Se non ha creato il panico tra i ricercatori, poco ci è mancato. Stiamo parlando di una delle novità delle linee guida della prossima VQR, ovvero dell’obbligo (salvo una criptica eccezione) che i prodotti della ricerca sottoposti a valutazione siano liberamente e gratuitamente accessibili a tutti: «Salvo quanto previsto dall’art. 4, comma 2, lettera b), del decreto-legge […], i prodotti della ricerca di cui al comma 2 sono liberamente e gratuitamente accessibili a tutti in almeno uno dei seguenti repertori: a) Repository di ateneo; b) Open subject repository (ad es. PubMed, ArXiv); c) Discussion papers series; d) Siti web personali dei ricercatori.» Toccherà pagare le case editrici? Vista la retroattività ci saranno prodotti non valutabili perché non liberamente e gratuitamente accessibili? Cosa bisognerà fare in pratica? Molti di questi timori nascono dalla mancata conoscenza del ruolo dei Repository di ateneo nell’ambito della cosiddetta “via verde” all’Open Access, ma qualche problema rimane davvero aperto, soprattutto per le monografie.  In questo articolo proviamo a chiarire i termini della questione, evidenziando anche tre punti particolarmente critici che esigono chiarimenti o soluzioni.

1. Un po’ di storia

Arriva quasi inaspettato l’articolo 1 comma 3 delle Linee guida per la valutazione della qualità della ricerca 2015-2019.

Eppure per le istituzioni (e i dipartimenti), unico soggetto valutato da quanto si evince dalle Linee guida, questa non dovrebbe essere una sorpresa.

Le istituzioni (italiane) hanno infatti dato la loro adesione ai principi dell’open access già nel lontano 2004 a Messina dichiarando, come moltissime altre istituzioni al mondo,  il proprio sostegno alla Berlin declaration.

Le istituzioni (italiane) hanno poi riconfermato la loro adesione ai principi della Berlin declaration a dieci anni di distanza nel 2014 sempre a Messina. In questa occasione molte istituzioni italiane (50 per la precisione) hanno aderito alla roadmap 2014-2018. Anche il CNR ha aderito alla dichiarazione di Berlino e l’INFN è uno dei membri di Coalition S promotore di Plan S

Per comodità riportiamo qua la definizione di Open Access data nella dichiarazione di Berlino:

Establishing open access as a worthwhile procedure ideally requires the active commitment of each and every individual producer of scientific knowledge and holder of cultural heritage. Open access contributions include original scientific research results, raw data and metadata, source materials, digital representations of pictorial and graphical materials and scholarly multimedia material.

Open access contributions must satisfy two conditions:The author(s) and right holder(s) of such contributions grant(s) to all users a free, irrevocable, worldwide, right of access to, and a license to copy, use, distribute, transmit and display the work publicly and to make and distribute derivative works, in any digital medium for any responsible purpose, subject to proper attribution of authorship (community standards, will continue to provide the mechanism for enforcement of proper attribution and responsible use of the published work, as they do now), as well as the right to make small numbers of printed copies for their personal use.

A complete version of the work and all supplemental materials, including a copy of the permission as stated above, in an appropriate standard electronic format is deposited (and thus published) in at least one online repository using suitable technical standards (such as the Open Archive definitions) that is supported and maintained by an academic institution, scholarly society, government agency, or other well-established organization that seeks to enable open access, unrestricted distribution, interoperability, and long-term archiving.

Dal 2004 38 istituzioni hanno formulato una politica sull’accesso aperto alle tesi di dottorato, 29 istituzioni hanno formulato una policy o un regolamento per l’accesso aperto ai lavori di ricerca, 36 Istituzioni hanno incluso l’open access nei loro statuti.

2. Cosa c’è da fare (e già si fa) in pratica

Tutte le istituzioni dove sia stato vinto un ERC o un progetto H2020 o anche semplicemente un PRIN sottostanno alla regola per cui le pubblicazioni esito dei progetti finanziati dovranno essere pubblicate ad accesso aperto o seguendo la via verde (ripubblicazione di una versione del lavoro in un archivio istituzionale o disciplinare entro un periodo di 6/12 mesi dalla pubblicazione(*) o seguendo la via d’oro.

