«La follia docimologica, l’ossessiva ricerca di un’oggettività introvabile – e per ciò stesso fatalmente virata su criteri quantitativi e cioè fasulli – hanno dato un colpo mortale alla ricerca scientifica. Far dipendere il valore di un saggio dalla reputazione della rivista che lo ospita è esattamente come dire che l’uomo vale per l’abito che indossa. La lettura non serve e infatti non è più prevista. Non si scrive per essere letti, ma per essere citati. E non sempre si scrive quello che si vuole, bensì quello che si pensa che piacerà ai referee. E così la valutazione ottiene l’effetto di non valutare, di mal valutare o di valutare alla rovescia, rivelandosi a occhi non prevenuti per quello che è: un costoso e stolido sistema fatto apposta per promuovere piattezza, conformismo e furberia.» Traendo spunto dal volume di Davide Canfora, Il fucile di Marc Bloch. in difesa degli studi umanistici, Castelvecchi, 2017, Walter Lapini riflette criticamente su ANVUR e le sue pratiche valutative, auspicando una decisa marcia indietro rispetto alla strada che si e deciso di intraprendere nel 2006.

Di recente Davide Canfora ha pubblicato con l’editore Castelvecchi un elegante pamphlet che ha come titolo «ll fucile di Marc Bloch» (Roma, 2017, pp. 72) e come obiettivo la difesa degli studi umanistici e degli studi in genere. Beninteso il Canfora non è l’unico a trattare questi temi, ma è il più schietto e coraggioso. Non a caso le pagine più incisive sono quelle che riguardano la valutazione dei professori universitari, questione delicata e pericolosa.

L’ex ministro Fabio Mussi, il noto statista di Piombino, membro del clan di toscani e toscanoidi che per più di vent’anni ha egemonizzato la pubblica istruzione, si inventò l’Anvur, l’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca, un moloch che costa una fortuna allo stato e a cui lo stato ha dato mano libera sull’università. L’Anvur controlla tutto, interviene su tutto, ha potere di vita e di morte su corsi di studio, dipartimenti, dottorati. Fissa parametri irraggiungibili, impone procedure tortuose che cambiano all’improvviso non appena uno ne ha imparato il funzionamento. Prende decisioni in solitudine, non discutibili e non trattabili. Invia i suoi missi dominici nelle università per vedere chi obbedisce e chi no, e a chi non obbedisce taglia i fondi e quindi l’ossigeno. Verrebbe da dire che è un organo messo lì apposta per ostacolare sia la didattica che la ricerca con il pretesto di favorirle.

Essendo la nostra una società che notoriamente promuove il merito, tutti debbono essere valutati. La valutazione è anzi più importante del suo stesso oggetto, come dimostra il fatto che per pubblicare i libri i soldi non ci sono, per valutarli invece sì. Possono gli universitari sfuggire alla valutazione? Naturalmente non possono. Anzi molti la sollecitano, nell’ingenua fiducia che l’Anvur dividerà i bravi dai somari, il grano dalla pula. Ma poiché visionare milioni di articoli è impensabile, l’Anvur ha partorito l’idea fine di mondo: valutarli sulla base del prestigio (spesso autocertificato) della rivista che li pubblica.

E così i giovani sono costretti a mettersi in coda per accedere alle riviste di fascia A, quelle con il ranking più alto, per la gioia dei tanti direttori-satrapi che possono porre condizioni, tessere alleanze, formare cartelli, spianare la strada a servi e segretarie e tenere fuori della porta gli indesiderati e i ribelli. Gli articoli vengono spediti anonimi a giudici anonimi detti referee, ma l’anonimato è una farsa, poiché basta un clic per capire chi ha scritto cosa e giudicare secondo simpatia o convenienza. Ma anche lasciando da parte la malafede, chi protegge gli autori dai referee ignoranti o stupidi? Il sistema non funziona e tutti lo sanno, ma siccome lo usano all’estero deve andare bene anche per noi. Una valutazione imperfetta, si dice, è meglio che nessuna valutazione; una cosa mal fatta è meglio di nessuna cosa. Dipende. Una brutta vacanza sarà pure meglio che nessuna vacanza, ma chissà se una cura sbagliata sia sempre meglio che nessuna cura.

