«Ora rivedremo anche i corsi di dottorato, con criteri che porteranno a una diminuzione molto netta» diceva Sergio Benedetto (ANVUR) nel 2012. Una “predizione” avveratasi, grazie alle linee guida per l’accreditamento varate dall’ANVUR che utilizzano i voti VQR dei singoli ricercatori partecipanti al collegio dei docenti. Quest’anno è il MIUR a pubblicare le linee guida, menzionando lodevoli concetti come quello di procedura semplificata e più lineare, «nel rispetto dell’autonomia universitaria e degli enti di ricerca». In realtà, dietro le belle parole di circostanza, si realizza un altro giro di vite sui dottorati, soprattutto in seguito all’inasprimento dei requisti sulla Qualificazione del collegio dei docenti.

Link alle Linee guida per l’accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato

 

1. L’obiettivo: «una diminuzione molto netta» dei corsi di dottorato

Ora rivedremo anche i corsi di dottorato, con criteri che porteranno a una diminuzione molto netta

(Sergio Benedetto, La Repubblica, 4/02/2012)

 

La diminuzione dei corsi di dottorato è stata fin dall’inizio uno degli obiettivi dichiarati dell’ANVUR. Un obiettivo  raggiunto con spietata efficienza, a giudicare dai numeri.

 

Che la tanto agognata (da alcuni) stratificazione delle Università in atenei di serie A e di serie B, passi anche attraverso il ridimensionamento dell’offerta formativa post-laurea e la sua concentrazione in poche sedi?

Concretamente, lo strumento di questo ridimensionamento è stato, prima ancora che il DM 45/2013, la sua attuazione attraverso le linee guida per l’accreditamento dei corsi di dottorato, le cui precedenti versioni 2014 e 2016 sono disponibili sul sito dell’ANVUR. Come evidenziato a suo tempo (qui e qui, per esempio) si tratta di linee guida controverse sotto molteplici punti di vista.

In primo luogo, a dispetto dei proclami formali da parte dell’ANVUR sulla non utilizzabilità delle valutazioni VQR per fini di valutazione individuale (“l’ANVUR sottolinea che i risultati della VQR non possono e non devono essere utilizzati per valutare i singoli ricercatori“, Rapporto finale VQR 2011-2014, p. 9), queste linee guida fanno riferimento alla media dei voti VQR dei componenti del collegio. Una media sotto la soglia specificata nelle linee guida può compromettere l’accreditamento. Ne seguono alcuni effetti collaterali:

  • L’unico modo per alzare la media dei voti è selezionare docenti con voti VQR elevati, escludendo dal collegio quelli con voti bassi: in questo modo, i risultati della VQR vengono utilizzati per valutare i singoli, dato che la loro partecipazione ai collegi di dottorato è condizionata dai voti VQR individuali.
  • I voti VQR non sono pubblici e nemmeno sono noti ai coordinatori. In teoria, nessuno ha il diritto di chiedere ai valutati quali voti abbiano ricevuto, ma senza questa informazione è del tutto azzardato presentare un collegio “alla cieca”. In passato l’ANVUR ha fornito delle “prevalutazioni” dei collegi in modo da anticipare il mancato superamento le soglie. In tal caso, si doveva procedere a tentoni, cambiando la composizione del collegio nella speranza di alzare i voti medi. Quest’anno pare che ogni collegio potrà avvalersi di un numero molto ridotto di prevalutazioni. La ragione? La procedura per tentativi finisce per svelare i voti VQR dei singoli (se per esempio viene escluso un solo docente, dalla differenza dei voti medi prima e dopo l’esclusione è possibile ricavare il suo voto individuale).
  • In tale contesto, risulta quasi indispensabile estorcere, con le buone o le cattive, i voti VQR dei componenti del collegio. Una pratica che contrasta frontalmente con i proclami di cui sopra, che costituisce un pericoloso precedente per altri usi illeciti dei voti VQR (ai fini dell’attribuzione degli scatti stipendiali, per esempio).

