«Oggi una laurea presa in una qualsiasi università italiana ha lo stesso identico valore, ma sappiamo bene che diversi Atenei, soprattutto meridionali, offrono un servizio nettamente inferiore alla media. […] La Lega Nord propone quindi di abolire il valore legale del titolo di studio […]». Il tema dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio torna ciclicamente alla ribalta. Nulla di nuovo in questa discussione, a quanto pare. Nulla, a parte due fatti. 1) Oggi quelle dichiarazioni vanno inserite in un quadro in cui l’ipotesi di una “regionalizzazione” dell’Istruzione si è fatta più concreta. 2) Lo smantellamento del valore del titolo di studio statale è già in atto, nella disattenzione generale, nell’istruzione secondaria. Dallo scorso giugno, già al termine della scuola media, in ottemperanza al DL 62/2017 e del successivo DM 742/17, gli studenti hanno ricevuto una “nuova pagella”: la “certificazione delle competenze” a firma del Direttore Generale dell’INVALSI. Stessa sorte sarebbe toccata ai maturandi di quest’anno, per i quali la L 108/18 (milleproroghe) ha semplicemente spostato il traguardo di un anno. È in arrivo il “federalismo delle competenze”, dopo quello fiscale? Finalmente certificheremo con timbro della Scienza di Stato INVALSI la scarsa preparazione degli studenti meridionali rispetto agli omologhi settentrionali?

 

A quali italiani si riferisce il ministro degli Interni Salvini col suo “prima gli italiani”?

A quali studenti e a quali famiglie, quando dichiara, come ha fatto alla scuola politica della Lega nord, che “l’abolizione del valore legale del titolo di studio è una questione da affrontare”, così come riportato nello stesso sito della Lega?

Quel milione e passa di elettori meridionali che hanno suggellato la vittoria del Carroccio del 4 marzo scorso sono consapevoli degli scenari che la proposta leghista di abolire il valore legale del titolo di studio comporterebbe? E soprattutto: cosa rispondono i 5 Stelle?

Il tema dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio (riportato il 12/11/18 qui e qui ) torna ciclicamente alla ribalta ed è stato affrontato in più occasioni. Si rileggano, ad esempio i numerosi (seppur parziali) riferimenti presenti nell’articolo di Francesco Coniglione, che riportiamo qui e anche l’articolo di Andrea Stella qui.

Nulla di nuovo in questa discussione, a quanto pare.

Nulla, a parte due fatti, che modificano in maniera ben più preoccupante lo sfondo su cui collocare le parole del Ministro Salvini, oltre che il silenzio dei 5 Stelle.

1) Oggi quelle dichiarazioni vanno inserite in un quadro in cui l’ipotesi di una “regionalizzazione” dell’Istruzione si è fatta più concreta. Questo a seguito delle “iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna [..] e della sottoscrizione – il 28 febbraio 2018 – di tre distinti accordi “preliminari” per l’attribuzione di maggiori forme di autonomia ai sensi dell’art. 116 [della Costituzione, comma terzo] sottoscritti dal rappresentante del Governo e dal Presidente della Regione interessata. [..] Intervenendo alla Camera in merito alle iniziative per proseguire l’iter volto ad attribuire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, la Ministra per gli affari regionali e le autonomie”- Erika Stefani – “ ha dichiarato che le regioni interessate hanno manifestato l’intenzione di ampliare, fin dove è consentito, il novero delle materie da trasferire. ”[1]. Più di recente, a Verona, il 26 Ottobre scorso il Ministro Salvini ha affermato che “avremo l’autonomia differenziata entro l’autunno”.

2) Lo smantellamento del valore del titolo di studio statale è già in atto, nella disattenzione generale, nell’istruzione secondaria.

Dallo scorso giugno, già al termine della scuola media, in ottemperanza a quanto stabilito dal Decreto Legislativo 62/2017 e del successivo decreto ministeriale (DM 742/17) che stabilisce i modelli di certificazione nazionali, gli studenti hanno ricevuto una “nuova pagella”: la “certificazione delle competenze” di Italiano, Matematica e Inglese su carta intestata e a firma del Direttore Generale dell’INVALSI.

