«(…) La prospettazione offerta dalla commissione giudicatrice, nelle parole del suo presidente Neri Serneri, è falsa: essa è macroscopicamente falsa posto che la semplice lettura della declaratoria del settore ICAR/18 smentisce la conclusione cui la commissione è pervenuta. Nell’ambito delle stesse precisazioni, la commissione giudicatrice afferma che “nella declaratoria di altri settori scientifico-disciplinari non compare la storia urbana del territorio come settore scientifico disciplinare a sé stante o ricompresi entro altri settori scientifici disciplinari diversi da 11/A3 M-Sto/04. L’affermazione è falsa: macroscopicamente falsa. […] Scrivono i commissari nel verbale che “tanto la normativa quanto la prassi didattica e scientifica considerano la storia urbana , del territorio e dell’ambiente ambito pienamente interno alle discipline storiche propriamente intese e dune al settore M-Sto/04”. L’affermazione è falsa, quanto alla normativa. Quell’affermazione è indimostrata, quanto alla prassi.». Il Tribunale penale di Catania ha reso note le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti dei commissari del concorso di Ricercatore a tempo determinato di tipo A per il settore concorsuale 11/A3 – Storia contemporanea – settore scientifico disciplinare M-Sto/04 Storia contemporanea, indetto dall’Università degli Studi di Catania l’11 agosto 2011. La sentenza condanna gli imputati a un anno di reclusione e al risarcimento del danno arrecato al Dr. Giambattista Scirè. Ne pubblichiamo alcuni estratti oltre a renderla disponibile in forma integrale.
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SENTENZA DI CONDANNA
Il Tribunale penale di Catania , sezione Terza, in composizione collegiale in persona dei membri
Dott.ssa Maria Pia Urso, presidente (estensore)
Dott.ssa Consuelo Corrao (Giudice)
Dott.ssa Barbara Rapisarda (G.O.P.)
ha pronunciato la sentenza di condanna nei confronti di
Neri Serneri Simone, Masella Luigi, Staderini Alessandra,
imputati del reato p. e p. dagli artt. 110 e 323 c.p. (abuso di ufficio in concorso tra loro)
perchè agendo in concorso tra loro, nelle rispettive cariche di presidente (Neri Serneri), di componente (Masella) e di segretario (Staderini) della commissione giudicatrice della selezione pubblica per la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato per lo svolgimento di attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti per il settore concorsuale 11/A3 – Storia contemporanea – settore scientifico disciplinare M-Sto/04 Storia contemporanea, indetta dall’Università degli Studi di Catania l’11 agosto 2011, in evidente violazione delle disposizioni del bando e dei parametri fissati dal decreto ministeriale del 4 ottobre 2010 per il settore M-Sto/04, attribuivano punteggi positivi ai titoli posseduti dalla candidata Melania Nucifora in aree disciplinari attinenti alla storia e alla trasformazione del territorio e del paesaggio, all’evoluzione degli insediamenti industriali, alle politiche comunitari per l’ambiente e l’archeologia industriale, nonché all’insegnamento di “storia dell’architettura”, nonostante l’evidente e totale incongruenza dei predetti titoli con il settore scientifico disciplinare “storia contemporanea” e la loro pertinenza ad altri settori scientifico-disciplinari (Icar 15 e Icar 18 estranei al bando). Ed in tal modo intenzionalmente arrecavano un ingiusto vantaggio patrimoniale alla candidata Nucifora dichiarandola la candidata migliore cui seguiva, in data 28 dicembre 2011, la stipula del contratto di lavoro con l’Università di Catania. Commesso in Catania il 20 dicembre 2011.
