I contributori di Wikipedia sono, per loro stessa natura, consumatori di pubblicazioni scientifiche. La credibilità di Wikipedia si fonda sulla correttezza delle informazioni e sul fatto che queste siano tracciabili, neutrali ed affidabili. Wikipedia è una fonte di informazioni secondaria e terziaria, cioè basata su ricerche che altri hanno condotto e sono considerate attendibili. Le fondamenta di un’enciclopedia sono le fonti. Per questi motivi è nell’interesse non solo di Wikipedia ma di tutti coloro che hanno a cuore il concetto di conoscenza libera che le fonti delle voci siano raggiungibili, accessibili e senza limitazioni.
I contributori di Wikipedia sono, per loro stessa natura, fra i principali consumatori di pubblicazioni scientifiche al mondo. La credibilità di Wikipedia si fonda sulla correttezza delle informazioni e sul fatto che queste siano tracciabili, neutrali ed affidabili. Wikipedia è una fonte di informazioni secondaria e terziaria, cioè basata su ricerche che altri hanno condotto e sono considerate attendibili.
Le fondamenta di un’enciclopedia sono le fonti e Wikipedia è nella top ten delle sorgenti di click su DOI.org, con picchi di 10 milioni di riferimenti mensili[1].
Per questi motivi è nell’interesse non solo di Wikipedia ma di tutti coloro che hanno a cuore il concetto di conoscenza libera che le fonti delle voci siano raggiungibili, accessibili e senza limitazioni.
Il concetto di open access
L’open access rappresenta la possibilità di pubblicare materiale prodotto dal lavoro di ricerca che ne consenta il libero accesso, senza restrizioni. Ad esempio articoli scientifici pubblicati in riviste accademiche o atti di conferenze, ma anche capitoli di libri, monografie, o dati sperimentali con una licenza
Il termine open access esprime la libera disponibilità online di contenuti digitali in generale e riguarda l’insieme della conoscenza e della creatività liberamente utilizzabile, in quanto non coperta da restrizioni legati alla proprietà intellettuale, né ad altri tipi di vincoli, spesso utilizzati da altre piattaforme per la condivisione della conoscenza[2].
L’open access è una risposta precisa ed esaustiva alle necessità di Wikipedia.
L’iniziativa di Wikimedia Italia
Wikimedia Italia è coinvolta nell’open access dal 2008 ma quest’anno si è impegnata nell’obiettivo di convogliare piú utenti di Wikipedia (in italiano ma non solo) sugli archivi aperti dove le pubblicazioni sono disponibili, usando strumenti come DOAI.io e oaDOI.org.
A questo scopo Wikimedia Italia, nella persona di Federico Leva, ha scritto personalmente a migliaia di autori invitandoli a depositare le proprie pubblicazioni che risultano non disponibili ma archiviabili (secondo SHERPA/RoMEO).
In sintesi, l’obiettivo di questa iniziativa è rendere immediatamente visualizzabile, senza limitazioni, registrazioni o pagamenti, il maggior numero di fonti presenti a piè di pagina nelle voci di Wikipedia.
Wikimedia ha suggerito l’utilizzo di dissem.in, una piattaforma che indicizza varie fonti e permette di archiviare i documenti su repository liberi senza dover compilare i metadati manualmente, rendendo tutto il processo più rapido e snello. Attualmente gli articoli depositati attraverso dissem.in sono oltre 800. Il repository consigliato dall’iniziativa è Zenodo, un archivio open access per le pubblicazioni e i dati di tutti i ricercatori del mondo, gestito da CERN per OpenAIRE.
I risultati
La risposta all’iniziativa di Wikimedia Italia è stata eccellente: oltre il 10% degli autori ha cliccato l’invito, dozzine hanno chiesto ulteriori informazioni e in pochi giorni un centinaio di articoli sono stati archiviati in Zenodo o altri archivi. Oltre a questi risultati diretti, l’iniziativa ha ricevuto commenti entusiastici e sostegno da numerose entità[3]. Peter Suber, direttore presso l’Harvard Office for Scholarly Communication, attraverso un post su twitter, si è complimentato personalmente con Federico Leva per l’iniziativa[4].
Cosa abbiamo imparato
Oltre ai risultati immediati, in termini di articoli effettivamente pubblicati, l’esperienza di Wikimedia Italia ha permesso di imparare molto a livello di strategie di comunicazione nel mondo della ricerca scientifica.
