peggio delle più nere previsioni e in questa guerra fra poveri di chi sta sopra e sotto le mediane, a farne le spese sono soprattutto i giovani (e meno giovani) fuori dal sistema. Stiamo buttando a mare più di una generazione di ricercatori. Questo è un delitto.
Sempre più spesso sento consigliare ai neo-laureati (e consiglio io stesso) di scappare il prima possibile dall’Italia perché una programmazione o semplicemente “fare scuola” non è più possibile (se non si è cinici o egoisti) e quando anche l’ultimo ricercatore RTI sara’ diventato associato, ci conteremo e scopriremo di esser rimasti veramente in pochi. Credo che il reclutamento sia il vulnus peggiore di questa brutta riforma universitaria; la serpe in seno che la condurra’ alla morte.
A me sembra che con questo piano stroardinario degli associati si avra’ invece un ricambio generazionale tra i professori.
E’ da quando mi sono laureato (22 anni fa) che sento consigliare di andare all’estero.
Io invece ai giovani consiglio:
i) di rimanere in Italia (o come minimo avere sempre il biglietto aereo andata-ritorno);
ii) di muoversi in area Romana o Milanese;
iii) di operare su piu’ fronti (Universita, Enti, Fondazioni, Musei);
iv) di lavorare con persone che piacciono alla gente che piace;
v) di pubblicare tantissimo, in riviste ad altissimo IF, e possibilmente anche da soli (anche se il capo non vuole);
vi) di curare bene i rapporti con gli altri (evitando percio’ come minimo, anche se a volte e’ difficile, di mandare a fanculo colleghi e personale tecnico-amministrativo).
Antonio,
parole d’oro!
Nel gioco del bastone e della carota l’essenziale è tenere la carota sempre ben in vista, ma a debita costanza dal muso dell’asino.
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Mi ricordo che qualche mese fa ci si preoccupava molto delle dilazioni possibili motivate da eventuali ricorsi.
Quando si dice l’ottimismo.
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In attesa dei prossimi spostamenti anterogradi della carota discettiamo pure sulla qualità del filo cui è appesa…
Errata corrige: “debita distanza”
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