(…) La prospettazione offerta dalla commissione giudicatrice, nelle parole del suo presidente Neri Serneri, è falsa: essa è macroscopicamente falsa posto che la semplice lettura della declaratoria del settore ICAR/18 smentisce la conclusione cui la commissione è pervenuta. Nell’ambito delle stesse precisazioni, la commissione giudicatrice afferma che “nella declaratoria di altri settori scientifico-disciplinari non compare la storia urbana del territorio come settore scientifico disciplinare a sé stante o ricompresi entro altri settori scientifici disciplinari diversi da 11/A3 M-Sto/04. L’affermazione è falsa: macroscopicamente falsa. Premesso che non è certo dall’eventuale assenza di un settore scientifico disciplinare a sé stante che sarebbe potuta derivare, in tesi, l’inerenza della storia urbana del territorio al settore scientifico disciplinare 11/A3 M-Sto/04 (come se l’inclusione di una disciplina nel settore dipendesse dall’indisponibilità di altro settore scientifico disciplinare a sé stante in cui collocare utilmente la disciplina: opzione non solo non prevista dalla normativa di settore ma neppure desumibile da una eventuale lettura evolutiva dei contenuti scientifico-disciplinari che, come era noto alla commissione giudicatrice, risponde a ragioni di ordine sistematico), osserva il Collegio che di storia urbana del territorio si discute in altri settori: ICAR/18, ad esempio. A riscontro della non condivisibilità della progettazione offerta dalla commissione giudicatrice soccorre l’allegato al decreto ministeriale. Nel disciplinare le affinità tra i settori, l’allegato in parola sancisce che nessun settore è affine a quello rubricato ICAR/18 Storia dell’architettura. Quanto al settore M-Sto/04, l’allegato ne sancisce l’affinità con Storia moderna M-Sto/02. Va qui ricordato che degli allegati al decreto la commissione giudicatrice deve aver tenuto conto e sugli stessi la commissione deve aver parametrato le proprie valutazioni nel licenziare un giudizio di congruità dei titoli posseduti da un laureato in architettura, Melania Nucifora, con il settore M-Sto/04. La compiuta istruttoria dibattimentale consente di non affrontare la questione relativa all’eventuale configurabilità di un’ipotesi di errore sugli elementi normativi, ciò perché la lettura dei verbali, delle note, delle precisazioni forniti dai tre imputati esclude l’errore e consegna al giudizio una lucida decisione, non fondata sull’errore. I tre commissari conoscono perfettamente i settori scientifico-disciplinari, le declaratorie, gli allegati al Decreto ministeriale ed agiscono sulla scorta di quel bagaglio normativo, violandolo. Scrivono i commissari nel verbale che “tanto la normativa quanto la prassi didattica e scientifica considerano la storia urbana , del territorio e dell’ambiente ambito pienamente interno alle discipline storiche propriamente intese e dune al settore M-Sto/04”. L’affermazione è falsa, quanto alla normativa. Quell’affermazione è indimostrata, quanto alla prassi. A margine, osserva il Collegio, nessun valore si sarebbe potuto annettere ad una prassi eventualmente formatasi in contrasto con la normativa.
In diritto, la vicenda è interamente sussumibile nel delitto di cui all’art. 323 c.p. esattamente contestato agli odierni imputati. Quanto all’elemento oggettivo, è sufficiente richiamare le statuizioni del giudice amministrativo che, con condivisibile argomentazione, ha ritenuto la macroscopica illegittimità degli atti impugnati, annullandoli. Analizzando l’elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio, va ricordato che non è richiesta la prova della collusione del pubblico ufficiale con i beneficiari dell’abuso , essendo sufficiente la verifica del favoritismo posto in essere con l’abuso dell’atto di ufficio, prova che può essere desunta anche da elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità dell’atto compiuto, o anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l’evidenza, reiterazione e gravità delle violazioni, la competenza dell’agente, i rapporti fra agente e soggetto favorito, l’intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 15 marzo 2019; Corte di Cassazione, Sezione Terza, 4 settembre 2018). Facendo applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze citate, osserva il Collegio che gli atti assunti dalla commissione giudicatrice sono affetti da macroscopico vizio di illegittimita’, essendo stati adottati in aperta ed evidente violazione delle previsioni contenute nel decreto ministeriale.