- Se la pubblicazione open access è facile ed agevole, gli autori di ricerche sono spinti a farla
- I ricercatori amano essere citati e desiderano che le loro ricerche vengano lette ed apprezzate
- Si può mostrare ad un ricercatore quanto il proprio contributo sia importante e possa davvero cambiare la realtà (come per il caso di Jack Andraka, descritto più sotto)
- gli autori sono interessati alla questione delle licenze associate all’uso e diffusione del proprio lavoro, ma è necessario spiegarglielo in termini chiari e poco tecnici
- molti ricercatori, semplicemente, non sanno che l’open access è una possibilità, ma non appena ne vengono a conoscenza sono ben disposti verso essa
- non si deve chiedere agli autori si fidino di quello che gli dici tu a livello legale, ma citare dozzine di altri autori e di università che già lo fanno
Storie di successo
Parlare di concetti astratti, come può essere il “bene comune”, oppure citare un generico “aiutare Wikipedia”, spesso non evoca esperienze dirette o comprensibili che sono i mezzi più efficaci per far cambiare idea alle persone o spingerle in una direzione. La storia di Jack Andraka è un ottimo esempio di come l’open access non è solo un bel concetto, ma un modo per cambiare le cose realmente.
Jack è uno studente di scuola superiore che ha realizzato un nuovo, veloce ed economico metodo che rileva l’aumento di una proteina che indica la presenza del cancro al pancreas, alle ovaie e ai polmoni durante le fasi iniziali della malattia.
Come ogni scoperta scientifica, quella di Jack è basata sui risultati di ricerche precedenti, ma senza un’affiliazione in grado di fornire i fondi necessari non ha potuto accedere ai costosi database medico-scientifici a pagamento.
Quindi cosa ha fatto Jack? Ha utilizzato massicciamente gli articoli liberi pubblicati sotto licenza Creative Commons presso l’archivio digitale PubMed del National Institute of Health.
Senza questi articoli la sua ricerca non sarebbe stata possibile e, conseguentemente, il suo metodo di rilevazione precoce del cancro non sarebbe stato scoperto.
Ispirazione e supporto
Il concetto di open access si sta diffondendo e numerosi enti e personalità nel campo della ricerca scientifica si stanno muovendo in questa direzione. Ciò è possibile grazie a persone che lavorano per raggiungere questo obiettivo e che è importante citare poiché hanno reso possibile e ispirato l’iniziativa di Wikimedia Italia.
Björn Brembs
Professore di neurogenetica presso l’Università di Regensburg in Germania, Brembs è da anni un ambasciatore della conoscenza aperta e dell’open access.
L’open access button è uno strumento che traccia quando un utente si imbatte in un paywall (cioè una richiesta di pagamento per la visualizzazione di materiale di ricerca) e fornisce strumenti in grado di ricercare l’articolo stesso in versione libera ed accessibile.
L’oaDOI (Open Access Digital Object Identifier) cerca, attraverso il DOI, la versione ad accesso gratuito di un articolo scandagliando tutte le fonti di contenuti ad accesso aperto sparse per la rete. Si tratta di un servizio analogo all’Open Access Button ma di più facile utilizzo in quanto non richiede di scaricare nulla, solo di copiare ed incollare il DOI dell’articolo che interessa.
BASE (Bielefeld Academic Search Engine) è un motore di ricerca interdisciplinare È basato su software open-source e cerca su repository che implementano l’Open Archives Initiative Protocol for Metadata Harvesting (OAI-PMH).
Informare è importante
Come dimostrato dall’esperienza di Wikimedia Italia, spesso è solo un problema di informazioni. Molti ricercatori non sono a conoscenza della possibilità di pubblicare i propri lavori mettendoli nelle disponibilità di altre persone. Se vengono informati, lo faranno.
Diventa quindi un punto cruciale per tutti coloro che hanno a cuore il tema della conoscenza libera e condivisibile, informare le persone di questa possibilità e fornire loro le giuste indicazioni. È semplice e, come nel caso di Jack Andraka, cambia davvero il mondo che ci circonda.