Stessa sorte sarebbe dovuta toccare agli studenti che si apprestano a svolgere l’esame di maturità di quest’anno, a conclusione del secondo ciclo di istruzione, per i quali, tuttavia, la L 108/18 (milleproroghe) ha semplicemente spostato il traguardo di un anno, senza intaccare la norma. Attualmente, ancora si prevede che  l’INVALSI accerti “i livelli di apprendimento conseguiti in Italiano, Matematica e inglese” (art 19, D.Lgs 62/17) che risulteranno nel curriculum dello studente (art. 21, D.Lgs 62/17), da adottare con apposito decreto.

Forse non tutti se ne sono accorti, ma, come afferma Paolo Mazzoli, Direttore Generale INVALSI, con la Buona Scuola si è deciso di affidare all’Istituto il ruolo di:

verifica e certificazione esterna, incardinando [l’INVALSI] nel sistema scolastico italiano e prevedendo una restituzione di livelli individuali di competenze in forma descrittiva[2].

Niente più terzietà, niente più termometro, quello delle “innocue” valutazioni di sistema: stiamo parlando di certificazioni con nome e cognome, affidate ai Sacerdoti della Valutazione: i tecnici dell’INVALSI. Tecnici che, come già avvenuto per le scuole del primo ciclo, anche per il secondo ciclo certificheranno ipotetiche “competenze” di ciascuno studente italiano: del NORD e del SUD, dal Veneto a Lampedusa, con esiti prevedibili se non addirittura ovvi[3].

È in arrivo il “federalismo delle competenze”, dopo quello fiscale? Finalmente certificheremo con timbro della Scienza di Stato INVALSI la scarsa preparazione degli studenti meridionali [4] rispetto agli omologhi settentrionali?

Di qui alla definitiva certificazione individuale (e perché no, alla contrattazione individuale anziché collettiva?) garantita da “autorità valutative” esterne anche nel segmento universitario il passo – stavolta – potrebbe essere davvero breve.

______

[*] L’ “invito” a nascere nel posto giusto è del pedagogista Aldo Visalberghi, che nel 1987 (correzione refuso su gentile segnalazione di un lettore) “nell’articolo pubblicato sul mensile ‘Il Regno di Napoli’ (titolo completo: ‘La scuola senza qualità. Se vuoi istruirti, nasci al Nord’), riprendeva studi e ricerche condotte già dai primi anni settanta dello scorso secolo sul divario Nord Sud”, come riportato qui: https://www.tuttoscuola.com/invalsi1-quellinsanabile-divario-nord-sud/ .

[1] http://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104705.pdf

[2] P. Mazzoli “Il nuovo Ruolo dell’INVALSI nel decreto 62/2017”, in Un’ancora per la valutazione, a cura di G. Cerini e M. Spinosi, 2017 pag. 59.

[3] Si rilegga ad esempio, l’editoriale sui Test INVALSI che bocciano i 100 e lode del SUD e la relativa replica.

[4] Non si affrontano nemmeno, qui, i problemi delle altre “categorie statistiche” INVALSI per le quali la certificazione sarebbe strumento ben più penalizzante, prime tra tutte, gli immigrati.

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8 Commenti

  1. Siamo all’8 Settembre dell’Università italiana. Come un esercito senza generali, con pochi ordini e, quando ci sono, molto confusi. Con un ministro che non conosce l’Università e i suoi (tanti) problemi. I professori universitari stanno subendo una serie di umiliazioni come non era mai successo fino ad ora: sono ispezionati, controllati, privati di qualsiasi autodeterminazione, mal pagati, senza fondi per la ricerca, vessati con incombenze burocratiche (e sadiche) come la scheda SUA, l’AVA e tutta una serie di altre valutazioni inutili per corsi di laurea e dottorati. Siamo come il paziente del racconto “Sette piani” del grande Dino Buzzati… malati di una malattia inesistente ma dalla quale non si può guarire…

  2. Su Scuola, Università e Ricerca, l’avallo di 5Stelle è a tutto campo. In proposito l’intervista al ministro MIUR, pubblicata su Repubblica di oggi, è assai eloquente. Si riconosce candidamente che il finanziamento per Università e Ricerca lo stabilisce il MEF e che “risolveranno” il problema del precariato mettendo un tetto al numero di assegni di
    ricerca. Quindi, non aumentando congruamente il numero di posti a tempo indeterminato (ne son previsti solo 1000), bensì riducendo alla fonte l’accesso all’Università.