Ma vi è di più. Quelle determinazioni si pongono in aperto contrasto con le previsioni contenute nel bando e si risolvono, anche per il suo tramite, in una ULTERIORE VIOLAZIONE DI LEGGE. Resterebbe da chiedersi a quale normativa i commissari abbiano fatto riferimento nell’affermare che, da un lato, non esistono settori scientifico-disciplinari appropriati per i titoli vantati dalla candidata, e dall’altro, che quei titoli – in cerca di identità – siano congrui al settore M-Sto/04 e, comunque, prevalenti rispetto a quelli vantati dagli altri candidati. Quella normativa, opiniamo, non esiste. Quei titoli, osserva il Collegio, non sono né congrui né affini al settore messo a concorso. Della macroscopica violazione di legge i commissari erano perfettamente consapevoli tanto che, posti di fronte alla necessità di riesaminare la questione, non esistevano a reiterarla, affermando concetti falsi che – ove mai non fossero stati colti, in buona fede, nella prima versione dell’illecito, essendo stati, frattanto, chiaramente denunciati dal Tar, avrebbero potuto essere emendati ricorrendo ad una semplice consultazione, a riscontro, del materiale normativo.
A margine, osserva il Collegio che utile sarebbe stato affidare la rinnovazione degli atti ad una commissione giudicatrice in una diversa composizione.
Su tale aspetto, va ricordato, in linea generale, che la quesitone se, in seguito all’annullamento giùrisdizionale di atti di una procedura concorsuale, la ripetizione della procedura annullata e, in particolare, la rinnovazione degli atti vada, o meno, affidata a – ed effettuata da – una commissione giudicatrice in una composizione diversa da quella dell’origano collegiale che aveva proceduto a compiere le operazioni annullate al giudice amministrativo, va risolta considerando che la scelta in ordine alla sostituzione necessaria, o meno, della commissione di concorso in seguito all’annullamento giurisdizionale dei suoi atti non si fonda sull’applicazione necessaria di un preciso comando legislativo, ma comporta la valutazione discrezionale delle circostanze che hanno portato all’annullamento degli atti. Posto che la commissione di concorso è giustificata solo quando il suo operato abbia ingenerato dubbi sulla sua capacità di operare con l’indispensabile trasparenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 marzo 2015), secondo una valutazione che pertanto, in assenza dell’accoglimento dei relativi vizi dedotti sulla composizione nel giudizio di cognizione, rientra nella sfera di valutazioni di opportunità dell’amministrazione interessata , osserva il Collegio che, poiché nessuna valutazione ostativa sul punto era stata fatta dal Tar (presumibilmente perché nessuna censura era stata mossa in sede di ricorso), e poiché quel giudice era pervenuto ad un giudizio cautelare fondato su consistenti profili di humus, ben avrebbe potuto, in piena autonomia, l’amministrazione interessa, affidare ad altra commissione la rinnovazione di quegli atti. In fatti, un semplice raffronto tra le decisioni censurate dal Tar e le declaratorie relative ai settori scientifico-disciplinare di riferimento avrebbe consentito di stabilire che quelle decisioni poggiavano su premesse false in quanto smentite dalla normativa di settore.
Analizzando più in dettaglio l’elemento soggettivo, osserva il Collegio che, atteso che la condotta posta in essere dalla commissione giudicatrice si situa fuori dallo scema legale che ne definisce i poteri (cioè il profilo delle attribuzioni) e lo scopo (cioè il profilo della disciplina), non potevano esservi margini di dubbio in ordine alla marcata illegittimità del suo operato. Su tale aspetto della vicenda nessun fattore di disturbo si trae dall’analisi delle prove dichiarative promananti dai consulenti tecnici a discolpa. Ritiene il Collegio che la lettura di quelle dichiarazioni non consente di accedere alla progettazione difensiva. Ciò sulla base delle seguenti considerazioni. Rivendicando l’autonomia della ricerca scientifica, i consulenti Paolo Macrì e Fulvio Cammarano partono da una premessa indiscussa ma giungono a risultati, non solo del tutto indimostranti ma, al di più, smentiti dalla normativa di settore su cui, osserva il Collegio, non spendono una sola parola. Attribuendo valore meramente esemplificativo al contenuto delle declaratorie dei settori scientifico-disciplinari, i consulenti ne deducono il potere riconosciuto allo studioso di delineare, in dettaglio, i confini della disciplina, definendone i contorni nell’ambito dell’incessante ricerca scientifica e della ineluttabile e coessenziale necessità, insita nella sua stessa funzione, di operare un costante adeguamento dei contenuti del settore scientifico disciplinare ai contributi apportati dal mondo accademico e dalla ricerca, in generale. Sulla base di tale premessa, i due consulenti giungono alla conclusione: poiché spetta allo studioso definire i confini della disciplina, non è stato inconferente includere i titoli della Nuciofra nell’ambito M-Sto/04 Storia contemporanea. Nel merito, poi, osserva Macrì, quelle pubblicazioni sono apprezzabili perché restituiscono “il profilo di una storica capace di intrecciare tematiche di storia dell’amministrazione e delle pratiche amministrative, di storia della cultura delle elide dirigenti e di storia delle politiche pubbliche, di storia delle strutture e delle infrastrutture , di storia del territorio, dell’ambiente e del fenomeno urbano”.