[1]https://www.crossref.org/blog/where-do-doi-clicks-come-from/
[2]http://osc.universityofcalifornia.edu/2015/12/a-social-networking-site-is-not-an-open-access-repository/index.html
[3]https://lists.wikimedia.org/pipermail/openaccess/2017-August/000223.html
[4]https://twitter.com/petersuber/status/898941119924502528
Complimenti per l’articolo bellissimo, ma vorrei fare una osservazione, marginale rispetto al tema, ma forse non troppo marginale: se non ci sforziamo di parlare italiano quando si parla italiano, e un’altra lingua (l’inglese, ad esempio) quando si parla un’altra lingua, se la si conosce, non ci dobbiamo poi sorprendere se assistiamo, ad esempio, a una proliferazione di traduzioni sbagliate dall’inglese all’italiano, e all’impoverimento lessicale che è evidente nel parlato corrente, e al conseguente impoverimento nel contenuto concettuale. Essere bilingue NON significa non saper più parlare italiano e parlare un inglese primitivo: questo non è arricchimento ma impoverimento. Nell’articolo si parla di ”articoli liberi”. Il contrario di un ”articolo libero” sarebbe un ”articolo prigioniero”? La parola ”gratuito” non esiste più? La lingua si evolve, dice il risponditore automatico. I fatti dicono che le lingue possono anche regredire. Pensare che ogni cambiamento sia necessariamente un progresso è ingenuo. Tradurre deve per forza significare la ricerca del primo calco che ci viene in mente? Intristisce vedere che nelle università italiane è tutto un pullulare di espressioni inglesi: ”homework”, ”help desk”, ”career day”, e via dicendo. Perché nessuno capisce che è segno di provincialismo e decadenza culturale? Dice il Saggio: chi non sa dire quello che pensa è costretto a pensare (solo) ciò che sa dire.
“Libero” sta per “pubblicato con una licenza libera”.
https://it.wikipedia.org/wiki/Licenza_libera
Come suo contrario si usa normalmente “proprietario” (“prigioniero” sarebbe un po’ enfatico ma non scorretto). “Gratuito” invece dà solo un’informazione monetaria (per una qualche fase della vita dell’opera).
Un’opera può essere gratuita senza essere libera (per esempio: un articolo distribuito con licenza cc-by-nc) e libera senza essere gratuita (esempio: un programma in GPL commissionato e pagato allo sviluppatore dal suo utente finale).
La libertà di cui si parla è la libertà nell’accezione in cui si usa il termine quando si dice “libertà di parola”. “Gratis” deriva dal latino gratia: la gratuità presuppone una gentile – e revocabile – concessione, mentre la libertà è di solito intesa come fondata su un diritto.
In questo senso la libertà di (alcuni) testi si contrappone a tutto ciò che, sequestrato dagli editori commerciali in nome di un copyright ormai poco congruente col diritto dell’autore, entra solo parzialmente e con difficoltà nell’esercizio – appunto – della libertà di parola che dovrebbe essere alla base anche del dibattito scientifico.
La mia attenzione, a titolo di esempio, si era appuntata sulla espressione ”articoli liberi” e non sulla espressione ”licenza libera”.
.
Dal contesto si capisce che il significato che viene attribuito all’aggettivo ”libero” in ”articoli liberi” nel testo è diverso dal significato che Wikipedia attribuisce alla espressione ”licenza libera” (sulla quale ci sarebbe comunque molto da dire, che però non dico, perché farei la fine di Alice, visto che non sono io a comandare).
.
Infatti, la frase completa è la seguente:
*Quindi cosa ha fatto Jack? Ha utilizzato massicciamente gli articoli liberi pubblicati sotto licenza Creative Commons presso l’archivio digitale PubMed del National Institute of Health.
*
La libertà di cui Jack ha goduto non è quella di modificare i testi ma di leggerli. In questi casi, si dice ”gratuito”, aggettivo molto più preciso di ”libero”.
.
La parola inglese ”free” ha due significati principali, come in ”free man” o ”free lunch”, cioè può significare ”libero” o ”gratuito”. In italiano i due significati sono scissi, in inglese no. La lingua italiana, in questo, consente una maggiore precisione, che si perde quando si traduce usando un calco.
.