In un contesto di questo tipo quindi, di adesione, sostegno, promozione della scienza aperta (ricordiamo che la roadmap 2014-2018 dovrebbe aquesto punto essere giunta a compimento)  si inserisce l’art. 1 comma 3 delle Linee guida per la prossima VQR 2015-2019.

Le linee guida lasciano ampia libertà rispetto alla sede del deposito:

  1. Repository di ateneo (IRIS o simili)
  2. Open subject repository (PubMed, ArXiv);
  3. Discussion papers series;
  4. Siti web personali dei ricercatori

Sgombriamo il campo da alcuni errori di fondo:

Le linee guida non parlano di pubblicazioni nativamente open access, non chiedono che si sia pagato o si debba pagare ex post per rendere open le proprie pubblicazioni

Le linee guida chiedono che la pubblicazione sia depositata in un archivio e che sia open.

3. Le questioni aperte

Restano tuttavia alcuni punti non chiari che sarebbe bene che Anvur e il MIUR chiarissero alle istituzioni:

  • Non è specificato quale versione dei lavori può considerarsi accettabile per la valutazione. Verrebbe da dire la versione post print, (cioè la versione referata che contiene già tutte le indicazioni dei revisori ma non i loghi e il layout editoriale, il cosiddetto Author Accepted Manuscript). In questo caso in alcuni archivi di preprint (ad esempio Arxiv) non è detto che l’autore abbia aggiornato il lavoro con la versione post print e potrebbe per ora essere presente solo il pre-print
  • Poiché si fa riferimento alla legge 112/2013 che prevede per le pubblicazioni nazionali embarghi piuttosto lunghi per gli articoli, non è specificato se pubblicazioni con embargo definito secondo i termini di legge possano essere accettate (ad esempio se possa essere accettata una pubblicazione depositata in un archivio istituzionale ma con un periodo di embargo stabilito al termine del quale diventerà open)(**)
  • Per le monografie i cui autori non si sono riservati il diritto di ripubblicazione nell’archivio istituzionale si parla di accordi ad hoc con gli editori. Sarebbe importante specificare che ciò non comporterà costi per le istituzioni

Al di là delle polemiche e dei timori rispetto a questa nuova regola, abbiamo in questo momento come sistema tutti gli elementi per potervi dare seguito: politiche, strumenti, esperienza. Non dovrebbe dunque essere difficile realizzare anche qui in Italia ciò che in altri paesi è assolutamente la norma.

___________

*A scanso di equivoci, quando esiste un finanziamento di un ente che prevede l’accesso aperto, le politiche dell’editore si allineano con i tempi di quel mandato.

**Che le pubblicazioni con embargo definito secondo i termini di legge possano essere accettate potrebbe essere consentito dalla seguente clausola (di non immediata interpretazione): “Salvo quanto previsto dall’art. 4, comma 2, lettera b), del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112”.

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14 Commenti

  1. Scusate l’ingenuità, ma mi domando: se l’accesso ad una biblioteca (fisica) è gratuito e “open” a tutti, perché invece l’accesso via web deve essere a pagamento e/o riservato ad abbonati, associati, privilegiati vari?
    Quello che si cede è il diritto di sfruttamento commerciale, ma l’opera dell’ingegno resta sempre di esclusiva “proprietà” dell’autore. O no?
    Con l’embargo si costituisce una discriminazione tra pubblicazioni fisiche cartacee, accessibili liberamente nelle biblioteche pubbliche e private, e le pubblicazioni virtuali ad accesso riservato e/o a pagamento.
    Diciamo che sarebbe più che legittimo che l’autore stesso o chiunque ne acquisti una copia, la ponesse poi in libera visione accessibile in rete, purché non ne tragga utile.

    • Non è vero che l’accesso alle biblioteche “fisiche” è gratuito, non sempre lo è. Alcuni Dipartimenti lo limitano al personale e agli studenti, per fortuna per ora sono pochi casi. Alcune biblioteche sono entrate in contenzioso con le associazioni degli editori perchè concedevano i libri in prestito, vedi ad esempio qua

      https://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/cronaca/ticketlibri/ticketlibri/ticketlibri.html

      sinceramente non so come sia andata a finire.

