xylellaAbbattere ulivi secolari è una decisione straordinaria che dovrebbe essere presa solo alla luce di evidenze scientifiche indiscutibili. Non è questo il caso della vicenda ulivi in Puglia. I dati che abbiamo, infatti, alla luce degli scientificamente imprescindibili ‘postulati di Koch’, non consentono di affermare con ragionevole certezza che il responsabile della malattia sia il batterio Xylella fastidiosa.

Da qualche anno a questa parte, è stato notato che vari alberi di ulivo nel Salento sono affetti da una malattia che ne causa il disseccamento. Questa malattia è stata chiamata «Complesso del Disseccamento rapido dell’olivo» (CoDiRo) e la sua origine sembrerebbe dovuta, secondo alcuni, a un batterio, la Xylella fastidiosa (Xf). La «cura» per bloccare l’«epidemia», di conseguenza, corrisponderebbe al taglio degli ulivi infetti o di quelli situati vicino a quelli infetti. Non è mia intenzione ripercorrere le diverse tappe di questa intricata vicenda, che ha visto anche l’intervento della magistratura che ha messo sotto inchiesta alcuni ricercatori per diverse ipotesi di reato, e che ovviamente ha richiesto a più riprese scelte da parte dei decisori politici, sia a livello regionale pugliese, sia a livello nazionale che anche a livello europeo sollevando polemiche di vario tipo (si veda la discussione tra Antonia Battaglia e Marco Cattaneo pubblicata su MicroMega 5/2016 per maggiori dettagli). Vorrei invece concentrarmi su alcuni aspetti delle evidenze scientifiche date per solide e acquisite e che invece mi hanno lasciato piuttosto perplesso.

La faccenda, apparentemente, potrebbe sembrare molto chiara: gli ulivi malati sono infettati dal batterio Xf, trasmesso tramite un insetto vettore (chiamato, in gergo, «sputacchina»), che porterebbe l’agente patogeno, e con esso la malattia, da un ulivo all’altro. Per fermare l’epidemia, non essendo possibile «vaccinare» gli ulivi, è necessario tagliare sia quelli infetti sia quelli prossimi agli infetti. Tutto chiaro? Non tanto. Nonostante le varie pubblicazioni scientifiche e i rapporti commissionati dalla Regione Puglia, dal ministero delle Politiche agricole, dalla Commissione europea e finanche dall’Accademia dei Lincei, rapporti che sembrano mettere in chiaro in maniera definitiva la parte scientifica di questa vicenda, a mio parere permangono dei dubbi basilari cui non sono stato in grado di trovare una risposta soddisfacente. Poiché mi sono convinto che questi dubbi non siano soltanto miei personali e che non sia evidente trovare una risposta semplice, ho pensato d’illustrarli qui di seguito sperando che sia possibile fare chiarezza sui dati scientifici della questione Xf – su cui, appunto, poggia tutta la politica d’intervento per contenere la malattia degli ulivi.

In particolare vorrei soffermarmi sul punto centrale della pericolosità del batterio Xf: la prova che questo sia la causa della malattia degli ulivi. Se le conseguenze della sua pericolosità per gli ulivi sono, infatti, straordinarie, ci si aspetta che le prove scientifiche che mostrano la pericolosità della Xf siano altrettanto straordinarie. Secondo il recente documento dell’Accademia dei Lincei (Rapporto Xylella, pubblicato il 23 giugno 2016, goo.gl/0Mp21m), che presenta una rassegna della letteratura disponibile a oggi, «l’agente causale della malattia è Xylella fastidiosa, una conclusione che abbiamo accettato come non più discutibile».

Per stabilire il nesso causale tra Xf e malattia bisogna dimostrare i quattro postulati di Koch (dal nome dello scienziato che li ha formulati) che sono quattro ragionevoli criteri necessari per stabilire l’esistenza di una relazione causale tra un agente patogeno e una malattia. Il primo postulato asserisce che il microrganismo (cioè, in questo caso, il batterio Xf) debba essere trovato in abbondanza in tutti gli organismi colpiti dalla malattia, ma non debba essere trovato in organismi (ovvero ulivi nel nostro caso) sani. Il secondo postulato asserisce che il microrganismo debba essere isolato da un organismo malato e poi debba essere cresciuto in coltura pura in laboratorio. Il terzo postulato asserisce che il microrganismo coltivato debba causare la malattia quando è introdotto in un organismo sano. Infine, il quarto postulato asserisce che il microrganismo debba essere re-isolato dalla pianta infettata sperimentalmente in cui è stato inoculato di proposito e identificato come identico a quello specifico agente causale originale.