Un uomo può essere libero, o può non esserlo, ma che senso ha dire che un sasso è libero? Un sasso non è neanche libero di cadere, perché deve per forza cadere, se qualcuno lo solleva da terra, ma solo in quel caso. In altre parole, l’aggettivo ”libero”, attribuito a un oggetto inanimato, si riferisce per lo più alla circostanza che non ci sono limiti alla possibilità di adoperare l’oggetto stesso per l’uso che gli è proprio. Ma questo significa per lo più ”gratuito, come, ad esempio, in ”ingresso libero”, che non significa che l’ingresso è libero di diventare una uscita, ma che gli esseri animati che si trovano a passare da quelle parti, o anche coloro che ci sono venuti apposta dopo lungo viaggio, lo possono usare per l’uso che gli è proprio (cioè possono passarci) senza alcun impedimento. Di fatto, questo significa che l’ingresso è gratuito. Un ”free lunch” non è un pasto che è libero di diventare un digiuno, ma un pasto del quale qualunque passante animato può fruire, purché sia dotato di denti. In somma, è un pasto gratuito.
.
Un ”articolo libero” sarebbe quindi un articolo che può essere letto da qualsiasi essere animato che gli passi accanto, purché naturalmente sappia leggere. Ma nulla può impedirgli di leggerlo, una volta che se lo trova davanti. Quindi l’assenza di impedimento in questo caso deve significare semplicemente che può accedere all’articolo senza pagarlo.
.
Qui le licenze non c’entrano nulla.
.
Dunque, se Jack ha ”utilizzato massicciamente gli articoli liberi […]”, lo ha potuto fare perché appunto erano gratuiti, e non si è certo messo lì a modificarli, facendoli diventare, che so io, preposizioni articolate, ma si è limitato a leggerli, e senza pagarli, perché, come dice il testo, non aveva i fondi per accedere alle costose basi di dati.
.
La ”libertà di parola” qui c’entra poco, perché nella espressione ”libertà di parola” ci si riferisce alla libertà degli esseri animati di adoperare la parola, cioè di parlare, mentre l’esempio che ha attirato la mia attenzione è quello di ”articoli liberi”, espressione usata per dire ”articoli gratuiti”, come è evidente da tutta la frase. Naturalmente esiste anche di fatto la libertà di dare alle parole significati che non hanno. Ma qui rischio ancora una volta di fare la fine di Alice, visto che sono altri a comandare.
.
A proposito, in albergo mi hanno indicato lo store dove posso comprare una bevanda quando il bar è chiuso, e mi hanno anche detto che possono splittare il pagamento come desidero, il pasto da una parte, l’alloggio da un’altra parte. Buono a sapersi.
Sappiamo bene che quando i pasti finiscono sotto gli alloggi poi si rompono.
Fausto di Biase, aggiungo solo un’osservazione a quanto già indicato da Roberto Amabile. La distinzione fra “libero” e “gratuito” non ha nulla a che vedere con le proprietà fisiche degli oggetti: riguarda solo le loro qualificazioni giuridiche, vale a dire la gamma di relazioni sociali normate dal diritto stesso che le persone possono instaurarvi.
Quando, per esempio, affermo che sul mio fondo c’è una servitù di passaggio non sto sostenendo che il mio campo è servo: sto dicendo semplicemente che io ho l’obbligo di permettere al mio vicino di attraversare il mio campo per raggiungere il suo. Non sto parlando di una proprietà fisica del mio campo, ma di una relazione giuridica fra me e il mio vicino. Non sto affermando che il mio vicino, per raggiungere il suo campo, non può fare fisicamente a meno di passare dal mio (finché non decido di proteggerlo con una muraglia con in cima cocci aguzzi di bottiglia): sto dicendo che io devo rispettare il suo diritto di farlo.
Anche “libero” e “gratuito” non sono applicati ai testi come proprietà fisiche, bensì come qualificazioni giuridiche che indicano relazioni fra persone. Dunque
– “gratuito” significa, meno stenograficamente, che io permetto agli altri di leggere il mio testo, ma che posso revocare questa mia concessione in ogni momento e a mio arbitrio (e in ogni caso mi tengo tutti i diritti di cui qui sotto);
– “libero” significa che io ho scelto di condividere alcuni miei diritti sul testo con gli altri, in modo da farlo entrare nel gioco della libertà di parola rendendolo non solo leggibile, ma riproducibile, traducibile, sezionabile riga per riga a scopo di commento e così via senza più la necessità (giuridica) di chiedermi ogni volta il permesso.
Rielaborando il suggerimento di M.C. Pievatolo, la possibilità di consultazione (“gratuita” o meno) degli articoli usati da Andraka non sarebbe garantita in qualsiasi spazio o tempo ma è passibile di revoca se tali articoli non fossero “liberi”.