Altra cosa che si sente dire è che la critica senza alternative è sterile: bisogna essere propositivi, inventarsi soluzioni nuove. Il nuovo, il nuovo, viva il nuovo. Ma in mezzo secolo di vita io non ho visto una sola riforma, non una, che non peggiorasse le cose, e mi chiedo perciò se a volte il vero progresso, la vera novità rivoluzionaria, non consista semplicemente in un’onesta marcia indietro. La follia docimologica, l’ossessiva ricerca di un’oggettività introvabile – e per ciò stesso fatalmente virata su criteri quantitativi e cioè fasulli – hanno dato un colpo mortale alla ricerca scientifica. Far dipendere il valore di un saggio dalla reputazione della rivista che lo ospita è esattamente come dire che l’uomo vale per l’abito che indossa. La lettura non serve e infatti non è più prevista. Non si scrive per essere letti, ma per essere citati. E non sempre si scrive quello che si vuole, bensì quello che si pensa che piacerà ai referee. E così la valutazione ottiene l’effetto di non valutare, di mal valutare o di valutare alla rovescia, rivelandosi a occhi non prevenuti per quello che è: un costoso e stolido sistema fatto apposta per promuovere piattezza, conformismo e furberia. Nell’era del publish or perish, l’importante è scrivere: il cosa e il come sono secondari, un lusso che non ci si può permettere.

(articolo pubblicato su «Il Secolo XIX»)

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24 Commenti

  1. Da cosa nasce il problema?
    Evidentemente nasce dal fatto che, ad un certo punto della Storia,
    il sistema di valutazione in essere nel sistema Università-Ricerca perde di credibilità, in quanto auto-referenziale. Il sistema di cooptazione dall’alto,
    viene messo in discussione, perché è l’elite sovrastante, e cooptante, che non viene riconosciuta più come tale. La cosa durava da tempo, ma
    vi è un momento (più o meno l’epoca della costituzione dell’Euro) in cui si creano le condizioni politiche per passare dalle parole ai fatti. Condizione essenziale per passare all’Euro, cioè di fatto rinunciare alla sovranità nazionale, è che la popolazione creda che DEVE ESSERE SALVATA DA SE STESSA… Gli italiani devono credere di aver bisogno di un vincolo esterno, che l’Italia è il regno della corruzione e all’esterno dell’Italia vi è invece ‘L’Europa’, il regno della Virtù. Affinchè le cose vadano al loro posto, occorre che gli italiani non si autogovernino più e che si lascino invece governare da ‘Leuropa’ divinità benigna e, naturalmente, disinteressata.
    Tante cose sembrano incredibili, eppure sono. Questa è una di quelle, intendo dire questa: che gli italiani, incredibilmente, credono a questa storiella (o ‘narrazione’ come va di moda dire oggi, e meno male che una volta tanto è prevalso un termine della lingua italiana, e non ‘story telling’… ma questo è un altro discorso, seppur collegato).