Il primo postulato implica dunque la presenza di correlazione: tutte le piante malate devono presentare il batterio e tutte quelle sane non lo devono avere. Questo è il primo punto critico. Nella figura 1, che riproduce una tabella estratta da uno dei due più recenti Audit effettuati dalla Commissione europea in Puglia, troviamo che su un campione studiato di 20.381 piante d’ulivo (che corrisponde al campione più numeroso per il quale si conoscono i dati) ci sono 987 alberi con sintomi della sindrome CoDiRo e 19.819 senza sintomi.

figura1

 

Dei primi sono positivi al batterio Xf solo la metà circa, cioè 562. Dunque ci sono 425 ulivi che soffrono di sintomi della malattia, ma che apparentemente non sono affetti da Xf. Ci possono essere tre ragioni per questo fatto: la prima è che i test diagnostici non sono abbastanza sensibili per rilevare con alta frequenza la presenza della Xf (il che significa che i test diagnostici andrebbero rifatti molte altre volte per rivelare il segnale del batterio, oppure, la seconda ipotesi, è che Xf non sia la causa della malattia degli ulivi. Infine ci potrebbe essere la possibilità che la presenza di Xf aumenti all’aumentare della gravità dei sintomi, ma non avendo un’indicazione sulla gravità dei sintomi ma solo sulla presenza di sintomi non è possibile ora concludere qualcosa in proposito. In ogni caso il fatto che la metà degli ulivi con sintomi sia senza Xf è molto peculiare e va contro il primo postulato di Koch: senza una chiara correlazione tra presenza di Xf e malattia non si può concludere che vi sia anche un rapporto di causalità.

Inoltre il rapporto Linceo assume, sulla base dei dati del rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare Efsa (perché a questo fa riferimento quando menziona i postulati Koch e non fa riferimento altri dati non pubblicati), che addirittura il quarto postulato di Koch sul nesso di causalità sia stato dimostrato essere soddisfatto. Leggiamo, infatti, che «il batterio isolato da piante infette, e coltivato in forma pura in laboratorio, una volta re-iniettato in piante sane di ulivo e poligala, è in grado di riprodurre i sintomi della malattia, soddisfacendo quindi il postulato di Koch (Efsa Report, 2016)». Tuttavia nel recente rapporto Efsa, pubblicato il 20 giugno del 2016 (si veda «Workshop on Xylella fastidiosa: knowledge gaps and research priorities for the EU», goo.gl/miUJBF), non c’è nessuna dimostrazione dei postulati di Koch; è scritto chiaramente (p. 21 sezione 3.4.1): «È stato anche menzionato che i metodi di inoculazione possono non riuscire a riprodurre i sintomi o a consentire il successivo re-isolamento del batterio dai sintomi e, quindi, l’insuccesso nella dimostrazione dei postulati di Koch». Per questo insuccesso nella dimostrazione dei postulati di Koch nel rapporto si legge anche: «In particolare con batteri che hanno una crescita lenta e che sono difficili da isolare e mantenere in una coltura pura, i postulati di Koch sono troppo dispendiosi, in termini di tempo, per fornire una soluzione pratica» (p. 54, sezione 5.3).

Consideriamo ora i risultati di un esperimento controllato per verificare la relazione di causalità tra batterio Xf e malattia che dunque dovrebbe mostrare che i postulati di Koch sono soddisfatti. Nella tabella del rapporto Efsa, qui riprodotta (figura 2), sono riportati i risultati (poco chiari) circa il test del terzo postulato di Koch.