Quest’anno, le linee guida non sono comparse sul sito dell’ANVUR (che quando non è fuori servizio pubblicizza automobili Suzuki  e corsi di laurea telematici), ma direttamente sul sito del MIUR:

Nota 14 aprile 2017

La revisione in parola trae origine dalla proposta dell’ANVUR in data 22 febbraio scorso, fornita ai sensi del combinato disposto dell’articolo 16, co. 2, del D.M. n. 45/2013 e dell’articolo 3, co. 1, lett. e), del D.P.R. 1 febbraio 2010, n. 76, che è stata semplificata e adeguata nell’ottica di rendere più lineare la procedura, ponendo l’attenzione sugli aspetti qualificanti del processo di accreditamento e tenendo conto della fattibilità gestionale delle operazioni richieste, nel rispetto dell’autonomia universitaria e degli enti di ricerca.

Si segnala che le modalità di invio delle proposte da parte degli Atenei e delle Qualificate Istituzioni di Alta Formazione e Ricerca, ai fini dell’accreditamento, saranno fornite dalla competente Direzione Generale per lo studente, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della formazione superiore.

Leggendo la nota, qualcuno poteva sperare che preludesse a una presa di distanza dalle cervellotiche numerologie anvuriane. Mai speranza fu più mal riposta. Vediamo perché.

2. L’indicatore A4 (Qualificazione del collegio dei docenti)

Lasciando da parte novità e modifiche di lieve entità, le nuove linee guida introducono un ulteriore, drastico giro di vite, soprattutto attraverso la revisione degli indicatori utilizzati per misurare la qualificazione del collegio dei docenti. Una revisione particolarmente improvvida, perché, arrivando a ridosso dell’uscita dei bandi, è destinata a cogliere di sorpresa gli atenei che, nelle more di MIUR e ANVUR, avevano predisposto i collegi basandosi sull’ultima versione delle linee guida, confidando che non sarebbero intervenuti cambiamenti sostanziali.

Per valutare nel dettaglio come sono cambiate le regole del gioco, nel seguente prospetto sinottico, sono messi a  confronto i nuovi indicatori con quelli delle linee guida più recenti, risalenti al 2016.

Nel complesso, il requisito A4 diventa molto più severo: devono essere verificate almeno tre condizioni (alcune delle quali rese più restrittive) e viene rimossa la possibilità di superarlo (previo esame dettagliato della proposta) quando sono soddisfatte solo due condizioni.

Il requisito del numero degli articoli in riviste di fascia A per alcune aree umanistiche potrebbe risultare molto penalizzante tenendo conto degli orientamenti di queste aree verso la pubblicazione di saggi e monografie, e risulta tanto più incomprensibile se la motivazione di questa scelta è quella di assicurare al dottorando una guida di qualità.

È ragionevole immaginare che un certo numero di collegi verranno messi in difficoltà, con l’aggravante del pochissimo tempo a disposizione per correre ai ripari.

Inoltre,

per ciascun componente sono presi in considerazione i 2 (3 per i componenti degli enti di ricerca) prodotti che hanno avuto la valutazione migliore fra tutti quelli presentati dalla struttura di afferenza e che hanno il medesimo soggetto come  autore  o  coautore.  A  partire  dall’a.  a.  2018/19 ogni  prodotto  potrà essere considerato una sola volta nel calcolo relativo alla componente di ogni singola istituzione del Corso

In altre parole da un lato ANVUR diceva che nai casi  di coautoraggio il cedere un lavoro ad un coautore non andava a impattare su altre procedure come l’accreditamento del dottorato, dall’altro il MIUR dice che questo è vero ma solo per l’anno 2017/2018.

Da ultimo si segnala un problema tecnico non di poco conto. La fonte del MIUR per il calcolo degli indicatori è loginmiur. L’insistenza sull’uso di indicatori ASN implica che i membri del collegio abbiano verificato l’aggancio con gli id scopus e wos per i settori bibliometrici e abbiano indicato l’ISBN corretto per i settori non bibliometrici.

Per effettuare questi controlli i candidati ASN hanno avuto alcuni mesi a disposizione. Quanto tempo darà il MIUR ai collegi di dottorato per le eventuali verifiche ed allineamenti visto l’enorme ritardo  nella pubblicazione delle Linee guida e la necessità di fare partire i bandi?

E quale sarà l’arco temporale preso a riferimento? Quello della prima o quello della seconda finestra di abilitazione?

