Chi ha paura del sorteggio? Secondo Francesco Giavazzi «i professori che si erano divisi i 6000 posti a concorso prima ancora che si svolgessero le elezioni per la scelta dei commissari». Io direi piuttosto che dovrebbero averla tutti, visto che il sorteggio dei commissari non garantisce in alcun modo che i candidati che alla fine riceveranno le idoneità siano i più bravi. In alcuni casi questo potrebbe accadere, in altri no, perché il sorteggio si limita a inserire un elemento casuale nella scelta dei commissari (la randomizza direbbe un economista). Come poi questi ultimi decideranno rimane affidato alla loro coscienza e giudizio.
Su questo punto non secondario Giavazzi nel suo nuovo intervento – non meno concitato del primo – sorvola. Tuttavia, avendo avuto una settimana di tempo per pensarci, qualche dubbio sul fatto che il sorteggio sia una buona idea deve averlo anche lui, perché in questo nuovo intervento allude alle “anime belle” che lo hanno criticato citando – senza nominare l’autore – un brano in cui si dice che «in Gran Bretagna, dove l’università funziona, i dipartimenti scelgono i professori senza bisogno di un concorso». Poi aggiunge, fulmineo: «lo so bene, ma lì il titolo di studio non ha valore legale e i fondi pubblici vengono assegnati alle università non a seconda del numero degli studenti iscritti, ma in funzione della qualità della ricerca: ricerca che nessuno cita, niente fondi e il dipartimento chiude». Che è indubbiamente vero, ma non si capisce che rapporto abbia con il sorteggio dei commissari. Tuttavia, per Giavazzi un rapporto deve esserci, perché continua: «se i critici vogliono essere coerenti dicano che sono pronti a cancellare il valore legale del titolo di studio (…) e ad accettare che vengano chiusi i dipartimenti scadenti. E dicano anche che preferirebbero che i concorsi banditi venissero tutti rimandati in attesa di una riforma dell’università». A questo punto, anche il lettore ben disposto ha l’impressione che Giavazzi stia menando il can per l’aia.
Infatti, non si capisce bene in che senso chi critica il sorteggio come metodo arbitrario e insensibile al merito dovrebbe – per coerenza – sostenere anche le altre cose di cui parla Giavazzi. Tra l’altro, alcune delle “anime belle” che hanno criticato il sorteggio hanno argomentato in passato proprio in favore di alcune delle cose che Giavazzi li sfida oggi ad accettare. Per esempio, Marco Santambrogio lo ha fatto in Chi ha paura del numero chiuso? – un libro pubblicato nel 1997 – e in diversi altri interventi pubblicati in seguito. Quindi Giavazzi, come si dice, sfonda una porta aperta. Dietro quella porta c’è un problema di cui molti di noi si sono resi conto in questi anni, e cioè che non è chiaro in che modo si possa abolire il valore legale del titolo di studio. C’è chi sostiene, infatti, che questo in un certo senso non esiste nemmeno nel nostro paese, e che il vero problema è il modo puramente formale in cui funziona la valutazione dei titoli nei concorsi pubblici (ma questa, come si dice, è un’altra storia).
Rimane il fatto che, anche ammettendo che bisogna abolire il valore legale del titolo di studio – qualunque cosa voglia dire – e che i dipartimenti scadenti devono chiudere, non si capisce perché si dovrebbero rimandare i concorsi in attesa di una riforma dell’università. Avevamo un sistema di selezione imperfetto e aperto all’arbitrio. Grazie all’intervento di Giavazzi e al decreto del governo ne abbiamo uno almeno altrettanto imperfetto e aperto all’arbitrio. Perché mai le università che hanno deliberato in piena autonomia di chiedere concorsi dovrebbero rinunciarvi? Per aspettare poi cosa? Che Giavazzi immagini la procedura concorsuale perfetta? Un piccolo contributo in questa direzione c’è già nell’intervento di questa settimana. Scrive Giavazzi: «vorrei avanzare una modesta proposta. Fra poco più di un mese in tutte le università si voterà secondo le nuove modalità, cioè per costituire un pool di candidati tra i quali poi avverrà il sorteggio. Affinché si possa votare con sufficiente informazione, le diverse discipline dovrebbero (…) pubblicare un elenco dei professori eleggibili e della loro produttività scientifica. Poiché esistono diversi criteri (l’impact factor e altri) si potrebbero pubblicare indici diversi».
In poco più di un mese? e poi, non si erano già divisi i posti i professori italiani? Ovviamente, Giavazzi non è così ingenuo da credere che essi agiranno spontaneamente in modo virtuoso, quindi li avverte: «si vedrà, sia quali discipline avranno ritenuto utile dare questa informazione sia quelle che, pur avendo stilato gli elenchi, voteranno per candidati non particolarmente brillanti». Insomma, state in campana! Anche in questo caso, Giavazzi glissa su una questione non trascurabile. In alcune discipline gli indici di cui lui parla non ci sono. Costruirli in modo affidabile richiederebbe tempo. Talvolta andrebbe fatto solo per le pubblicazioni in lingua italiana, e questo pone problemi di non facile soluzione. Comunque, essi darebbero al massimo un indice quantitativo. Da prendere sul serio, nessuno vuole negarlo, ma anche con una certa cautela.
Allora forse la soluzione è davvero quella di sospendere i concorsi mentre Giavazzi immagina la procedura concorsuale perfetta. Magari, visto che ci siamo, potremmo sospendere anche le elezioni politiche in attesa che lo stesso Giavazzi o qualche altro economista immagini anche in quel caso un metodo di selezione perfetto. Oppure mettere tutti gli italiani sotto tutela, e privarli della libertà di scegliere, perché alcuni fanno sciocchezze o si comportano in modo scorretto. Dopo aver scoperto che il liberismo è di sinistra, potremmo anche scoprire che il paternalismo è liberista.
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