figura2

Nella prima colonna è riportato il tipo di pianta di ulivo su cui è stato inoculato il batterio della Xf: questo numero è dieci per ogni varietà di ulivo considerata, per un numero totale di cinque varietà e cinquanta alberi e piantine. Nella seconda colonna si riporta il risultato al test qPCR che è necessario per rivelare il batterio Xf; il test è effettuato nel punto in cui il batterio è stato inoculato, un mese dopo l’inoculazione. Si nota che alcune piante sono negative al test: questo significa che o il batterio è scomparso dalle piante o il test non ha funzionato. In effetti, nella terza colonna lo stesso test è ripetuto dopo due mesi dall’inoculazione e si nota che per la varietà Cellina di Nardò ora ci sono dieci piante su dieci che si mostrano positive al test invece che sette su dieci come in precedenza osservato, per la varietà Frantoio c’è stato un incremento di una pianta, mentre per le altre varietà non si nota alcun cambiamento. Nella quarta colonna si riporta il numero di piante infettate fino un po’ sopra il punto d’inoculazione (circa 20 cm) nove mesi dopo l’inoculazione stessa: questo significa che il batterio Xf si sta diffondendo nelle piante. La quinta colonna riporta il numero di piante infette, cioè quelle in cui il batterio Xf si è diffuso, un anno dopo l’inoculazione. Ad esempio 9 (si presume sul totale di 10) piante di Cellina di Nardò e tutte e dieci le piantine di ulivo sono trovate essere positive al batterio Xf.

Il punto che ci interessa è capire quante piante positive a Xf sono anche affette da sintomi di disseccamento. Dopo un anno e due mesi, come riporta la sesta e ultima colonna, eccetto una certa varietà di ulivi (la Cellina di Nardò), che mostra sintomi per 7/8 casi (non è spiegato il motivo per cui i casi non sono 7/10, essendo dieci gli alberi con cui è stato iniziato il test – ovvero perché due piante sono state tolte dall’esperimento), per gli altri tipi di ulivo la malattia si dimostra in 0-3 casi su 10 (possiamo notare che, nei risultati finali, in tutti i casi non compaiono tutti gli alberi su cui si è iniziato il test: anche questo è apparentemente senza motivazione). In totale su cinquanta piante considerate nell’esperimento, trentotto sono state infettate dal batterio Xf (il 76 per cento) ma solo 13 (il 26 per cento del totale e il 34 per cento di quelle infettate da Xf) sono affette dai sintomi della malattia.

I dati che abbiamo discusso mostrano che, dalle osservazioni di quasi 20 mila ulivi, solo il 57 per cento degli alberi con sintomi è anche positivo a Xf; inoltre abbiamo notato che in un esperimento controllato con cinquanta ulivi, solo il 34 per cento degli alberi con Xf mostra sintomi, cioè nell’esperimento effettuato il 66 per cento degli alberi positivi a Xf non mostra sintomi di disseccamento un anno e due mesi dopo che il batterio è stato inoculato. Questi risultati sono davvero poco «straordinari» per giustificare delle misure «straordinarie» come l’abbattimento degli ulivi secolari. Non solo non c’è nessuna prova dei postulati di Koch per quanto riguarda il nesso di causalità, ma anche la semplice esistenza di una correlazione tra presenza della malattia e presenza del batterio Xf (che dovrebbe essere il punto di partenza per ogni altra considerazione circa la pericolosità del batterio Xf per gli ulivi) non ha un supporto solido nei dati). Infatti, i test condotti in laboratorio mostrano che il 66 per cento degli alberi positivi a Xf non sono affetti da disseccamento, fatto che va contro il primo postulato di Koch secondo il quale il patogeno non deve essere trovato negli organismi sani.

Questi fatti possono dunque essere interpretati come evidenze che la Xf non abbia un rapporto di causalità diretto con la malattia e anche come indicazione che gli ulivi possano essere dei portatori sani del batterio. Inoltre questi risultati sono difficilmente compatibili con la conclusione che la Xf aumenti, e dunque sia più facilmente rilevabile, all’aumentare della gravità dei sintomi, dato che si osservano ulivi sani portatori di Xf. In ogni caso per poter escludere che non vi sia, o confermare che vi sia, in maniera statisticamente più solida, un rapporto di causalità tra Xf e malattia c’è bisogno di un campione più grande di quello usato nei test descritti sopra (50 alberi).

