Paper presentato al seminario AIS
Il reclutamento del personale accademico
Università La Sapienza –Dipartimento di Scienze Sociali–
09/03/2012
1. La fonte dei dati
I dati che andrò a presentare sono derivati dall’indagine internazionale Changing academic profession (CAP). L’indagine era volta a sondare attraverso lo strumento della survey i principali aspetti della professione, delle attività caratterizzanti e delle condizioni in cui esse vengono portate avanti. La survey ha avuto luogo a fine 2007.
Il reclutamento e le carriere, quindi, non costituivano il principale focus dell’indagine, ma da alcune domande è possibile derivare informazioni e indicazioni su alcune dinamiche e problemi al riguardo. Inoltre, il questionario era volto a sondare le rappresentazioni dei docenti su vari aspetti della professione accademica, per cui i dati riflettono giudizi soggettivi e non costituiscono la “realtà oggettiva”.
I Paesi europei che prendo in considerazione non sono frutto di una scelta, ma di necessità: purtroppo all’indagine non hanno partecipato Paesi importanti come Francia e Spagna. Tra i Paesi europei partecipanti, che però non considero, c’è l’Olanda, ma i dati contenuti nel file internazionale a disposizione sono ancora “sporchi” e quindi non trattabili adeguatamente.
Il campione su cui si fondano i dati relativi ai 5 Paesi considerati, è così composto:
Finlandia: 1452
Germania: 1265
Italia: 1701
Norvegia: 1035
Regno Unito: 1565
2. Dalla laurea alla cattedra
Un primo aspetto da considerare è l’età in cui i docenti intervistati si sono laureati, hanno conseguito il titolo di dottorato, ottenuto il primo posto di ruolo e hanno sviluppato la loro carriera.
La tabella 1 considera l’età media del conseguimento di laurea di primo livello (dove era esistente una divisione del curricolo accademico in due livelli), quella di secondo livello e il dottorato.
Tab 1. Età media di conseguimento di laurea di primo livello, di secondo livello e del dottorato
Età laurea primo livello | Età laurea secondo livello | Età dottorato | |
Finlandia | 26 | 28 | 31,5 |
Germania | 27 | 30,0 | |
Italia | 25 | 32,5 | |
Norvegia | 24 | 28 | 31,3 |
Regno Unito | 24 | 30 | 31,4 |
Sembrerebbe che i nostri docenti ottengano il titolo più elevato un po’ prima degli altri. Tuttavia, ciò dipende non poco dalle diversità degli ordinamenti didattici dei diversi paesi precedenti alle riforme basate sul Bologna Process (Bachelor/Master) che implicano una diversità nella durata legale degli studi.
In Finlandia, le lauree avevano una durata quinquennale (medicina, 6 anni). Dal 1990 sono stati introdotti corsi sul modello Bachelor/Master in alcuni corsi di laurea.
In Germania (solo università) in alcune discipline la durata era quadriennale, in altre quinquennale e a medicina era di 6 anni.
In Norvegia, la variabilità era ancora più alta: si va da corsi quadriennali a quinquennali (a cui successivamente si sono aggiunti corsi triennali) e addirittura di 7 anni, come nel caso delle Scienze umane, per conseguire il titolo di magister artium.
Il Regno Unito è l’unico Paese che ha strutturato i suoi corsi di studio sul modello Bachelor/Master molto tempo prima degli altri.
Dunque, per l’età di laurea, bisogna scontare questi aspetti.
Relativamente al dottorato, i nostri docenti con tale titolo rispetto agli altri sono relativamente pochi. Essendo stato introdotto nel 1980, i primi dottori di ricerca hanno conseguito il titolo a partire dal 1984. Ricordando che in Italia ci si laureava almeno 2-3 anni oltre la durata legale e che i posti di dottorato con borsa erano relativamente pochi (spesso si facevano due o più concorsi prima di vincere il posto con borsa), ciò spiega l’età relativamente più avanzata dei nostri dottori rispetto a quelli degli altri Paesi.