Libertà, licenze e – ultima ma non ultima – la polisemia in inglese c’entrano eccome nella scelta di tradurre “free” con “libero” in italiano o “libre” in francese e spagnolo. Questa lettura interessante https://dash.harvard.edu/bitstream/handle/1/4322580/suber_oagratis.html?sequence=1 potrebbe aiutare chi è a digiuno di questi temi.
Per chi è a digiuno anche di inglese, basta usare un motore di ricerca per approfondire come si siano determinate le connotazioni di “libero” e “gratuito” in questi contesti.
Non si finisce mai di imparare. Mi auguro che mi sara` consentito rispondere ai commenti istruttivi di Pievatolo e Amabile, che ringrazio.
A. Se una parola ha, in qualche gergo specialistico, una accezione particolare, che non ha per gli estranei, e se, nel comunicare, io attribuisco a quella parola il significato che essa ha in quel gergo specialistico, pretendendo di essere compreso da tutti, oppure se uso quella parola attribuendole una particolare accezione che le appartiene in base alla sua etimologia, senza curarmi del significato che ha nell’uso comune, allora la comunicazione non potrà realizzare il suo scopo, che è quello di trasmettere un dato contenuto concettuale da una mente a un’altra mente.
B. Nel brano di Michele Marchetto, dedicato alle imprese di Jack Andraka, l’autore si riferisce alla possibilità di leggere i testi senza pagare, indipendentemente dalla circostanza se quella possibilità fosse o non fosse revocabile; non si riferisce alla possibilità di tradurli o di farci altre cose (se non citarli, naturalmente; ma essere citati, con chiara menzione dell’autore, è sempre stato un piacere, non una concessione dell’autore). Era solo una questione di soldi.
A supporto della affermazione in (B), chiamo a testimoniare Jack Andraka in persona, che, nel seguente testo del 2013
(http://blogs.plos.org/thestudentblog/2013/02/18/why-science-journal-paywalls-have-to-go)
ci racconta che il problema era che gli articoli che voleva leggere erano a pagamento, indipendentemente dalla circostanza che la possibilità di leggerli fosse o non fosse revocabile.
C. Pievatolo ci spiega che ”gratuito” significa che è accessibile senza pagamento, ma che tale accesso è revocabile.
C.1. Il vocabolario Treccani testimonia che la particolare accezione di ”gratuito” data da Pievatolo non è riscontrabile nell’uso comune del termine, in cui è assente la clausola di reversibilità. Il vocabolario Treccani ci dice che ”gratuito” è detto di ciò che si fa o si riceve senza pagamento. L’ulteriore specificazione, che si potrebbe desumere dalla etimologia, riguardo la revocabilità del bene, è del tutto assente dall’uso comune.
Lo stesso vocabolario Treccani ci dice che nel linguaggio giuridico l’espressione ”contratto gratuito”, in contrapposizione al ”contratto oneroso”, indica un contratto in cui uno dei contraenti procuri un vantaggio a un altro senza riceverne corrispettivo.
Si tratta solo di soldi. La eventuale revocabilità non appartiene all’uso comune.
In molti contesti, una volta che uno dei contraenti ha procurato un vantaggio a un altro, il vantaggio non è revocabile, e quindi la questione, se il godimento del bene concesso a titolo gratuito sia in linea di principio revocabile o meno, non si pone nemmeno. Cosa fatta capo ha.
Se un professionista firma un contratto gratuito con l’amministrazione di un ateneo, e accetta di tenere un corso di lezioni senza ricevere in cambio soldi, una volta che ha tenuto quel corso non se lo può più riprendere.
La lettura del testo di una memoria scientifica non è un atto revocabile. Può essere revocabile la possibilità di leggerlo senza pagare, ma se oggi posso leggerlo senza pagarlo questo problema potrebbe essere molto secondario. Del resto, dal punto di vista di un essere mortale, tutto è revocabile, anche senza eccessivo preavviso.
C.2. La clausola di reversibilita` presente nella particolare accezione che Pievatolo vuole dare al termine ”gratuito” si trova implicitamente nella etimologia, ma il significato di una parola e` dato in ultima analisi dall’uso comune, non dalla etimologia. Se vado a trovare un amico agli arresti domiciliari e gli dico che e` proprio cattivo, non mi capira`, o si offenderà, a meno che non sia una persona istruita che ha il gusto per le etimologie.