In questa breve discussione abbiamo considerato solo un aspetto della vicenda Xylella fastidiosa, che riteniamo centrale. Vi sono però altri dati ed evidenze di un certo interesse, come ad esempio la modalità di diffusione del batterio che sembra avvenire in maniera puntiforme, colpendo alcuni alberi ma non quelli nelle vicinanze in maniera uniforme, come invece ci si potrebbe aspettare nel caso della propagazione di un’epidemia, o anche il rifiorire di alcuni ulivi malati trattati opportunamente. Per quanto riguarda i dati che abbiamo discusso qui, la nostra conclusione è che non si possono che avere dubbi, piuttosto che certezze, sulla pericolosità del batterio Xf rispetto al disseccamento degli ulivi. Questa situazione richiede, dunque, che gli studi scientifici siano non solo più approfonditi, prima che venga presa una qualsiasi decisione politica, ma anche che scienziati con competenze diverse siano coinvolti nello studio dei dati di questa confusa vicenda in cui troppo spesso si è dato per certo e assodato quello che è assolutamente tutto da dimostrare.


  Da MicroMega 6/2016, Almanacco della scienza, in edicola ; qui la versione online  (12 settembre 2016)

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31 Commenti

  1. Mi pare che i postulati di Koch non siano più considerati imprescindibili, almeno nella forma originaria. A parte questo, ho un paio di considerazioni da fare.
    1) Se il disseccamento non è dovuto a Xylella, allora delle due l’una: o non è dovuto ad un agente infettivo, ed allora vorrei sapere come mai il disseccamento si sta espandendo dal Salento con modalità che sembrano proprio le stesse di una malattia infettiva; o è dovuto ad un altro agente, ignoto, ed a maggior ragione valgono le considerazioni a favore dell’abbattimento, visto che una malattia dovuta ad un agente ignoto non ha altri rimedi noti.
    2) Vorrei anche fare notare che il famoso principio di precauzione suggerirebbe misure drastiche, visto che l’eventuale diffusione di un agente infettivo e molto pericoloso (pare anche per la vite – e non è poco) nel resto d’Italia sarebbe catastrofico: quindi il principio direbbe di non correre rischi e di procedere come se l’origine infettiva fosse dimostrata. Ma pare che in questo caso il principio non valga…

    • Per quanto riguarda i postulati di Koch ho semplicemente riportato quello che afferma EFSA e cioè che siano necessari per dimostrare il nesso di causalità. Mi sono limitato a vedere se i dati supportano questa conclusione e la mia conclusione è che non sia il caso. Per quanto riguarda (1) l’unica cosa che mi sento di dire è che senza un database scientifico in cui siano raccolte tutte i dati e la loro evoluzione temporale è impossibile trarre qualche conclusione ragionevole per un verso o per l’altro. Nelle epidemie si monitorano milioni di individui che si muovono, non si capisce perché non ci sia uno studio serio su qualche decina di migliaia di ulivi che sono immobili. (2) è ovvio che se non c’è la prova che ci sia una epidemia in corso cade tutto il resto.

  2. A quel che so – non sono certo uno specialista – i postulati di Koch falliscono in casi importanti. Forse l’EFSA li usa come condizioni sufficienti, ma non mi pare siano considerati più condizioni necessarie. Qualche patologo potrebbe intervenire, penso che qui su ROARS non ne manchino.
    Infezione: io mi riferivo a mappe del genere, che mi sembra difficile spiegare in modo diverso dal diffondersi di un’infezione:
    http://www.zorbaproject.org/1415926535/eu_commission-xylella_fastidiosa.png. Magari l’UE le ha tracciate a piripicchio, ma in tale caso vorrei sapere su quali basi lo si afferma.
    Principio di precauzione: come ci viene proposto ormai quotidianamente, non richiede certezza del danno, ma (ragionevole) certezza del non-danno: in questo caso, del non-danno del lasciare le cose andare come vanno adesso. Certezza che al momento non esiste affatto, visto che nessuno ha dimostrato che il disseccamento NON dipende da un’infezione. Se applicassimo al caso Xylella questo principio come lo si è applicato, per esempio, agli OGM, a quest’ora non ci sarebbe un ulivo in piedi in tutta la Puglia.