      Nessuno ti toglie mai la “proprietà intellettuale”, ma se non hai potere contrattuale e sei costretto a firmare un contratto capestro, poi sei tenuto a rispettarlo. Ad un mio collega volevano impedire di fare le fotocopie di una decina di pagine di un libro scritto da lui stesso (e per cui non ha ricevuto un centesimo, anzi la pubblicazione è stata pagata con fondi del dipartimento). Una volta ho pubblicato un articolo su una rivista senza nemmeno riceverne una copia, oltre alle bozze. Non me la sono presa perchè era di un’associazione scientifica, non di un editore commerciale, e comunque aveva una moving wall di 36 mesi.

      Finché non avremo (o combatteremo per avere) maggior potere contrattuale, le cose continueranno ad andare in questo modo.

    • Si può chiedere l’embargo (a termine) per le tesi dottorato e le tesi di laurea sono soggette al consenso dell’autore.
      Ma la proprietà del frutto dell’ingegno è un diritto della persona che non può essere venduto o comprato. Può essere ceduto a fronte di un compenso e per un tempo limitato (max 50, 70 anni) solo lo sfruttamento commerciale.
      Ad esempio non è lecito mettere il nome di un altro su un articolo o un brevetto, anche a fronte di un compenso.
      Altrimenti anche la schiavitù sarebbe lecita se consenziente.
      Se ci fosse un contratto di questo tipo sarebbe vessatorio e dunque nullo per la legge italiana.

    • In commissione al Senato c’è un disegno di legge Gallo che riconosce all’autore – sia pure parzialmente, con l’esclusione delle monografie – il diritto di messa a disposizione gratuita e pubblica dei testi scientifici, come in Germania, Francia, Belgio, Olanda e altrove. Questo diritto, per non rimanere sulla carta, deve essere tale da superare anche eventuali clausole contrattuali contrarie. Al momento, l’Associazione Italiana Editori sta premendo perché la legge sia approvata in modo tale che il diritto rimanga sulla carta.

      Il destino della legge Gallo, proposta da M5S ma poco amata dal PD (v. emendamenti Rampi), ci dirà se il governo preferisce sostenere il diritto dell’autore, oppure limitarsi a un parziale open access amministrativo e istituzionale nel quale i ricercatori hanno, come di consueto, un ruolo soltanto passivo.

    • A prima vista mi sembra un disegno di legge vago, fumoso e foriero di ulteriore burocrazia. E’ senza dubbio positivo riconoscere all’autore il diritto di mettere online il proprio lavoro (ma in quale forma o versione?), ma esistono casi di autori effettivamente perseguiti perchè l’avevano fatto? E io come potrei fare valere questo decreto se pubblico per un editore non nazionale? (Premesso che tutte le volte che posso pubblico per editori open source o per società scientifiche, ma non sempre è possibile, negli altri casi) nei contratti che mi *impongono* i grandi editori vedo opzioni differenti esclusivamente per chi ha svolto ricerche finanziate dal governo USA. Evidentemente queste leggi di Germania, Francia, Belgio, Olanda non hanno proprio alcun effetto. Forse non ho capito bene io, e non ho certo il tempo di informarmi su tutto, ma mi sembra che una legge di questo tipo dovrebbe essere estremamente più chiara e porre vincoli stringenti. Fermo restando il problema dell’applicazione internazionale, per cui ci vorrebbe come minimo una normativa comune europea, e sarebbero necessari tutti i mezzi possibili per farla rispettare.

    • @franco Il disegno di legge Gallo ha due componenti:

      1. l’obbligo di OA per le istituzioni, ereditato dalla vigente legge del 2013
      2. il diritto di ripubblicazione o di messa a disposizione gratuita riconosciuto all’autore – vale a dire la proposta AISA pur depotenziata perché sono state escluse le monografie.

      Si tratta di due visioni dell’OA diverse e non necessariamente congruenti: la prima rivolta alle istituzioni, per imporre obblighi, la seconda rivolta agli autori, per riconoscere diritti.