Vediamo ora i dati relativi all’età media in cui i docenti hanno sviluppato i loro percorsi di carriera, dall’ottenimento del primo posto di ruolo, fino alla posizione ricoperta al momento della rilevazione (Tab. 2):
Tab. 2 Età media dei percorsi di carriera
Età media al momento della rilevazione | Età prima nomina in ruolo | Età prima nomina in ruolo nella sua attuale università | Età nomina nella sua attuale posizione nella sua università | |
Finlandia | 42 | 31.5 | 34 | 37 |
Germania | 42 | 30 | M | 35.5 |
Italia | 50 | 32.5 | 34 | 41 |
Norvegia | 44.5 | 31 | 34 | 39 |
Regno Unito | 44 | 31 | 35.5 | 40 |
Primo dato che salta agli occhi è l’età dei nostri docenti nettamente più avanzata di quella degli altri. Ma questo è un dato noto. Osservando le altre tre colonne, i nostri docenti entrano in ruolo un po’ più anziani dei loro colleghi. Da ciò deriva che il tempo mediamente trascorso tra l’acquisizione del primo titolo di istruzione superiore al primo impiego tenured è:
- Ø 5,5 anni in Finlandia
- Ø 3 anni in Germania
- Ø 7,5 anni in Italia
- Ø 7 anni in Norvegia
- Ø 7 anni nel Regno Unito
L’entrata in ruolo è particolarmente veloce in Germania, sebbene si debba scontare il fatto che i docenti tenured sono meno di quelli impiegati con contratti a tempo determinato. Inoltre, la risposta potrebbe essere “viziata” dal fatto che anche i docenti non-tenured (circa il 50% del corpo accademico) sono a tutti gli effetti considerati docenti appartenenti all’ateneo, con gli stessi diritti-doveri dei tenured. Di conseguenza è molto probabile che si considerino come questi ultimi, sebbene il loro status contrattuale sia diverso. Ad eccezione della Finlandia, negli altri Paesi la carriera si dimostra piuttosto lunga.
Tornando alla tabella, se si sottrae 1) l’età prima nomina nell’attuale università a quella della prima nomina in ruolo e 2) l’età al momento della rilevazione a quella della prima nomina in ruolo nell’attuale università, si ottengono dati interessanti relativamente al tempo passato in un’università diversa da quella attuale, che, a sua volta, è un indicatore di mobilità dei docenti (Tab. 3):
Tab. 3 tempo passato in un’istituzione diversa da quella attuale e nella stessa istituzione
Anni in università diversa dall’attuale* | Anni nell’università attuale** | |
Finlandia | 2.4 | 8 |
Germania | M | 6,5 |
Italia | 1.5 | 16 |
Norvegia | 2.5 | 11 |
Gran Bretagna | 4.1 | 9 |
*Età prima nomina tempo pieno-età prima nomina attuale università
** Età 2007-Età prima nomina attuale università
I nostri docenti sono decisamente meno mobili degli altri, vale a dire reclutamento e carriera si svolgono in larghissima parte all’interno della stessa istituzione, mentre i più mobili sono i britannici. Apparentemente i tedeschi potrebbero essere quelli più mobili, ma non lo si può sapere con certezza, mancando il dato dell’età della prima nomina nell’attuale istituzione. Quei 6,5 anni potrebbero indicare docenti impiegati in una data istituzione come docenti non-tenured che sono poi riusciti a passare a una posizione tenured nella stessa università.
Per concludere questa parte, non resta che considerare la velocità di carriera calcolata come tempo trascorso tra il conseguimento del titolo di studio e la posizione ricoperta al momento dell’indagine. In ciò seguo il calcolo di Alessandro Cavalli, sebbene i dati con cui lo ha eseguito non fossero ancora del tutto affidabili (tranne per l’Italia) (Tabella 4 e 5).