    • L’EFSA (e a ruota i Lincei) danno per assodato che i postulati di Koch siano dimostrati. Ma i dati non supportano queste conclusioni non ci sono: se metà degli ulivi disseccati non sono positivi a Xf, è necessario spiegare perché: questo è il senso del mio intervento. Per le mappe che ha postato: i dati non ci sono proprio, non si capisce chi e come e su quali dati fa quelle mappe. Il principio di precauzione non ha senso perché bisognerebbe abbattere anche, per esempio, gli oleandri o altre piante.

  3. Le mappe vengono dalla UE. Forse i dati se li sono inventati, ma questa e’ un’accusa assai grave, che andrebbe documentata.
    Concordo che il principio di precauzione, come viene usato, sia un’assurdita’. Peccato che molti che si oppongono all’abbattimento degli ulivi siano anche anti-OGM e ne richiedano l’estirpazione sistematica: viva la coerenza!

    • Non ho detto che sono dati inventati, solo che non ci sono dati disponibili da consultare (e quelle mappe sono eventualmente costruite sui dati, ma non sono dati loro stesse). Per quanto riguarda gli anti-OGM non ho opinioni in proposito né le ho mai espresse.

  4. Bello, scrivere di argomenti che non si conoscono. Ci provo anch’io.
    Alcune osservazioni, in ordine sparso:
    – Koch: vero è che Wikipedia offre una definizione ‘allargata’ del primo postulato, ma a me piace riferirmi alle fonti canoniche della Patologia vegetale, come il volume “Plant Pathology” di Agrios: il primo postulato prevede la costante associazione tra l’agente sospettato e gli individui malati. Stop. Non parla di ‘abbondanza’, e neppure esclude che esso sia presente su piante non sintomatiche (la valutazione dei sintomi, capitolo fondante della patologia vegetale, è più un’arte che non una scienza!). Esistono, da sempre, soggetti “portatori sani” di infezione, anche in biologia animale. A me risulta che i 4 principi siano tutti ben confermati. Stop.
    – Da molte piante “con sintomi” (il che non significa necessariamente ‘disseccati’) non si isola il batterio. Intanto di quali sintomi parliamo: Xylella non è l’unico patogeno dell’olivo; altri fattori di stress, biotici (es. Verticillium) e non, affliggono la coltura, e chi ha detto che OGNI olivo ‘malato’ nel Salento dovrebbe essere infetto da Xylella? La mancanza di evidenza non implica “evidenza di mancanza”! Poi, l’isolamento non è affare affatto semplice ed è possibile che da piante certamente infette non si riesca effettivamente a isolare (in campioni deteriorati si affollano decine di microrganismi che disturbano le operazioni di isolamento).
    – Il “rifiorire di alcuni ulivi malati trattati opportunatamente”: esistono evidenze scientifiche accertate e accettate dalla comunità scientifica? Non si confonda il disperato tentativo di una pianta infetta da un patogeno sistemico di produrre in tutta fretta nuova biomassa dalle porzioni basali (destinata inevitabilmente a esser a sua volta invasa) con una qualsivoglia forma di risanamento!
    – Il “principio di precauzione”: concordo con quanto segnalato da ‘esmargia’ il 25 settembre.

    • – Koch: la questione è la prova della correlazione e della causalità, non di definizioni del postulato di Koch. I dati sono quelli che ho discusso.
      – I dati sono quelli che ho discusso e le spiegazioni dei risultati non ci sono nei documenti linkati. Dunque tutto può essere, come infatti scrivo.
      – Non ci sono articoli su rivista peer reviewed ma neppure per i postulati di Koch. Dunque siamo nel regno dell’incertezza. Come scrivo.

    • Al di là degli “stop” papali che mette il simpatico commentatore qui sopra, vorrei far notare che in uno dei pochi articoli scientifici (pubblicati su riviste peer reviewed) sulla questione Xylella, Krugner et al inoculano 6 diversi ceppi di xylella a 7 diverse cultivar. Nelle conclusioni generali non si distinguono i risultati ottenuti per i vari ceppi e le varie cultivar (alcune si infettano e altre no). La conclusione è “Collectively, the results indicate that leaf scorch or branch dieback symptoms of olive were not well correlated with X. fastidiosa infection in the field and were not reproducible by inoculation of X. fastidiosa to olive under controlled conditions in the laboratory […] Collectively, these results suggest that X. fastidiosa infection of olive may be selflimiting, such that chronic infection may be uncommon.”
      http://apsjournals.apsnet.org/doi/abs/10.1094/PDIS-01-14-0014-RE

      Una delle cose assolutamente e davvero uniche del caso Xylella salentina è che si tratta di un batterio unico che infetterebbe quasi esclusivamente un certo tipo di ulivo salentino e che nel pianeta Terra non si è mai osservato un caso dello stesso tipo.