    Per farla breve, è chiaro che è essenziale alla storiella, di cui sopra, per essere creduta, che essa sia ben congegnata e strutturata, e a tal fine è funzionale che ogni elite sia screditata, e l’elite Universitaria è la prima a doverlo essere. A questo punto la necessità politica (di entrare in Europa)
    si salda con i mugugni che covavano da decenni nel sistema. In effetti, quanto casi di nepotismi, soprusi baronali etc si sono verificati nel tempo.
    Ricordo casi che non esito a definire raccapriccianti: finte email spedite ‘per sbaglio’ (in realtà davvero) in cui presidenti di commissione vengono
    assimilati a dei capi-mafia, per il fatto di aver bocciato candidati ritenuti
    nettamente migliori (e probabilmente che lo erano davvero). Insomma,
    un vero casino, che rivelava l’assoluta incapacità del sistema di accettare i verdetti di una commissione. Si partecipa ai concorsi, se va male poi si urla. Eppure non è la stessa cosa per le cause penali e civili? Si è forse sovvertito il codice di procedura penale per il fatto che vi possono essere stati errori giudiziari? E comunque come non riconoscere il nepotismo, il leccaculismo etc etc. Lo abbiamo visto tutti, come potremmo negarlo?
    Insomma, un marasma perfetto per i politici dell’epoca, il cui unico scopo era servire Leuropa (cioè fottere il popolo, come sinteticamente direbbe un ‘populista’). Quando fu decisa la costruzione dell’ANVUR era ovvio che in quel marasma non sorgesse nessuna opposizione e che l’opinione dominante fosse: meglio qualcosa che niente…

  2. Ricopio un’affermazione di Walter Tocci, che spiega bene la situazione. Il testo è preso da qui: http://waltertocci.blogspot.it/2016/07/rete-castello-valutazione-mite.html

    La quota di risorse ripartita in base alla valutazione viene chiamata “premiale”, anche se non premia quasi nessuno, semmai penalizza in diversa misura. I migliori atenei riescono a limitare i danni e cercano le risorse aggiuntive nei bandi liberi, ormai solo europei. Per gli altri i tagli non sono più una “cattiveria” del governo, ma diventano una “colpa” certificata dall’Anvur. L’agenzia ha pagato un prezzo caricandosi l’onere delle scelte che i ministri non avevano il coraggio di assumere direttamente. Ridurre i finanziamenti non appare più una decisione politica, ma una condanna morale. Chi la subisce non è neppure legittimato a protestare, gli algoritmi dicono che ha meritato la sanzione. Così l’università italiana ha accettato la più grande riduzione di risorse della sua storia. Non è un caso isolato, è un dispositivo ampiamente utilizzato nella crisi politica europea. Il debito si tramuta in colpa nello Zeitgeist della Schuld.

    • Mi sembra che il senatore Tocci non abbia realizzato il mostro che ha contribuito a mettere in piedi. La valutazione mite non la si fa dopo aver costruito un pezzo di unione sovietica come ANVUR.

    • Infatti, se non sbaglio, ‘debito’ e ‘colpa’ sono tradotti in tedesco ‘Schuld’, con la stessa parola. E’ una cosa che notai, e che mi colpì, tanto tempo fa, non credo di ricordare male (e ora mi secca controllare). Certo è che lo Zeitgeist bisogna dirlo in tedesco, perché è da lì che viene: Leuropa è esattamente lo strumento con il quale la Germania sta ottenendo ciò che non le era riuscito con due guerre mondiali.

    • Delle pratiche scientifiche dell’Unione Sovietica qualcosa si sa,
      anche perché un non piccolo numero di capi-scuola in molte discipline viene da li, o dai paesi satelliti europei dell’URSS.
      Una ‘pratica scientifica’ certamente era questa: i professori o i ricercatori (delle varie Accademie delle Scienze) avevano uno stipendio base, e poi venivano pagati tanto di più quanto più articoli pubblicavano. Non conosco i dettagli, se contava la rivista, il numero di autori etc. presumo però che si dividesse per il numero di autori, altrimenti immaginatevi il casino economico:
      gente che ti chiede di essere messa nella lista degli autori offrendoti in cambio una parte del premio, etc etc. Vabbè che
      nei paesi del campo socialista tutto poteva succedere, ma
      dare lo stesso punteggio senza dividere fra gli autori sarebbe troppo. Queste cose nemmeno nel Paese delle Meraviglie di Alice possono succedere…
      Comunque credo sia una pratica sopravvissuta negli attuali ex-paesi del Patto di Varsavia.