Tab. 4 Distanza media tra il conseguimento del primo titolo di istruzione superiore e la posizione attuale per qualifica e per paese (in anni)
Finlandia | Germania | Italia | Norvegia | Regno Unito | Totale | |
Posizione senior* | 22,2 | 17,3 | 20,2 | 19,5 | 21,6 | 20,2 |
Posizione junior** | 11,7 | 5,5 | 10,3 | 9,6 | 12,8 | 9,4 |
* Corrisponde a professore associato e ordinario
**Corrisponde a ricercatore
Tab. 5 Velocità di progressione della carriera accademica per paese (% di accademici)
Finlandia | Germania | Italia | Norvegia | Regno Unito | Totale | |
Anticipatori | 52,7 | 81,9 | 58,6 | 63,0 | 51,0 | 62,1 |
Ritardatari | 47,3 | 18,1 | 41,4 | 37,0 | 49,0 | 37,9 |
Come si vede dalla tabella 4 in generale la carriera è piuttosto lunga, sia per le posizioni junior che senior, tranne che in Germania dove è appena un po’ più rapida, conformemente ai dati accennati più sopra nell’elenco puntato e al loro commento. Il nostro paese si trova più o meno nella media.
La tabella 5 illustra la stessa cosa in modo diverso: gli anticipatori sono coloro che hanno una velocità di carriera più rapida rispetto alla media, mentre i ritardatari sono coloro che sono più lenti. Come si vede, le carriere sono più rapide in Germania, più lente nel Regno Unito. Nel mezzo sta il nostro Paese insieme a Norvegia e Finlandia.
3. Eterogeneità dei percorsi lavorativi
Un aspetto che penso valga la pena evidenziare, riguarda l’eterogeneità dei percorsi lavorativi degli accademici, illustrato dalla tabella 6
Tab. 6 Anni passati in diversi ambiti lavorativi (valori medi)
Università | Istituti di ricerca | Istituzioni governative pubbliche | Organizzazioni private e industria | Lavoro autonomo | |
Finlandia | M | M | M | m | M |
Germania | 8.7 | 2.3 | 0.7 | 0.9 | 0.7 |
Italia | 18.8 | 1.4 | 1.4 | 0.7 | 1.8 |
Norvegia | 12 | 2.4 | 2.4 | 0.9 | 1.1 |
Regno Unito | 12.8 | 1.2 | 2.2 | 1.7 | 1.5 |
Appare evidente come i nostri docenti si caratterizzino per una netta prevalenza degli anni lavorativi all’interno dell’università con poche e brevi esperienze in altri ambiti. Benché norvegesi e britannici mostrino anch’essi una prevalenza di questo tipo di percorso, tuttavia le loro esperienze esterne all’accademia sono sensibilmente più lunghe di quelle dei nostri docenti, tranne che per il lavoro autonomo. I docenti tedeschi sono un caso a parte: hanno poche esperienze lavorative al di fuori dell’università e della ricerca non-universitaria, pur avendo passato metà degli anni nell’università rispetto agli italiani.