C.3. La clausola di reversibilita` presente nella definizione data da Pievatolo nella definizione di gratuito non si trova nella fonte specialistica segnalata da Amabile. Infatti, se leggiamo il testo di Peter Suber, del 2008, in cui descrive la filosofia del Budapest Open Access Initiative, scopriamo diverse cose interessanti.
In breve, il Movimento Open Access—iniziato, a quanto sembra, su impulso della Open Society Foundation di George Soros—promuove la rimozione delle barriere che impediscono l’accesso alla letteratura scientifica.
Nel 2003, Peter Suber ha proposto una terminologia per indicare due diversi livelli di rimozione delle barriere che possono impedire l’accesso alla letteratura scientifica.
Il primo livello è stato da lui chiamato ”rimozione della barriera del costo”.
Il secondo livello è stato da lui chiamato ”rimozione delle barriere dei permessi”.
Per quanto riguarda il primo, non si fa alcun riferimento alla eventuale reversibilità della barriera del costo.
Per quanto riguarda il secondo, Suber distingue tra i vari livelli di permessi che possono essere accordati (ad esempio, il permesso di copia, quello di distribuzione, sui quali tornerò in seguito, eccetera).
In seguito, altri termini sono stati proposti: weak open access (per indicare l’accesso gratuito, che, nell’uso comune e secondo il vocabolario Treccani, significa ”senza pagamento”) e strong open access (per indicare che almeno qualcuna delle altre limitazioni relative a un testo è stata rimossa). Il travaglio terminologico ha poi prodotto i termini ”gratis” e ”libre”. Lo stesso Suber ci dice che ” The terms may be unfamiliar in the domain of OA or scholarly communication”. Suber ci spiega in che senso questi termini sono usati:
Questo testo di Suber mostra che la clausola di reversibilità presente nella definizione data da Pievatolo nella definizione di gratuito non si trova nella fonte segnalata da Amabile.
Suber è l’estensore della Budapest Open Access Iniziative (ma non l’unico firmatario).
A un corrispondente che chiede a Suber ”What’s wrong with “free” access?”, cioè ”perché non adoperare semplicemente il termine ”free access”?, Suber risponde quanto segue.
Una traduzione letterale affrettata di ”free” è libero. In altre parole, Suber conferma ciò che ho scritto nel mio primo commento.
Un’altra testimonianza viene dal seguente testo, ancora di Suber.
http://legacy.earlham.edu/~peters/fos/overview.htm#copyright
Anche qui, la clausola di reversibilità è assente.
C.4. Se vogliamo introdurre una nuova suddivisione categoriale del mondo, dobbiamo cercare di essere esaustivi. Se propongo di rinominare i colori usando solo due nomi, la nuova nomenclatura sara` utile solo per i daltonici (ne so qualcosa). La nomenclatura proposta da Pievatolo, oltre alle difficoltà già indicate, soffre di un grave difetto: non e` esaustiva. Infatti, come dovrei mai indicare un testo che è accessibile senza pagamento, in modo tale che la sua accessibilità non sia reversibile, ma che non offre alcun permesso oltre a quello della sola lettura? La suddivisione tra ”gratuito” e ”libero” indicata da Pievatolo non offre alcuna indicazione al riguardo. La terminologia di Suber mi sembra più accorta.
C.5. Un altro difetto della suddivisione categoriale proposta da Pievatolo è che la questione se il beneficio concesso senza pagare, nel concetto di ”gratuito”, sia revocabile o meno, è molto spesso privo di rilevanza, come vedremo in seguito.
D. Qual è la storia di Jack Andraka, che viene preso ad esempio dai sostenitori del movimento Open Access?
Il lettore curioso può scoprirlo leggendo il suo interessante libro autobiografico, in vendita su amazon.com a un prezzo che varia dagli otto dollari e tre centesimi ai nove dollari e novantacinque centesimi (a seconda del formato), oppure leggendolo su Kindle, per soli cinque dollari e trenta centesimi, oppure ascoltando un audiolibro in CD, in vendita al prezzo di tredici dollari e novantuno centesimi.
Se il lettore curioso non conosce l’inglese, una traduzione italiana è disponibile su amazon.it a un prezzo che varia dai nove euro e novantanove centesimi (questo si chiama ”prezzo civetta”) fino ai dodici euro e settantacinque centesimi, a seconda del formato.