In diritto, tale modus operandi è penalmente rilevanTE alla luce del chiaro disposto dell’art. 5 c.p. e dell’art. 47 c.p. Osserva il Collegio come non sia revocabile in dubbio che l’ interpretazione trova un limite invalicabile nel dettato normativo e che l’esercitazione scientifica volta ad allargare o a restringere (in ogni caso a definire) i confini di un settore scientifico disciplinare deve terne conto della declaratoria. La declaratoria non e’ una chiave di lettura, essa costituisce un limite. Un chiaro passaggio della disapplicazione consapevole della normativa ad opera della commissione giudicatrice si trae dalle parole spese dall’imputata Staderini in sede di interrogatorio: richiesta se ridere nell’assumere le determinazioni in ordine alla valutazione del curriculum della Nucifora, la commissione avesse tenuto in considerazione le prescrizioni normative di cui al decreto ministeriale per il settore M-Sto/04, l’imputata rispondeva che la commissione non ne aveva tenuto conto perché ritenuto (dalla commissione) “universalmente limitativo e anche perché non richiamato dal bando”. Questa affermazione traccia A tutto tondo il profilo di una dolosa violazione della normativa, smentita dagli atti redatti dalla stessa commissione valutatrice.
Secondo il Prof. Macrì “una volta stabilita una metodologia i confini (della storia contemporanea) sono illimitati (…) E’ pervio evidente che gli argomenti trattati dalla candidata negli elaborati rientrano pienamente nella declaratoria del settore M-Sto/04 Storia contemporanea e sono congrue rispetto al settore concorsuale. E’ parimenti evidente che argomenti e titoli in oggetto sono incongrui rispetto alle metodiche, alle tematiche e allo stato degli studi che caratterizzano il settore scientifico Icar/15 e Icar/18”. Partendo da tale ultima affermazione, una prima considerazione consente al Collegio di ridurre il raggio di approfondimento dell’analisi della consulenza in parola: non sono note e paiono escludersi conoscenze specifiche del prof. Macrì in ambito scientifico disciplinare Icar/15 e Icar/18; di talché del tutto apodittica appare la netta valutazione licenziata dal prof. Macrì circa la non congruità dei lavori della candidata con quegli ambiti. Secondo il Collegio, la relazione di consulenza presenta una frattura tra la parte percepente e quella valutativa.Invero, pur potendosi convenire sulla non esaustività della declaratoria, non può però essere condiviso il giudizio di irrilevanza che il prof. Macrì annette alla stessa declaratoria ai fini dell’individuazione del settore scientifico disciplinare. Come lo stesso prof. Macrì osserva “le declaratorie sono testi ufficiali, non è che mi metto a fare io le declaratorie”. Nondimeno, osserva il Collegio, le conclusioni alle quali il prof. Macrì è pervenuto si risolvono in una rielaborazione della declaratoria, anzi in una negazione dello stesso parametro posto che, in nome di quello spazio di autonomia intangibile, non solo da forze esterne ed estranee al sapere scientifico ma, a ben vedere, refrattario, per sua stessa natura, ad una catalogazione pur se elaborata al suo interno, in ambito accademico, finisce con l’imprimere una inaccettabile forza centrifuga ad ogni forma (tentativo) di definizione dell’ambito del sapere, ripudiando le declaratorie. In diritto, le declaratorie costituiscono parametro normativo, unità di misura dell’operato della commissione giudicatrice, elemento normativo che , per l’operatore, anche per lo studioso della materia, costituisce la presa d’atto, non un punto di avvio di un dibattito scientifico; perlomeno non in sede di valutazione di candidati ammessi ad un concorso. In ogni caso, poiché le conclusioni offerte dal prof. Macrì riguardano espressamente le pubblicazioni e non i titoli della candidata Nucifora, quelle conclusioni appaiono porsi ai margini del presente giudizio penale posto che, come ha già rilevato il Tar, l’interdisciplinarietà non può afferire i titoli. Secondo il prof. Fulvio Cammarano “i lavori della candidata Nucifora rientrano nella disciplina della storia contemporanea perché questa assume al proprio interno moti degli aspetti della storia urbanistica”.