  5. Provo a rispondere.
    Una raccomandazione classica nel mondo degli agronomi: non confrontare le pere con le cipolle. Nello specifico, il lavoro americano di Krugner et al. (Plant Disease 2014, 98: 1186-93) riguarda un patogeno (Xylella fastidiosa subsp. multiplex) diverso da quello segnalato in Salento (X.f. pauca), come differenti sono le cultivar di olivo. Quindi, forse è il caso di essere quantomeno cauti nelle valutazioni.
    Che il problema del Salento sia unico, al punto che “nel pianeta Terra non si è mai osservato un caso dello stesso tipo” è opinione discutibile: “Olea europaea (L.) trees displaying leaf scorching symptoms, identical to those recently reported for olive trees colonized by Xylella fastidiosa in Southern Italy and also in Argentina, were observed in commercial orchards of two counties in Southeastern Brazil” http://www.fupress.net/index.php/pm/article/viewFile/17259/16657
    Che ci siano ancora aspetti da approfondire non abbiamo dubbi, così come non ce ne sono in merito al fatto che l’inattività nei confronti delle campagne di eradicazione porterà al dilagare della pandemia. Non a caso, la FAO ha lanciato un piano anti Xylella per “rafforzare le reciproche competenze tecniche per impedire l’introduzione e la propagazione del batterio killer per le piantagioni di olivi Xylella fastidiosa nei paesi dell’Africa del Nord e del Medio Oriente” http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/ambiente/2016/08/30/la-fao-lancia-da-tunisi-piano-anti-xylella-in-nord-africa_8fa31a5e-ffa2-47cc-a01d-8cdc2c368cc5.html

    • 1) Il lavoro di Krugner è interessante a livello metodologico
      2) Gli Argentini scrivono :
      “Although X. fastidiosa has not yet been proved
      as the causal agent of the new disorder in olives, a
      strong correlation between leaf scorching symptoms
      and presence of this bacterial pathogen is evident as
      reported for three distant regions (Southern Italy, Argentina,
      and now Brazil). ” O sono io che non capisco cosa sia una strong correlation o c’è un problema non banale con questo lavoro. Negli ulivi salentini strong correlation non è stata misurata. Ci saranno dei motivi: quali sono ignoti.
      3) Che ci sia una pandemia lo dichiara lei. Io vorrei vedere i dati e i dati non ci sono.

  6. Tutti e 4 postulati di Koch (Henle) non sono essenziali per dimostrare causalita’. Esempi arcinoti in medicina: infezioni asintomatiche/subcliniche (“inapparenti” di Charles Nicolle), colera (Koch stesso abbandono’ in questo caso il primo postulato), febbre tifoide, infezioni virali e prioni, ignoti a Koch e non coltivabili cosi’ come, tra i batteri, M. leprae. Bartonella puo’ causare batteriemia senza manifestazioni cliniche. E per finire, il patrimonio genetico e’ molto importante nella variazione di risposta agli agenti infettivi.

    • Mai dare niente per scontato! Ancora non lo ha imparato? Nel Rapporto Linceo si legge a pag.20-21 “Di recente si è avuta conferma da parte dello stesso gruppo del postulato di Koch con la riproduzione della malattia da isolati puri del batterio (EFSA, 2016b).” http://www.lincei.it/files/documenti/Rapporto_xylella_20160622.pdf Dunque assumono che i postulati di Koch siano la prova di causalità e che siano stati anche dimostrati “L’agente causale della malattia è Xylella fastidiosa, una conclusione che abbiamo accettato come
      non più discutibile” Pag.2. Si fa riferimento a EFSA 2016 come ho scritto nel pezzo. Altri dati non sono discussi. Come è possibile?