      Se è così è comunque meglio che l’ANVUR: infatti si tratta di PREMI (di ‘produzione’), non di finanziamenti per l’acquisto di beni strumentali.

  3. Questa della ‘premialità’ mi sta sullo stomaco da quando l’hanno istituita all’interno dell’ateneo per compensare, secondo loro, il blocco degli scatti stipendiali ( se non ho capito male). Dunque mi riferisco a questa e non a quella distribuita dal ministero a certi atenei ‘meritevoli’, della quale dovrebbero occuparsi e preoccuparsi i rettori e la Crui.
    Funzionava così: si doveva fare una richiesta impostata su certi parametri, tra cui i ruoli istituzionali. Mi è sembrato che questo tipo di impostazione abbia spinto ad accumulare ruoli, studenti, esami, tesi ecc. Creando sperequazioni importanti perché se aumenti da una parte diminuisci da un’altra o se tiri la coperta da una parte ne scopri un’altra. comunque il premio non era garantito perché lo davano ai più meritevoli tra i più meritevoli in graduatoria. Finché duravano i soldi. Mi è sembrata da subito una procedura ignobile e dannosa.

  4. E se penso che alcune ideuzze mie, piccinine ma graziosette, sono state riprese da altri, senza darmi il minimo contentino, anche delle citazioni penso maluccio. Invece ho letto citazioni di questo tipo: perché come dice XY, in italiano “buon giorno” si dice Buon giorno (esagero un tantino).

  5. Mi pare francamente un articolo superficiale. Siamo tutti d’accordo, credo, che l’ANVUR abbia ormai diritto e di vita di morte su tutto l’ambiente accademico italiano, e le storture del sistema di referaggio saranno anche tante; io però registro – grazie alla mia età relativamente giovane, ma contemporaneamente non tanto verde da non ricordare come si pubblicava prima sulle riviste – un sostanziale miglioramento: le procedure saranno anche farraginose, basterà anche un clic per risalire all’autore anonimo (ma con i necessari accorgimenti di cui Word dispone, e fidando sull’imperizia informatica di tanti colleghi – almeno nel mio settore umanistico – è possibile garantire una certa sicurezza in proposito), e i direttori tesseranno (come prima) le loro tele – però devo dire di aver imparato talvolta anche tanto da giudizi più o meno netti, più o meno pregiudiziali, ma che dimostravano di aver letto con un gradi accettabile di profondità quel che avevo scritto; ciò che prima invece non avveniva affatto.
    E ancora una cosa: Fabio Mussi avrà anche tanti demeriti, ma addossargli anche quello di essere toscano o toscanoide (?) come Renzi mi pare sia proprio una faciloneria di questi anni, basta scagliarsi contro la Ka$ta, no?
    P.S.: nonostante tutto, e nonostante il fatto che questo testo sia tutto fuorché una recensione, mi ha messo voglia di leggere il libro di Davide Canfora

    • A lei registra un sostanziale miglioramento? Ci possono essere varie spiegazioni: la giovane età; gli universi paralleli; …

  6. Personalmente non avrei creduto che in vent’anni le cose sarebbero peggiorate a tal punto e che un sistema semi-dittatoriale e privo di ogni sensatezza si sarebbe affermato con tanta facilità. Evidentemente hanno preparato bene il terreno e la società in cui viviamo immersi non è un granché. Abbiamo perso in ogni senso e da ogni parte.

  7. “Valutare senza leggere” ma soprattutto

    “Aver scritto senza avere saputo che quella rivista sarebbe o non sarebbe stata di classe A”:
    Questa politica parlamentare, governativa e universitaria è da condannare perché esclude le persone soprattutto sulla base della fortuna/sfortuna in relazione alla inconsapevolezza 10 anni fa circa la classe A.
    E quando in una cosa, nella vita, pesa troppo la fortuna o la sfortuna, quella cosa è da cambiare.
    Queste cose andrebbero scritte anche nei ricorsi al TAR, come considerazioni di carattere generale, oltre, ovviamente ai singoli motivi di ricorso.
    Cioè, il giudice deve capire che tutto il sistema di ora è assurdo, della serie “come ti muovi, sbagli”, oltre ai singoli motivi di ricorso.