A fronte delle conclusioni rassegnate dai consulenti a discolpa si situano tre prove dichiarative analoghe per matrice (trattandosi di tre docenti in storia contemporanea) ma differenti per provenienza.
Dopo aver premesso che, contrariamente a ciò che secondo la prassi accademica, è usuale, la commissione giudicatrice era formata da tre membri esterni all’ateneo, il prof. Salvatore Lupo si è soffermato sull’esito del concorso, affermando che “ragionando con un criterio di ragionevolezza”, egli non avrebbe fatto vincere un candidato che non avesse un dottorato di ricerca. “Io personalmente , se fossi stato in quella commissione mi sarei comportato diversamente perché io non avrei fatto vincere un candidato che non aveva il dottorato di ricerca. Il dottorato di ricerca serve per formare degli studiosi e poi gli studiosi vanno a insegnare all’Università”. E ancora: “Consideravo francamente bizzarro il fatto che, in presenza di professori ordinari di storia contemporanea in quell’ateneo fosse stato chiamato a fare da membro interno un professore che veniva da Firenze (…) la facoltà avrebbe potuto scegliere un professore di storia contemporanea, un professore ordinario di storia contemporanea che c’era nell’ateneo, ed invece non lo fece per autogestioni questa cosa qua”.
Il prof. Luciano Granozzi, richiesto cosa possa ritenersi interno ai confini della storia contemporanea dal punto di vista dell’oggetto e del metodo, ha dichiarato quanto segue: “Facciamo il caso della storia dell’arte, anche nel caso dell’arte c’è una disciplina specifica che è storia dell’arte,e tuttavia fatti della produzione artistica possono diventare fonti per lo storico; il modo con cui però questi temi vengono sudisti dallo storico dell’arte e dallo storico tout court sono molto diversi (…) Quindi diciamo che è proprio un fatto di metodo, ed è un fatto anche di formazione, perché è chiaro che lo storico invece non ha gli strumenti che ha lo storico dell’arte, molto spesso non ha quella conoscenza così approfondita della disciplina, però usa quelle fonti e quindi fa un discorso diverso attorno a quelle fonti”. Confermando il contenuto di un sms inviato a suo tempo al Dott. Giambattista Scirè, il prof. Granozzi confermava di aver riferito allo Scirè dell’interesse del preside della facoltà, prof. Iachello alla vicenda. Il prof. Granozzi confermava altresì di avere riferito al dott. Scirè che quel concorso “era una vera porcheria”. “Si, si, si. E’ vero, pensavo questo, sì, e lo continuo a pensare” (dal verbale di udienza citato). Nel mese di maggio 2012 il dott. Scirè chiedeva al prof. Giuseppe Carlo Marino di esprimere un parere in ordine alla congruità di alcuni titoli che erano stati presentati da una candidata ad un concorso di storia contemporanea. Dice Marino: “Perché, signori, il problema mi pare scontato, c’è uno statuto disciplinare delle discipline che aspirano ad avere una loro caratterizzazione scientifica e la storia contemporanea ha un suo statuto scientifico e mi era parso che quello statuto scientifico fosse stato assolutamente eluso. Creo che risulti anche da un’analisi oggettiva perfino dei titoli dei testi che peraltro io in quella occasione vidi anche al di là dei titoli, esaminandoli anche nel merito. Mi parvero titoli che potevano forse assumere un carattere di studi validi per altri settori scientifici, ma non certamente per la storia contemporanea (…) Erano testi con una forte caratterizzazione archeologico, storico-archeologica, di programmazione urbanistica. Tra l’altro la cosa che mi colpì è che si trattava di una architetta senza titoli specifici per la storia contemporanea che si presentava ad un concorso aspirando ad una carriera nel settore della storia contemporanea a fronte di candidati e in modo particolare di un candidato che invece era dotato, come peraltro la stessa commissione aveva riconosciuto, di titoli specifici di storia contemporanea, oltre che scientifici derivanti dalle sue pubblicazioni”. Richiesto di riferire in ordine all’attribuzione (operata dalla commissione) di un punteggio ad un titolo in materia di progettazione urbanistica , il prof. Marino dichiarava che quel titolo “avrebbe dovuto esse valutato da una commissione per un concorso in urbanistica o per una disciplina architettonica…un titolo che era totalmente fuori campo”. Richiesto di riferire se la storia della città e del territorio fosse un argomento che fa parte della storia contemporanea il prof. Marino