    C’è anche una perla finale; alla domanda se il governo abbia intenzione di riformare gli organi di valutazione, Anvur e Invalsi, il Ministro ha replicato che non c’è alcun piano di intervento sugli Enti di Ricerca. C’è da sperare che si tratti di un refuso, certo non sembra che il Ministro abbia un’adeguata conoscenza delle problematiche del MIUR.

    Se quanto fatto finora è il preludio della sinfonia, impreziosita dall’assurdo siluramento del presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Battiston, c’è da aspettarsi che questo governo riuscirà a fare ancor peggio, non solo di Berlusconi, ma persino di Renzi.

    • E’ importante ricordare al ministro Bussetti e al resto del governo che nel contratto di governo hanno scritto:

      “Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo), e individuando puntualmente i soggetti che potrebbero contribuire nei processi decisionali, a cominciare dal CUN, organo elettivo di rappresentanzadel mondo universitario.”

      Anche questo è stato “superato” dalla realtà? E quando?

      Invece di “valore legale” non c’era traccia.

  3. marco2013 ha scritto:
    c’è da aspettarsi che questo governo riuscirà a fare ancor peggio, non solo di Berlusconi, ma persino di Renzi.
    ——————
    Beh, ci sono alcune differenze.
    Berlusconi non voleva occupare l’università, voleva solamente distruggerla, suggerendo (tramite Tremonti) la riforma per cui la Gelmini passerà alla storia, ma non per meriti.
    Renzi ha tentato di occupare l’università con le cattedre Natta, i dipartimenti di eccellenza e la cabina di regia.
    I gialloverdi stanno tentando di occupare altre cose, l’ASI e il CONI fra l’altro, mentre, per fortuna, l’Università verrà risollevata da Bussetti con la sugar tax (in inglese, mi raccomando, come il Job Act) che “ridurrà le malattie cardiovascolari” (cit. Fioramonti), “risolverà l’obesità infantile” (cit. Ruocco) e, soprattutto, permetterà di “trovare i 100 milioni che servono all’università e incrementeremo il Fondo ordinario” (cit. Bussetti).
    Che idea meravigliosa, perchè non ci ha pensato nessuno prima?

    • A Berlusconi va ascritto il merito di aver messo basi assai solide per la distruzione dell’Università, ma è anche vero che il governo Renzi ha dato un ottimo contributo con vere e proprie perle, come il considerevole rafforzamento della valutazione anvuriana. Il suo impegno è stato tale che persino la Gelmini criticò l’eccessivo peso della bibliometria. Su questo l’allievo ha superato il maestro. In proposito ricordiamoci che la valutazione anvuriana è il grimaldello fondamentale per una sistematica distruzione dell’Università, una sorta di virus inestirpabile. Purtroppo i primi atti del nuovo governo mostrano che le speranze per un positivo cambiamento erano illusioni. Sembra proprio che le decisioni su Università e Ricerca siano appannaggio di poteri ben connessi con lobby più o meno occulte; aspetto su cui sarebbe molto interessante avere informazioni più dettagliate. Per esempio, per cominciare si potrebbe chiedere di dichiarare l’eventuale appartenenza ad una loggia massonica, o di avere una qualche connessione con l’Opus Dei. Cosa ci sarebbe di male se queste affiliazioni esistono solo per scopi encomiabili? Vogliamo i nomi dei benefattori per ringraziarli del loro impegno nel sociale.

  4. L’università è la pezza da piedi dei governi perché riflette in pieno la società italiana. Una popolazione anziana con la tredicesima che conta gli anni alla pensione affiancata da un mosaico informe di giovani attaccati al muro con lo sputo della precarietà. Eppur si muore…

  5. Quello che mi scandalizza non é che si facciano le valutazioni degli studenti, ma che si sappia che ci siano due livelli di istruzione e non si faccia nulla per superarlo, anzi si pensi di regionalizzare l’istruzione.

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