      Il diritto di ripubblicazione per gli autori scientifici, già legge in quattro stati europei (Francia, Germania, Olanda e Belgio) ed approvato in Sudafrica, non è nulla di nuovo: è semplicemente una riproposizione di norme che in Europa sono state in vigore fino al 1908. Si è fatto, lo si può rifare: per molto tempo è stato scontato che la pubblicazione scientifica fosse sottratta all’editoria commerciale.

      Gli editori di solito non perseguono i singoli autori, ma le piattaforme, legittime e illegittime, che rendono disponibili i testi in modo sistematico e sistematicamente accessibile. Con i diritto di ripubblicazione, diventerebbe lecito agli autori, e dunque alle piattaforme bibliotecarie, ripubblicare in modo sistematico e sistematicamente accessibile.

      Che fare se l’autore firma un contratto con un editore non tedesco, francese, olandese o belga e questi impone il suo diritto? Un caso del genere sarebbe un’ottima occasione per verificare in giudizio, nei tribunali nazionali e internazionali, che cosa vuol dire “di ordine pubblico“. Sono dette di ordine pubblico le norme di un ordinamento giuridico così essenziali da non poter essere disapplicate tramite un contratto, neppure se questo contratto è stato stipulato all’estero sulla base di diritto estero. Per esempio, se un cittadino italiano si sposa con una seconda moglie in Arabia Saudita, in modo perfettamente regolare per le leggi locali, il suo secondo matrimonio non può essere riconosciuto in Italia.

      Certo, sarebbe meglio che la norma fosse europea e non nazionale: ma la presenza, nel cuore dell’Europa, di grandi stati che l’hanno nella propria legislazione, è un passo in questa direzione. E certo, è complicato, ma la complicazione deriva dalla mancanza di una riforma organica del diritto d’autore, cosa che costringe a procedere a pezzi e bocconi, e a ricorrere ai giudici.

      Ecco, infine, l’effetto della legge tedesca sull’editore De Gruyter: le poche riviste rimaste ad accesso chiuso sono ormai un caso residuale.

    • Maria Chiara Pievatolo, grazie per i chiarimenti (ovviamente sopra avevo scritto male “open source” al posto di “open access”).

      Ho però seri dubbi che il diritto dell’autore a ripubblicare, sempre se viene approvato, passi poi automaticamente senza ulteriori problemi alle piattaforme bibliotecarie.

    • Nella formulazione della legge Gallo non passa automaticamente, perché la ripubblicazione dipende dalla decisione dell’autore. Diciamo però che le piattaforme bibliotecarie e gli archivi istituzionali e disciplinari sono i luoghi in cui più facilmente l’autore, se vuole, può esercitare il suo diritto. Con una norma simile, infatti, la biblioteca potrebbe invitarlo a rendere disponibile il suo testo garantendogli e garantendosi una ragionevole protezione legale.

      La legge sudafricana (pagina 24, punto d) invece autorizza esplicitamente le biblioteche a esercitare il diritto di ripubblicazione per conto dell’autore, ritenendolo evidentemente distratto e in tutt’altre faccende affaccendato.

  2. Altre criticità che l’articolo in oggetto lascia aperte riguardano le pubblicazioni internazionali. I contratti di edizione relativi sono alquanto rigidi e solo in alcuni casi consentono la diffusione open dopo un periodo di embargo, oppure consentono il solo deposito green dell’original manuscript. In questo ultimo caso la valutazione dei prodotti sarebbe distorta dal fatto che non è consentita quella della versione definitiva. Quanto alle monografie, pare improbabile che MIUR-ANVUR riescano a fare accordi con tutti i principali editori scientifici del mondo. Così come è impostato, il decreto appare punitivo soprattutto per i dipartimenti dove si pubblica molto all’estero; potrebbe avere senso implementare gradualmente questi criteri da ora in poi, non imporli retroattivamente per le pubblicazioni degli ultimi 5 anni.
    Non va inoltre dimenticato che il lavoro tecnico dietro la pubblicazione di un libro o articolo, dal proofreading all’editing e all’impaginazione, anche senza calcolare i costi di stampa dell’eventuale cartaceo, non è poco, né di basso livello professionale. Rendere compatibile l’OA con un ragionevole margine di profitto degli editori (margine che si azzera totalmente, e con effetto immediato, ogniqualvolta un prodotto è reso, lecitamente o no, disponibile a tutti sul web) richiede molti investimenti, che il decreto non menziona né apparentemente mette in campo.