affermava che “anche la storia del diritto può fare parte della storia contemporanea…per ricomprendere la storia della città e del territorio all’interno dei confini della storia contemporanea bisognerebbe avere un’idea molto originale della storia contemporanea…molto, ma molto originale”. Richiesto di riferire se la storia dell’urbanistica appartenga alla storia contemporanea, il prof. Marino rispondeva di no “perchè esiste una specifica…No, non è ricompresa, non è ricompresa”. Richiesto di riferire in ordine all’inclusione dell’insegnamento di storia dell’ambiente nell’ambito di storia contemporanea, sia pure in taluni atenei, il prof. Marino affermava che tale aspetto della vicenda attiene “all’epistemologia degli statuti disciplinari del sapere…sono tesi diverse, se non addirittura conflittuali, ma tutto questo riguarda un altro tipo di sapere che è quello dell’epistemologia”.
Un dato va posto in evidenza: l’individuazione del settore scientifico disciplinare Storia contemporanea sulla base del criterio del metodo di analisi non è stata posa in dubbio né dai consulenti tecnici a discolpa, né dallo stesso imputato Neri Serneri , il quale ha precisato che, sul punto, egli concorda con la deposizione resa dal prof. Granozzi.
Pur non necessario ai fini della valutazione della condotta ascritta agli imputati, Il profilo della collusione emerge a piu’ livelli.
Scorrendo i TITOLI (le intitolazioni) delle pubblicazioni vantate dalla candidata nucifora, si ha come la percezione di una tela pazientemente tessuta per aspirare ad entrare in un settore accademico diverso da quello che , sulla base del titolo di laurea, ci si sarebbe aspettati. Un architetto che, sulla via di Damasco, resta folgorata dagli studi di storia contemporanea e che abusivamente, ne comincia a corteggiare il contesto. Un architetto a cui, concorso alla mano, non importano le sagome, i progetti, l’armonia di un disegno ma, piuttosto, la storia, ora di questo, ora di quel tale specifico sapere. Nel tentare di correggere il tiro di una laurea forse intimamente ripudiata Melania Nucifora si iscrive all’ AISU e alla SISSCO (associazioni di settore), collabora alla produzione di opere collettanee con lavori estranei quanto meno al metodo storico e , a suo modo, tenta di riscrivere la propria carriera da studente universitario , indossando un abito, quello di storico, sopra la pelle di architetto. Nel coltivare l’ambito progetto , ella partecipa ad un concorso per ricercatore di Storia contemporanea e , pur dibattendo con giganti della materia (certamente adusi a sentir parlar, ancor prima che a parlare, di storia contemporanea), ne esce vittoriosa. E’ la vittoria del paradosso: tutti gli altri candidati offrono profili di omogenea normalità; discutono infatti di storia contemporanea ma, in fatto di originalità, nessuno può competere con la Nucifora. Infatti, nessuno di quei candidati è architetto. Nucifora è SEGRETARIA del preside Iachello, quel preside che, innovando una risalente prassi accademica, investe in originalità a partire dall’individuazione del membro interno, proponendo il prof. Neri Serneri. Decidendo di partecipare al concorso in parola, Melania Nucifora ha preferito trovarsi davanti ad una necessità piuttosto che davanti ad una probabilità: contro ogni elementare decisione di buon senso, infatti, invece che investire in un settore conforme al proprio titolo di laurea, ella ha preferito attraversare il deserto della conoscenza, optando per la partecipazione ad un concorso per il quale era sprovvista di metodo di analisi, non essendo uno storico contemporaneità. E’ nelle accorate (ma non condivisibili) parole espresse dall’imputato Neri Serneri nel corso del proprio esame tutto lo stupore per l’intervento della giustizia, non solo penale, ma anche amministrativa. nel rivendicare una sorta di zona franca, neri serneri (con una progettazione comune a tutti e tre gli imputati) ripudia gli schemi, le catalogazioni, le declaratorie, i proclami per affermare un diritto: quello di dire cosa e’ e cosa non e’. Il diritto di poter affermare, senza confini, quali sono i confini della disciplina. Infine, il diritto di poterlo dire anche durante una contesa, quale è quella che ha visto Giambattista Scirè e tutti gli altri storici competere con armi impari. In conclusione, la commissione ha adottato una decisione che, in violazione della normativa di settore, si fonda anche su valutazioni contrarie al buon senso.