4. Chi decide la carriera
Il questionario prevedeva una serie di domande sugli attori più influenti in diversi ambiti della vita organizzativa delle università. Tra questi ambiti vi erano le decisioni relative al reclutamento di nuovi accademici e agli avanzamenti di carriera (tabelle 6 e 7)
Tab 6 Chi decide il reclutamento di nuovi accademici (valori %)
Governo o stakeholders esterni | Vertici di ateneo (rettore CdA) | Preside facoltà/Direttore dpt | Senato accademico/consigli docenti | Singoli docenti | |
Finlandia | 0,4 | 17,9 | 14,8 | 25,5 | 41,3 |
Germania | 6,7 | 28,8 | 21,6 | 37,6 | 5,3 |
Italia | 2,8 | 4,2 | 32,7 | 35,0 | 25,3 |
Norvegia | 1,5 | 23,8 | 22,6 | 32,2 | 20,0 |
Regno Unito | 0,5 | 15,9 | 29,1 | 32,7 | 21,3 |
TOTALE | 2,5 | 16,9 | 24,7 | 32,8 | 23,1 |
Tab 7 Chi decide gli avanzamenti di carriera (valori %)
| Governo o stakeholders esterni | Vertici di ateneo (rettore CdA) | Preside facoltà/Direttore dpt | Senato accademico/consigli docenti | Singoli docenti |
Finlandia | 0,2 | 32,4 | 11,3 | 36,6 | 19,5 |
Germania | 2,3 | 25,4 | 36,3 | 12,5 | 23,4 |
Italia | 4,1 | 4,3 | 35,6 | 33,6 | 22,5 |
Norvegia | 2,7 | 39,4 | 20,4 | 32,0 | 5,5 |
Regno Unito | 0,3 | 30,2 | 16,8 | 42,7 | 9,8 |
TOTALE | 2,1 | 23,9 | 25,5 | 31,0 | 17,4 |
Se Governo e stakeholders esterni non vengono percepiti come dotati di un’influenza significativa sulla carriera accademica praticamente ovunque, appare evidente come reclutamento e carriere siano un affare interno all’accademia. La somma dei dati medi delle due tabelle mostrano chiaramente come i docenti indichino soggetti accademici (Preside/Direttore+Consigli/Senato+Singoli docenti) come gli attori principali con percentuali tra il 70% e l’80% dei casi.
Tuttavia vi sono differenze significative. La più evidente ha a che fare con le dimensioni della verticalizzazione, della collegialità e del potere individuale. Gli intervistati in generale vedono le decisioni di reclutamento come prese principalmente all’interno degli organi accademici collegiali, ma i finlandesi attribuiscono molta più importanza ai singoli docenti, seguiti –sebbene a distanza – in ciò dagli italiani che sono un po’ sopra gli altri tre paesi. La verticalizzazione in questo ambito decisionale non è irrilevante, ma, di nuovo, si manifesta in maniera differente: sono per lo più i vertici intermedi e non tanto quelli apicali che vengono ritenuti influenti. Ma va anche tenuto conto che Presidi e Direttori non agiscono in piena autonomia come dei manager d’impresa, bensì in collegamento con i consigli accademici. Solo Germania e Norvegia mostrano percentuali più accentuate negli organi di vertice. Abbastanza sorprendentemente, gli accademici britannici non vedono così influente il vertice istituzionale, mentre i vertici intermedi sono giudicati abbastanza influenti. Sono gli organi collegiali a essere identificati come il locus privilegiato dove le decisioni di reclutamento vengono prese. Ciò è interessante se confrontato con le molte pubblicazioni britanniche che denunciano la crescente erosione del modello collegiale in favore di uno manageriale, che sono seguite a e hanno aggiornato il noto libro di Halsey The decline of donnish dominion del 1992. In Italia, il vertice istituzionale è sostanzialmente irrilevante, a favore dei vertici intermedi e degli organi collegiali.
Nel complesso, quindi, possiamo concludere che nei Paesi considerati le decisioni di reclutamento siano verosimilmente l’esito di una negoziazione tra vertici intermedi e organi collegiali, talvolta (come in Finlandia e in parte in Italia) con l’intervento di singoli docenti dotati di potere e influenza.
Riguardo le decisioni per l’avanzamento di carriera, le cose stanno un po’ diversamente. L’influenza del vertice istituzionale sale notevolmente in tutti i paesi, tranne che in Italia; l’influenza dei vertici intermedi e degli organi collegiali rimane pressappoco la stessa e ci sono cambiamenti significativi sul lato dell’influenza individuale che decresce notevolmente in Finlandia, Norvegia e Regno Unito, cresce molto in Germania e resta più o meno stabile in Italia.