Il lettore poliglotta lo trova anche tradotto in altre lingue, ancora su amazon, a prezzi che non sto qui a indicare. Il concetto è chiaro: bisogna pagare.
Non tutti però hanno i soldi per acquistare questi prodotti, e bene ha fatto l’autore dell’articolo che sto commentando a raccontarci in breve la storia di Jack Andraka, dando la seguente versione dei fatti.
Jack Andraka era interessato alla diagnosi precoce del cancro al pancreas. Non aveva i fondi necessari ad avere accesso alla letteratura medico-scientifica (”senza un’affiliazione in grado di fornire i fondi necessari non ha potuto accedere ai costosi database medico-scientifici a pagamento ”). Ha utilizzato l’archivio digitale PubMed, al quale si può accedere senza pagare (”Quindi cosa ha fatto Jack? Ha utilizzato massicciamente gli articoli liberi pubblicati sotto licenza Creative Commons presso l’archivio digitale PubMed del National Institute of Health. Senza questi articoli la sua ricerca non sarebbe stata possibile e, conseguentemente, il suo metodo di rilevazione precoce del cancro non sarebbe stato scoperto.”).
Come si vede, questa versione differisce in parte da quella data da Andraka in persona. Ma non è questo il punto.
Di quale beneficio stiamo parlando? Stiamo parlando del beneficio di poter leggere una memoria scientifica, hic et nunc, e senza pagare. Jack Andraka ha potuto leggere certi testi senza pagare, e per lui oggettivamente aveva poca importanza il fatto che chi metteva a disposizione quei testi si riservasse o meno il diritto di interrompere la concessione di quel beneficio.
Diciamo pure che quella concessione fosse revocabile. A Jack Andraka non interessava che fosse revocabile o meno, e non interessava farci non so cosa con quei testi, o avere il diritto di tradurli: aveva solo bisogno di leggerli.
E. Jack Andraka ha mai pubblicato i risultati delle sue ricerche su qualche rivista specializzata, sia pure ”open access”, ma sottoposta alla valutazione di esperti del settore? Una fonte, possibilmente ad accesso gratuito, sarebbe gradita. Grazie. Nel 2013 Jack Andraka annuncia su Twitter di aver inviato il suo articolo a PLOS, ma oggi su PLOS l’articolo non esiste
https://twitter.com/jackandraka/status/417370456258539520
Nel suo sito, Jack Andraka ci dice che
F.La fonte che ho già citato ci dice quanto segue.
A me basta avere la possibilità di leggere un testo. Non comprendo la insistenza sulla possibilità di poterlo riprodurre e distribuirlo. Non mi verrebbe mai in mente di distribuire copie dei Promessi Sposi, e non ne avrei i mezzi materiali. Se tutti un domani avessero il permesso di riprodurre e distribuire un testo, verrebbe a mancare il rapporto fiduciario che oggi ci permette di essere certi che il testo che leggo è proprio quello che l’autore ha scritto. La precisazione finale del testo citato sarebbe del tutto priva di capacità di presa. Durante lo stalinismo, alla eliminazione fisica degli oppositori politici faceva seguito la distruzione delle loro immagini. La pagina delle Grande Enciclopedia Sovietica dedicata a Beria fu rimpiazzata da un’altra, dedicata a Berkeley. Forse un domani la censurà sarà esercitata in maniera più sottile: i testi scomodi verrebbero distribuiti in forma modificata, e sarebbe difficile capire chi ha scritto cosa.
Per oggi, accontentiamoci di una censura esercitata con metodi più spiccioli: da un lato ci dicono che dobbiamo essere abbastanza bravi da distinguere gli investimenti sicuri da quelli fraudolenti, dall’altro ci dicono che non siamo in grado di distinguere le bufale dalle notizie certe, e quindi ci proteggeranno eliminando le bufale dalla rete. Parlano anche di meccanismo automatico per il riconoscimento delle bufale. Speriamo bene!