    • In genere però la ‘classe A’ raccoglie sempre riviste ben note come ‘prestigiose’ da lungo tempo. Certo da molto più di 10 anni. Sul valutare senza leggere sono d’accordo. E neppure c’è la scusante dei troppi candidati. Alla ASN spesso i candidati sono in numero perfettamente gestibile. Insomma quando ci sono 15 candidati, ognuno dei quali presenta 15 lavori, non mi sembra che ci sia un aggravio di lavoro rispetto ai vecchi concorsi di una volta…
      Eppure è sicuro che, sostanzialmente, il risultato dipende
      dalla ‘qualità’ delle riviste. Chi dice che ciò che conta è il lavoro, non la rivista, sappia che le commissioni si regolano seguendo il criterio esattamente opposto: ciò che conta E’ PROPRIO la rivista, e non il lavoro (che nemmeno viene letto).

      Il problema è proprio questo: con tutta la buona volontà, è veramente dura affidarsi al giudizio di una commissione, quando si ha la sensazione NETTA che quella commissione esprime giudizi SENZA LEGGERE attentamente i lavori..
      C’è poco da fare la sensazione è netta. E’ vero che la Scienza non è democratica (dovrebbe essere meritocratica) e che non può essere che i candidati giudichino le commissioni, e che ovviamente deve valere il contrario. Ma come si può far finta di nulla?

    • @Francesco1: e’ un triste segno dei tempi che certe pessime pratiche vengano ormai considerate “normali”. Certo, si sa da sempre che certe riviste sono “piu’ quotate” di altre. Come da sempre la “reputazione”, per quanto imponderabile gioca un ruolo. Ma altro e’ che un agenzia di dilettanti della valutazione (perché tecnicamente tali sono gran parte dei componenti del direttivo anvur) decida, oggi per ieri e l’ altro ieri, una scala e criteri quantitativi che *sostituiscono* in grandissima parte la valutazione autonoma delle commissioni.
      .
      Molto meglio una commissione costretta a mettere nero su bianco i propri criteri che una che si trincera dietro la falsa “oggettività” di classi di riviste o Impact Factor.
      .
      E anche a guardare in prospettiva futura, che valutazione e’ un meccanismo che interviene a modificare il modo stesso di far ricerca nel pilotare pesantemente la sede di pubblicazione dei risultati?

  8. @Francesco1:
    mi fido di Lei, ma
    una precisazione:
    io ho scritto “10 anni”, perché tra i valori soglia, ci sono quelli del tipo ad es. “occorre aver scritto in classe A almeno 2 o 5 articoli negli ultimi 10 o 15 anni” dipende la posizione alla quale uno ambisce.
    Il problema è che 10 anni fa o 15 anni fa non esisteva la classe A, e quindi uno non sapeva dell’esistenza classe A, non sapeva che stava per mandare un lavoro ad una rivista di classe A o non di classe A:
    a questo punto dipende dalla fortuna o dalla sfortuna…..se lo avesse saputo…..ma come faceva?
    Infine, una cosa propria della scienza giuridica e non solo:
    i contributi in volume (ad es. enciclopedia del diritto, enciclopedia giuridica Treccani, Digesto) ecc….e i contributi nelle opere collettanee,
    ce ne sono di importantissimi, molti sono citati un sacco di volte, ma non sono contenuti in riviste e quindi non sono classificabili,
    ma l’ANVUR ha deciso che sono ontologicamente meno di A, e questo è uno scandalo!