Non è facile spiegare i motivi di questi cambiamenti di segno nell’attribuzione di influenza ai diversi attori. Laddove c’è una crescita del livello istituzionale e una decrescita dell’influenza individuale, ciò potrebbe indicare che la politica di progressione del personale è regolata e gestita dal vertice con poche possibilità di influenza dei singoli accademici ancorché dotati di potere, con negoziazioni che interessano i vertici intermedi e gli organi collegiali. Al contrario, laddove cresce l’influenza individuale, le decisioni di carriera sono prese nell’ambito di una triangolazione negoziale individui-organi e vertici intermedi-vertici istituzionali.
Se queste sono le differenze c’è un aspetto comune ai vari Paesi, accennato già all’inizio. L’accesso e la progressione di carriera sono gestiti principalmente dagli attori accademici e ciò dimostra come ovunque l’università sia – e forse non può che essere – un’organizzazione cooptativa.
5. La valutazione delle condizioni di lavoro
Sebbene gli accademici intervistati mostrino ovunque un’elevata soddisfazione per il proprio lavoro (più del 61% è soddisfatto, contro un 11% di insoddisfatti) e ripeterebbero la scelta che hanno fatto, ciò non significa che siano altrettanto soddisfatti per le condizioni in cui esso si svolge e soprattutto che siano ottimisti per quel che riguarda l’accesso alla professione delle nuove leve.
Relativamente al primo punto, solo il 16% ritiene che le condizioni siano migliorate da quando hanno iniziato il loro lavoro, mentre chi ritiene siano peggiorate sono quasi la metà (poco più di un terzo ritiene che siano rimaste uguali).
I più positivi sono in finlandesi i quali, in quasi il 30% dei casi, dichiarano che c’è stato un miglioramento. Per i docenti degli altri Paesi gli aspetti negativi prevalgono largamente, con percentuali comprese tra il 42% della Norvegia e il 60% della Gran Bretagna, con Germania e Italia intorno al 55%, di chi dichiara che sono peggiorate.
In breve, quello accademico è un lavoro che piace (scelta evidentemente vocazionale o espressiva), ma sono le condizioni in cui si svolge che lo rendono frustrante. E tra tali condizioni quella della carriera molto probabilmente è una delle fonti di maggior frustrazione, soprattutto per chi è nelle posizioni inferiori.
Ciò trova una conferma indiretta nel pessimismo che gli intervistati manifestano nelle risposte alla domanda “Questo è un periodo molto difficile per i giovani che vogliono intraprendere la carriera accademica”. Sebbene non marcatissimo, senza dubbio il pessimismo è presente in tutti i Paesi considerati.
Ma vale la pena di vedere i dati puntuali (Tabella 8 )
Tab. 8 “Questo è un periodo molto difficile per i giovani che vogliono intraprendere la carriera accademica” (grado di accordo, valori %)
Totalmente d’accordo | D’accordo | Abbastanza d’accordo | Poco d’accordo | Per niente d’accordo | |
Finlandia | 20,5 | 20,5 | 26,5 | 24,5 | 8,0 |
Germania | 21,1 | 17,6 | 21,1 | 21,4 | 18,8 |
Italia | 51,7 | 23,1 | 13,1 | 8,0 | 3,9 |
Norvegia | 9,1 | 13,1 | 21,1 | 22,3 | 34,4 |
Regno Unito | 23,9 | 25,6 | 19,4 | 24,5 | 6,6 |
TOTALE | 27,9 | 20,2 | 19,9 | 19,0 | 13,0 |
Se in generale circa il 50% pensa che sia un brutto periodo per chi voglia iniziare la carriera accademica, si ha anche circa 1/3 dei docenti che ritiene che ciò non sia vero. Sono soprattutto i tedeschi e i norvegesi ad essere i più ottimisti; in una posizione di cauto ottimismo si trovano i finlandesi e i britannici.
I pessimisti siamo noi: 3 docenti su 4 pensano che sia un brutto periodo. E se si pensa che questa rilevazione è stata fatta prima dell’entrata in vigore della riforma Gelmini, è facile pensare che se si ripetesse oggi la stessa domanda le risposte pessimistiche arriverebbero a ridosso del 90%.
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