    • Ragionevole margine di profitto? A me risulterebbe che ora il margine di profitto dei grandi editori scientifici supera abbondantemente il 30% (ovviamente il discorso può cambiare se mi parli di un piccolo editore artigianale).

      https://www.roars.it/christmas-is-over-research-funding-should-go-to-research-not-to-publishers/

      https://en.wikipedia.org/wiki/The_Cost_of_Knowledge

      Cito da wikipedia: Historically, publishers performed services including proofreading, typesetting, copyediting, printing, and worldwide distribution. In modern times, all researchers became expected to give the publishers digital copies of their work which needed no further processing – in other words, the modern academic is expected to do, often for free, duties traditionally assigned to the publisher, and for which, traditionally, the publisher is paid in exchange.

      In sostanza, lavoro gratis, oltre al mio lavoro faccio anche quello del tipografo e non solo non vengo pagato, ma sono io che devo pagare. Inoltre, la mia massima aspirazione è che altri leggano il mio lavoro, e per farlo anche loro dovranno pagare… Gli editori sanno che questa situazione non potrà durare all’infinito e che non esistono galline dalle uova d’oro, per questo puntano sulla bibliometria. Ma anche i dati bibliometrici sono creati dagli studiosi, questo credo che sia il nuovo terreno di scontro. Al di là delle opinioni che si hanno sul valore dei dati bibliometrici, anche questi sono creati dagli scienziati e sono frutto del loro lavoro. Va considerato un profittatore chiunque ci lucri sopra, al di là, appunto, di un ragionevole margine di guadagno per il servizio svolto di aggregare e catalogare dati. Margine di guadagno che, anche in questo caso, allo stato attuale è assolutamente e irragionevolmente alto. (Lavoro tra l’altro fatto coi piedi, perchè ci sono altrettanti errori su Scopus o WoS che su Scholar)

  3. Le pratiche di pubblicazione sono tra le più variegate, e non tutte le pubblicazioni beneficiano del contributo di fondi pubblici: sono queste due, a mio avviso, le maggiori criticità legate all’applicazione del criterio. Se tutto ciò che è valutato deve essere pubblicamente accessibile, necessariamente si tenderà a privilegiare per la valutazione due categorie di prodotti: quelli già in open access (che sono una minoranza, purtroppo) e quelli, pubblicati in Italia o all’estero, che possono ricadere sotto la casistica prevista dalla legge 112 del 2013, ossia per le quali si è fatto uso di fondi pubblici. Questi ultimi prodotti, però, potranno essere sottoposti solo dopo la fine dell’embargo, che è di due anni per i settori umanistici: tutto ciò rischia a sua volta di falsare l’esercizio di valutazione, schiacciandolo sul periodo 2015-2017 e sottorappresentando il periodo 2018-2019. Non vedo, invece, uno specifico problema per le monografie: se tali pubblicazioni hanno beneficiato di fondi pubblici, con la conseguente specifica riportata nel colophon, trascorso l’embargo potranno essere sicuramente rese disponibili, anche se esiste un eventuale contratto che stabilisce il contrario, dato che il contratto stesso violerebbe una legge dello Stato italiano.

  4. Ecco che i nodi vengono al pettine.
    1. In biblioteca è gratis da subito, a meno che gli editori non attendano la fine dell’embargo per vendere le copie alle biblioteche.
    2. Il finanziamento pubblico (o privato, perché no?) non è necessariamente alla pubblicazione. Infatti questa è solo l’esito finale di una (lunga) attività di ricerca di personale stipendiato e finanziato, in strutture e con attrezzature e materiale di consumo e con il supporto di personale tecnico amministrativo sempre stipendiato.
    Sappiamo che i proventi di brevetti di un dipendente pubblico o privato appartengono alla struttura di riferimento, non al singolo “autore”.
    Quindi anche i brevetti dovrebbero essere “open”? Sì, già lo sono. Ma se qualcuno vuole sfruttarne gli esiti commerciali deve pagare i diritti alla struttura titolare del brevetto.
    Si può guardare, ma non toccare, come si insegna ai bambini.

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