3. Dottorati innovativi: il “pasticciaccio brutto di Viale di Trastevere” continua

Continua la telenovela dei dottorati innovativi. In poco più di sette mesi arriva il terzo elenco di requisiti (qui i primi due: 31-8-2017 e 16-11-2016) per ottenere la chimerica qualifica di “dottorato innovativo”:

Fatto salvo il rispetto dei requisiti necessari per l’accreditamento iniziale come illustrati nelle linee guida di cui sopra, i dottorati potranno altresì essere qualificati come dottorati innovativi se presentano almeno una delle seguenti caratteristiche, che saranno accertate dall’ANVUR in sede di accreditamento del corso

Nel complesso, le caratteristiche sono abbastanza simili a quelle della Nota del Capo Dipartimento Università del MIUR, Marco Mancini datata 16 novembre. Un pot-pourri di caratteristiche, alcune delle quali artatamente “fumose”. Se si aspira a varare un dottorato “intersettoriale”, come si fa a giudicare se è inerente alle tematiche dell’iniziativa “Industria 4.0”? Non è forse vero per tutti o quasi i dottorati nell’area 09 (Ingegneria industriale e dell’informazione)? E per il dottorato interdisciplinare, quando davvero si può dire che tratti «ambiti tematici relativi a problemi complessi caratterizzati da forte multidisciplinarità»? Oppure, come si riconosce la «presenza di un tema centrale che aggreghi coerentemente discipline e metodologie diverse, anche con riferimento alle aree ERC»?

Possiamo solo immaginare come siano andate le cose. Prima si varano decreti ministeriali che promettono più fondi alla categoria dei dottorati innovativi, senza avere la benché minima idea di cosa si stia parlando. Poi parte l’assalto alla diligenza: chi può preme per inserire tra i requisiti quello che gli fa più comodo. E’ un’antica regola, quella delle regole ex post, ritagliate in base ai desiderata dei portatori di interesse che gestiscono il gioco regolativo. E il pot-pourri che ne risulta sta lì ogni volta a dimostrarlo.

Per chiudere l’argomento, chiediamoci cosa comporta assumere i superpoteri concessi dalla qualifica di “dottorato innovativo”. A quanto pare, i relativi requisiti non influenzano l’accreditamento, ma si traducono in moneta sonante. Tanti dobloni a pochi. Nelle note ministeriali, infatti, si fa riferimento all’art. 10, comma 1, lett. e) del DM 552/2016 (DM FFO 2016):

€ 251.135.762 destinati agli interventi di cui all’art. 60, comma 1, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 ed in particolare:
€ 135.435.762 per le Borse post lauream, di cui non più del 10% per assegni di ricerca, secondo i criteri di cui all’allegato 3, di cui:
a. € 128.435.762 da suddividere tra le Istituzioni universitarie;
b. € 7.000.000 da suddividere tra le Scuole Superiori ad ordinamento speciale.
Tali importi dovranno essere utilizzati per almeno il 60% dalle Università nell’ambito di percorsi che possano essere progressivamente adeguati alle finalità del PNR 2015 – 2017 con riferimento ai dottorati innovativi.
€ 59.200.000 per il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti da ripartire secondo i criteri definiti con il DM 29 dicembre 2014, n. 976, di cui almeno il 10% destinati alla mobilità internazionale dei dottorati innovativi nell’ambito di percorsi che possano essere progressivamente adeguati alle finalità del PNR 2015 – 2017

4. Lo strano Comunicato stampa del MIUR

Spesso la lettura dei Comunicati stampa del MIUR costringe a fare i conti con l’indecifrabile e caratteristico tratto della neolingua orwelliana. Non fa eccezione il comunicato cs140417, che annuncia trionfalmente le nuove linee guida, senza informare chi legge che, dietro le parole imbellettate, si cela un drammatico giro di vite all’offerta dottorale nazionale (come non ha tardato a comprendere anche l’ADI, l’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani).

Questa volta, però, MIUR, padre di ANVUR, ha superato se stesso. Al di là della neolingua, ha lavorato proprio di fantasia, rivendicando innovazioni e cambiamenti inesistenti. Vediamo qualche esempio.

Comunicato stampa cs140417:

Dall’anno accademico 2018/2019, tra gli elementi necessari per ottenere l’accreditamento dei corsi di dottorato, viene introdotta la verifica delle strutture in cui si svolge l’attività di ricerca, che devono possedere attrezzature e laboratori adeguati, un patrimonio librario e banche dati consistenti, software attinenti ai settori di studi e spazi e risorse per il calcolo elettronico.