    • Dal punto di vista giuridico ha ragione lei: non esisteva la classe A, quindi come poteva regolarsi? Il problema vero è che, visti come sono fatti i concorsi dell’ASN, è difficile che questo possa essere determinante ai fini dell’esito finale. Anche ammesso che l’ANVUR avesse deciso di non applicare la classe ai lavori anteriori a 10 anni fa, la commissione avrebbe probabilmente esteso i suoi giudizi anche a questi lavori. Anzi sarebbe stato peggio: in mancanza di una classificazione, la classificazione l’avrebbe fatta la commissione stessa, Insomma: se lei è uno di quelli predestinati a vincere, vince lo stesso, classe A o classe B poco importa. Se invece è predestinato a perdere…
      Questa è la realtà purtroppo, ne sono assolutamente convinto.

  9. @Francesco1,
    ……perdo lo stesso, lo so.
    condivido in pieno.
    Molte volte questo dipende anche
    da simpatie, da antipatie, da un’occhiata storta alla cena di un convegno,
    dal fatto che un maestro ruba l’amante ad un altro maestro,
    dall’appartenenza a logge varie,
    da vendette personali,
    da fraintendimenti,
    da appartenenze a famiglie,
    dal fatto che il proprio maestro va in pensione,
    dall’appartenenza a scuole che si sono già spese per altri della stessa scuola e non se la sentono di rompere le scatole alla stessa commissione,
    dal fatto che chi deve sponsorizzare non si sente di farlo perché non si vuole esporre altrimenti….,
    insomma da un sacco chi cose imperscrutabili,
    ed infine dal merito.

    • Infatti l’IDEALE di una ‘valutazione automatica’, nasce innanzitutto perché le commissioni non sono affidabili al 100 per 100 (e talvolta anche molto meno del 100%, diciamo meno del 2%, ma sono anche questi casi patologici). Ma non solo per questo.
      Per ‘valutazione automatica’
      intendo (come ho scritto in un’altra discussione, più recente di questa) qualcosa che comunque non è totalmente automatica, perché comunque è basata su pubblicazioni (e i lavori non sono pubblicati ‘automaticamente’ : richiedono il giudizio di revisori e editori). D’altra parte, se i giudizi che una commissione dà sono
      del tipo di quelli che ho osservato in una ASN (che non cito ma ne ho parlato sopra), e cioè basati unicamente sulla classe della rivista e se la rivista appartiene al settore oppure no (cioè nessun confronto o giudizio per articoli pubblicati in classe A, tutti uguali fra loro… e nessun giudizio per articoli in classe A, ma con rivista non inclusa nel settore, pur essendo l’articolo chiaramente del settore). Insomma se i giudizi sono dati così, allora E’ MEGLIO che una commissione non venga proprio nominata: è il candidato stesso che può calcolarsi il punteggio, e alla fine esigere ciò che deve esigere (un posto, una posizione di ordinario, un premio o quello che è). E’ molto meglio, perché eviti di leggere cose di questo tipo: ‘il candidato ha visibilità’ e per un’altro commissario ‘il candidato non ha visibilità’, cosa che denota chiaramente l’indeterminazione del concetto di ‘visibilità’… Quindi il primo commissario ha interpretato la ‘visibilità’ come una duplicazione di un’altro concetto (ha pubblicato su riviste di livello internazionale) l’altro commissario come un semplice ‘è conosciuto’ (che ha un corollario: io non lo conosco, mai sentito ergo non è visibile. Che ha un altro corollario, indicibile : a che gruppo appartiene? o peggio: chi lo raccomanda?). I pochi giudizi espressi sono scarni e mascherati da avverbi del tipo ‘complessivamente’. Se il giudizio è arbitrario
      tutto può essere, ad esempio uno dei candidati che hanno passato la ASN aveva nell’elenco cinque o sei lavori, ben pubblicati tutti nel 2017: se non lo si voleva far passare, sarebbe bastato far notare che tutti questi lavori erano a doppio nome, sempre gli stessi due nomi. Bastava far notare che il candidato ha prodotto i suoi lavori sempre con la stessa persona, per sminuirlo. Invece la commissione ha esaltato l’unico lavoro presentato a nome singolo (tuttavia il candidato ha anche lavorI, sic, a nome singolo, il che conferma la sua autonomia…).
      Un altro (passato) ha avuto il seguente giudizio positivo (udite udite): il candidato ha lavorato con persone di chiara fama nel settore. Peccato che ad un altro candidato, che aveva anche un nome grosso, anzi gigantesco, in uno dei suoi lavori, questo fatto sia stato completamente ignorato… E comunque che razza di criterio è aver lavorato con un grosso nome?
      E’ antiscientifico per definizione, tanto è vero che A RIGORE (poi non lo fanno tutte le riviste) gli articoli sono mandati in revisione senza autori. Non lo fanno tutti perché è facile risalire all’autore, ma è il principio che conta, che è eminentemente scientifico: il lavoro è interessante o importante NON perché lo ha scritto Caio o Sempronio, ma perché LO E’.