Rispondo solo all’ultimo punto: affascinante ipotesi futuristica. Se guardiamo alla realtà che si può toccare con mano oggi, però, sappiamo per certo che è il copyright esclusivo a essere usato a fini di censura e manipolazione, a prescindere dalla gratuita delle opere. Vedi ad esempio https://www.eff.org/deeplinks/2017/01/copyright-shouldnt-be-tool-censorship . Se poi ci si affida alla grazia degli editori, subentrano atti di censura sistematica come https://www.reuters.com/article/us-china-censorship/springer-nature-blocks-access-to-certain-articles-in-china-idUSKBN1D14EB : chissà se Springer lascia che gli autori degli articoli censurati in Cina li redistribuiscano per altre vie?
Quando si discute di copyright si dovrebbe tener presente che non siamo più ai tempi dello Statute of Anne: un testo con un minimo di originalità è sempre giuridicamente sotto copyright a meno che l’autore o colui che ne ha ricevuto i diritti non stabilisca esplicitamente altrimenti.
Quando si parla di materiale oggetto di copyright, la distinzione fra “libero” e “gratuito” si basa, dunque, su questo presupposto, che avevo erroneamente dato per noto.
Se, infatti, abbiamo di fronte un testo semplicemente “gratuito” senza nessun’altra qualificazione, si deve intendere che è giuridicamente sotto copyright, con tutte le conseguenze già menzionate in precedenza.
Si tratta di un gergo specialistico? Sì: nell’età della stampa sarebbe stato di interesse solo per chi aveva una tipografia. Nell’età della rete, ed essendo il regime di copyright attuale costruito sull’eredità dell’età della stampa, non è più così. E non è, a maggior ragione, così per chi è autore di opere scientifiche e dovrebbe firmare i contratti sui suoi diritti d’autore con cognizione di causa. Essere informati su questo gergo metterebbe al riparo da brutte sorprese.
Ci sono, infine, una miriade di motivi per i quali ricevere la graziosa concessione di leggere un testo può – per qualcuno – non essere abbastanza. Solo a titolo di esempio:
– conservazione a lungo termine;
– traduzione (ecco un paio di esempi);
– usi didattici con un margine di sicurezza maggiore di quello offerto dalla legge italiana attuale;
– text and data mining;
– riproduzione a scopo di commento paragrafo per paragrafo;
– privacy (non voglio che i dati di navigazione che lascio sul sito dell’editore commerciale vengano catturati e fatti oggetto di compravendita).
In breve, l’interesse per la libertà dei testi paragonabile all’interesse per la libertà del software, la cui idea è meno recente di quella dell’open access. C’è, infatti, chi ha cominciato a pubblicare (testi) ad accesso aperto molto prima del BOAI, ispirandosi, appunto, a Richard Stallman.
La discussione verte sul permettere a chiunque di poter godere di certi diritti che siano garantiti da una licenza, e che questi diritti siano indipendenti da un dato luogo e un dato tempo. Da qui viene il mio sottolineare l’irrevocabilità della gratuità di un contenuto, ma non solo.
Con la cessione del diritto d’autore dell’articolo alla rivista che lo pubblica (a naso, valida per la stragrande maggioranza degli articoli scientifici) SENZA prevedere una licenza libera, l’editore può distribuire gli articoli quando, dove e come vuole. Potrebbe ad esempio rendere accessibile un numero tematico di una rivista nel contesto di una conferenza scientifica, riportandolo poi a pagamento dopo la conferenza. Questa è una mossa pubblicitaria comunemente accettata nel mio ambito, ho sentito colleghi lodare l’operazione del tale editore per la gratuità con cui ha distribuito quegli articoli…
Al di fuori di quel recinto, l’editore potrebbe intentare cause contro chi producesse copia o distribuisse quegli articoli, cosa che è impedita in una licenza libera perché i diritti d’autore sono fortemente ridimensionati (sia se ceduti a una rivista, sia se mantenuti dall’autore). Al di fuori di questo recinto, Elsevir può chiedere a Sci-Hub 15 milioni di dollari per violazione del diritto d’autore.
Non capisco il panorama da censura descritto da di Biase in calce al suo commento. Se uno preferisce un rapporto fiduciario con una tale rivista c’è sempre la possibilità di comprarselo secondo i termini dell’editore, ma si lasci ad altri la libertà di distribuzione di un articolo (in integrità e con opportuna citazione, domini del diritto d’autore non trasferiti dalla licenza) se con le politiche di pubblicazione di quell’editore non sono d’accordo.
[…] Questa iniziativa è stata promossa sul sito web di ROARS – Return on Academic Research e sul blog di Open Knowledge International grazie a Michele Marchetto, nostro socio e autore dei […]