In diritto, Ai sensi dell’art. 97 della costituzione, quella decisione si risolve in una violazione del principio di buon andamento e di imparzialita’ dell’esercizio della pubblica funzione, disattendendo gli scopi definitori delle declaratorie, adottando una decisione inappropriata, affidando l’insegnamento di storia contemporanea ad un architetto, privando un settore di studenti della opportunita’ di un percorso formativo conforme al settore scientifico disciplinare di riferimento, offrendo loro, inopinatamente, un insegnamento da un angolo prospettico privo di metodo storico, amputando le aspettative di chi, frequentando il corso di storia contemporanea, non avrebbe potuto attingere a quel metodo. In tale gratuito e non condivisibile progetto i tre imputati hanno arrecato un danno economicamente risarcibile al dott. Scirè, ipotecandone il futuro, obliterandone l’entusiasmo, rallentandone il cammino professionale. gli imputati vanno dichiarati colpevoli del reato loro ascritto.
Passando al trattamento sanzionatorio, reputa il Collegio di irrogare la pena di anni uno di reclusione ciascuno. Gli imputati vanno condannati al pagamento delle spese processuali. Presumendosi l’emenda, può concedersi la pena sospesa. Ai sensi dell’art. 31 c.p. gli imputati vanno dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni uno. Ai sensi dell’art. 32 bis e 37 c.p. gli imputati vanno dichiarati interdetti dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di anni uno. Ai senti dell’art. 539 c.p. gli imputati vanno condannati al risarcimento del danno da liquidare separatamente alla Parte civile, oltre alla rifusione delle spese, come da dispositivo (7.500 euro). Va assegnata alla Parte civile una provvisionale di 10.000 euro, ritenuta raggiunta la prova almeno sino a tale importo (…)
Come vicenda e come racconto della stessa (tolti certe peculiarità e certi eccessi del linguaggio giuridico) è molto più interessante di un romanzo di Carofliglio.
Che vergogna! Deve trattarsi, comunque, di una manifestazione della moda comunicativa tardomoderna del raccontar balle impunemente (non in questo caso).
Al di là del merito, certe affermazioni mi lasciano parecchio perplesso. Tipo:
“la percezione di una tela pazientemente tessuta per aspirare ad entrare in un settore accademico diverso da quello che , sulla base del titolo di laurea, ci si sarebbe aspettati. Un architetto che, sulla via di Damasco, resta folgorata dagli studi di storia contemporanea e che abusivamente, ne comincia a corteggiare il contesto.”
Con le dovute distinzioni, sarebbe come dire che Russell “abusivamente ha corteggiato il contesto della matematica” scrivendo i Principia, o che Amaldi e Majorana sono passati da ingegneria a fisica “tessendo una tela per passare ad un settore accademico diverso da quello che ci si sarebbe aspettati”. Forse ci vorrebbe un po’ più di rispetto per la libertà di ricerca scientifica delle persone, al di là del valore quasi sicuramente non eccelso della studiosa in questione.
I tempi storici in cui si collocano i tre casi sono ben diversi, come pure i contesti accademici del momento (quelli in oggetto ‘vanno corteggiati’) e che sono, nel caso in oggetto, quelli concorsuali di quest’era sciagurata e difficile. Forse o anche sicuramente il ‘corteggiamento’ avviene sempre e dovunque (con manifestazioni concrete diverse), ma probabilmente in questo caso, a giudicare dall’intera documentazione, supera il limite di decenza e tolleranza.