  7. Mi sbagliero’, ma a me pare che EFSA e Lincei abbiano usato i postulati di Koch come condizione sufficiente e non come condizione necessaria per stabilire la causa della patologia; forse perche’, credendo (a ragione o a torto non mi sento competente per giudicare) di avere mostrato che tali postulati erano soddisfatti, non era necessario argomentare oltre.
    In ogni caso, non ho ancora avuto risposta alla mia perplessita’: come fa una causa di disseccamento non dovuta ad un patogeno a difondersi con le modalita’ viste, che hanno tutta l’apparenza della diffusione di un’epidemia? le poche spiegazioni che ho visto avanzare non erano affatto coerenti con queste modalita’. E se la causa e’ un patogeno diverso da Xylella, ancora peggio: perche’ se non sappiamo quale organismo causa l’epidemia, allora davvero l’abbattimento degli ulivi diventa praticamente l’unica arma a disposizione.

    • 1) Sbaglia in quanto i dati dei Lincei sono quelli di EFSA tra l’altro non soggetti a peer rewiew, non pubblici, non riprodotti.
      2) Io non so quali siano queste modalità di diffusione dell’epidemia che dice lei non essendoci dati pubblici sulla diffusione spazio-temporale del disseccamento.
      3) Come ho scritto non sapere quale sia la causa della malattie e allora abbattere gli ulivi è una soluzione chiaramente demenziale.

      Prima i dati poi le conclusioni. In questa storia le conclusioni si sono tirate prima dei dati. E ciò non è affatto bene.

    • Il mio “mi sbagliero'” si riferiva all’uso dei postulati di Koch, non alla presenza o meno di dati. Comunque, mi pare che il problema sia non l’assenza di dati (almeno per il disseccamento), che a quanto pare esistono visto che ci hanno fatto le mappe di diffusione che ho linkato in un commento passato, ma il fatto che i dati grezzi non sono disponibili. Il che non e’ certo una novita’ nella storia della scienza. Un problema dunque politico e non scientifico.

  8. Mi riferivo al passaggio nel suo testo riguardo i “..quattro ragionevoli criteri necessari per stabilire l’esistenza di una relazione causale tra un agente patogeno e una malattia.” Un’affermazione generale che ritengo meritasse un commento con esempi. Per quanto riguarda invece la suscettibilità’ di una specifica popolazione ad una data infezione e malattia, sarebbe interessante sapere (non ne so nulla) se l’assetto genetico degli ulivi del Salento li renda vulnerabili alla X. fastidiosa pauca.

    • Ripeto: ho considerato i dati disponibili per vedere su che basi EFSA e i Lincei hanno concluso che i postulati di Koch fossero soddisfatti e dunque erano prova del nesso di causalità. E i dati semplicemente non ci sono. Se EFSA/Lincei avessero trovato che i postulati di Koch non fossero stati soddisfatti allora magari si poteva aprire una discussione sul fatto che i postulati di Koch siano una condizione troppo forte: la discussione, appunto e per motivi affatto chiari, non si è neppure aperta. Ma i dati non ci sono dunque siamo all’anno zero.

    • Assolutamente interessante, le ipotesi sul tappeto sono tante ma i dati non ci sono, non sono stati pubblicati, non ci sono articoli su riviste peer reviewed (per quello che riguarda correlazione/causalità) e nessun ricercatore indipendente da quelli che ci hanno lavorati ha mai riprodotto nulla. Dunque una situazione non accettabile da un punto di vista scientifico. Come ho commentato sopra per la diffusione di epidemie ci sono database che fanno il monitoraggio in tempo reale di decine di milioni di individui. Possibile che non si riesca a fare un database per qualche decina di migliaia di ulivi che stanno fermi immobili con un insetto che si propaga nelle vicinanze? A me sembra che questa situazione non sia neppure accettabile.

  9. Segnalo su il FQ di oggi (12.2.2017) l’inchiesta di Laura Margottini che riporta i risultati dei nuovi monitoraggi sulla Xylella: solo 6,5 alberi positivi a Xylella su 100 sono affetti da disseccamento. Nei dati disponibili al momento della scrittura del post sopra la percentuale era dieci volte più grande (57% !). I nuovi dati tolgono ogni dubbio sulla (non) presenza di correlazione tra Xylella e disseccamento.

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