      Ma se tutti questi criteri sono lasciati ai commissari, succede di tutto. E comunque è ridondante: le pubblicazioni sono già state revisionate e accettate da qualcuno. I commissari dovrebbero solo stabilire, in caso di parità di rivista, quale articolo è migliore fra due canditati. Ma non lo fanno, e a questo punto è meglio che non lo facciano, perché i conflitti ci sono sempre in una comunità piccola.

      L’altro motivo per cui sarebbe auspicabile una valutazione automatica (in questo senso) è che l’esclusione dei ‘commissari’ dalla valutazione renderebbe gli operatori del settore (I ricercatori in senso lato) molto più liberi e indipendenti da una ‘famiglia’ di appartenenza. Il problema è che la libertà non piace a molti, che la barattano molto volentieri col sistema ‘baronale’ che, se non fai errori tipo quelli che elenchi tu, è molto più protettivo e da molta più sicurezza di un sistema in cui puoi contare solo sulla tua capacità personale.

    • Marco Bella ha già risposto efficacemente a questi argomenti. E vale sempre il discorso dei soldati mandati in guerra senza proiettili e fucile.

    • X GDN : naturalmente si, abbiamo un problema più grosso, lo Stato Maggiore, alla richiesta di armi risponde: prendetele al nemico..

  10. Io separerei la valutazione della produzione scientifica, tipo VQR, che serve a distribuire finanziamenti (o tagli degli stessi, che dir si voglia) dalla valutazione comparativa dei candidati ad un concorso.
    Nel primo caso si dovrebbe guardare solo al risultato prodotto, infischiandosene di CHI lo ha prodotto. In questa logica determinati meccanismi di “valutazione automatica” (non oso chiamarla “oggettiva”, perche’ oggettiva non lo sara’ mai) possono avere un senso, soprattututto se applicati a numeri elevati, ove i meccanismi di valutazione puntuale, nel merito, si scontrano con l’enorme mole di lavori da valutare.
    Al contrario, invece, nel caso di una valutazione comparativa fra una decina di candidati in lizza per un posto, secondo me si devono valutare le persone, e non i loro “prodotti”. Tutte le volte che sono stato in commissione di concorso ho sempre cercato di fare questo, andare al di la’ della valutazione della produzone dei candidati, per cercare di inquadrare e valutare la persona nel suo assieme, e soprattutto la sua idoneita’ a ricoprire il ruolo per il quale concorre.
    Se tutte le commisisoni di concorso avessero sempre operato cosi’, non sarebbe stato possibile far “galleggiare” candidati inidonei mettendo il loro nome su articoli scritti da altri, ben piu’ meritevoli, e posizionati in riviste “top” grazie alle conoscenze o alla fama di uno degli autori.
    Ma mi rendo conto che valutare le persone e’ assai delicato, espone i valutatori a rischi che nessuno vuole piu’ assumersi, meglio un bel foglio Excel con delle formulette che ti danno il punteggio di ciascun candidato, “oggettivo” e dunque non contestabile…

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