…”percezione di una tela pazientemente tessuta per aspirare ad entrare in un settore accademico diverso da quello che, sulla base del titolo di laurea, ci si sarebbe aspettati.” Ne apprezzo non solo la precisione, termine per termine, ma anche la formulazione complessiva suggestiva, capacità che si manifesta anche altrove.
Che la decisione dei giudici sia giusta è praticamente sicuro, e molto probabilmente la signora in oggetto è una studiosa di scarso valore, se non addirittura mediocre, o magari davvero in malafede, ma questo andrebbe provato. Resta il fatto che il documento contiene affermazioni lesive del diritto alla libertà di ricerca. Ed è anche parzialmente contradditorio, perchè se si sostiene che “a margine, osserva il Collegio, nessun valore si sarebbe potuto annettere ad una prassi eventualmente formatasi in contrasto con la normativa”, allora perchè sarebbe necessario chiedere il parere del prof Marino secondo il quale “per ricomprendere la storia della città e del territorio all’interno dei confini della storia contemporanea bisognerebbe avere un’idea molto originale della storia contemporanea…molto, ma molto originale” ?
Se si vuole dare valore normativo in senso stretto alle declaratorie, bisognerebbe scriverle lunghe, lunghissime. Qui invece si fa diventare norma inderogabile la parcellizzazione (e in senso schematicissimo) del sapere. E bisognerà anche affrontare il problema che, se si corre il rischio di una condanna penale, chi vorrà più fare il commissario di concorso?
È una sentenza durissima per la Commissione giudicatrice… E pensare che la soluzione era tutta nelle carte del concorso: un candidato, la vittima, era in possesso del titolo di dottore di ricerca, l’altra, la vincitrice, NO! Concorso chiuso… Invece si sono messi a discettare accademicamente su cosa debba essere incluso in un settore scientifico disciplinare e cosa no… E anche durante il processo hanno provato a dare lezioni ai giudici, comportandosi come il Marchese del Grillo… Risultato? Nessuno è sopra la legge e, soprattutto, nessuno può pensare di godere della impunità… Bastava solo – come peraltro qualcuno ha correttamente sostenuto nel processo – che il dottorato di ricerca faceva la differenza… Ora però occorre recuperare all’accademia e, soprattutto, agli studi scientifici la vittima che, mi dicono colleghi del settore, è studioso di grandi capacità.
“..obliterando l’entusiasmo del dottor Scirè e privando gli studenti di un percorso formativo conforme”. Questo dicono i giudici nella condanna degli autori dell’ennesimo abominio che hanno rivendicato davanti al giudice il diritto alla “..libertà di giudizio..(sic)”. Personaggi senza scrupoli il cui livello di dignità dovrebbe essere compatibile a quello della funzione, ricoperta in una commissione che dovrebbe tutelare la competenza ed il merito nell’interesse generale.
Purtroppo per riportare il sistema nell’ambito della legalità è necessario che avvenga un cambiamento nella coscienza e nella testa delle persone ma questo presuppone una rigenerazione, che non si sa come possa avvenire ma che non può essere fatta all’interno dell’accademia (quis custodiet custodes) che da anni ha tollerato e tollera questo sistema e che ha portato al commissariamento dell’Università, come del resto, capita a vari organismi, anche locali, del Paese. Rimedi ordinamentali purtroppo non ce ne sono, né soluzioni giuridiche, metodi o formule di merito che possano modificare il costume dei singoli.
Mi auguro che la vittima, che ha resisitito 8 anni a questa palese ingiustizia, ritrovi fiducia in se stesso e nel fatto che, anche se lenta, la giustizia il più delle volte trionfa
Il “commissariamento dell’Università” non è generato da questo tipo di malcostume, o non solo o solo in minima parte, ma da un certo tipo di gestione del potere statale-burocratico, nel senso che lo Stato si mette apparentemente in secondo piano, nelle quinte quando gli convenga, dietro una burocrazia da esso creata e resa, a parole (dette e scritte), semiautonoma e che sta e agisce sulla scena. Burattinaio e burattini, in termini rozzi e imprecisi. Dunque, a mio modo de vedere, non si tratta di commissariamento (“Attribuzione a un commissario dell’amministrazione di un ente, di un’azienda.”) ma di intenti di modifiche strutturali, e nemmeno tanto soft, e soprattutto dagli esiti non affatto indolori.