Davvero, è stata introdotta adesso questa verifica? Ecco cosa era scritto nelle

Linee guida  2016

5.7.1 Il riferimento normativo

La disponibilità di specifiche e qualificate strutture operative e scientifiche per l’attività di studio e di ricerca dei dottorandi, ivi inclusi, a proposito della tipologia del corso, laboratori scientifici, un adeguato patrimonio librario, banche dati (anche di riviste, monografie e fonti per le discipline umanistiche) e risorse per il calcolo elettronico.

5.7.2 La verifica del requisito

L’accertamento della sussistenza dei requisiti si basa sull’autocertificazione per quanto attiene alla disponibilità di spazi adeguati per i dottorandi e di risorse per il calcolo elettronico. Saranno invece richieste e controllate nel modulo di proposta alcune informazioni sulla disponibilità di attrezzature e/o laboratori di particolare rilievo, sul patrimonio librario (consistenza in volumi e copertura delle tematiche del corso della biblioteca), sulle banche dati, intese come accesso al contenuto di insiemi di riviste e/o collane editoriali e sulla disponibilità per i dottorandi di strumenti software specificamente attinenti ai settori di ricerca previsti.

In particolare dovrà essere fornito un elenco di:

  1. laboratori con dotazioni disponibili (grandi macchinari, risorse assistenziali nel caso di dottorati clinici ecc.);
  2. biblioteche anche di ateneo o di dipartimento con consistenza libraria;
  3. le principali e-resources disponibili, con dichiarazione della presenza di quelle più

importanti per ciascuna delle aree del dottorato, come per esempio Mathscinet; Pubmed; Xplore; APA-Psycnet; J-Stor; Lexis-Nexis e EBSCO.

Facciamo il confronto con le

Linee Guida 2017

Requisito A7) Strutture operative e scientifiche- (rif. art. 4, c. 1, lett. e, del DM n. 45/2013)

Tale requisito è rispettato se risultano soddisfatte le seguenti condizioni:

I) attrezzature e/o laboratori adeguati rispetto alla tipologia di corso di dottorato;

II) patrimonio librario (consistenza in volumi e copertura delle tematiche del corso);

III) banche dati, intese come accesso al contenuto di insiemi di riviste e/o collane

editoriali;

IV) disponibilità di software specificamente attinenti ai settori di ricerca previsti;

V) spazi e risorse per il calcolo elettronico.

A partire dall’A.A. 2018/19 tale verifica sarà effettuata mediante le informazioni contenute nella SUA-RD.

Insomma, “innovazioni rosa che volano nel cielo” o, se si preferisce, il più classico dei nihil sub sole novi. L’unico cambiamento reale sta nel dover prendere atto che dal 2018/19 si farà ricorso alla SUA-RD.

Il Comunicato stampa rivendica anche il fatto che con le nuove linee guida il Collegio dei docenti deve garantire almeno per l’80% la copertura dei SSD del corso:

Viene qualificata maggiormente la composizione del Collegio dei docenti: deve garantire almeno per l’80% la copertura dei Settori Scientifico Disciplinari del corso.

Vediamo cosa dicevano le linee guida 2016 e mettiamole a confronto con quelle nuove.

Linee guida 2016

Il collegio deve garantire in linea di massima un grado di copertura pari ad almeno l’80% dei SSD. Ai componenti del collegio non afferenti a università verrà chiesto di indicare un SSD di riferimento.

Linee guida 2017

I componenti del collegio devono garantire un grado di copertura pari ad almeno l’80% dei Settori Scientifico Disciplinari del corso. Per i componenti non universitari, l’Università provvede a indicare il relativo SSD cui gli stessi sono associabili.

Quella che,  invece, sembra una vera novità è una noterella a piè di pagina che introduce una deroga a favore delle Scuole superiori ad ordinamento speciale. Questa deroga, però, non viene citata nel comunicato stampa:

Per le Scuole superiori ad ordinamento speciale, fermo restando che la numerosità minima del collegio può essere inferiore a 16, nell’ambito di tale numerosità possono essere conteggiati per 1 sola volta a livello nazionale i docenti provenienti da altre Università mentre i docenti della Scuola impegnati in collegi della stessa non possono partecipare a collegi di altri atenei.

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9 Commenti

  1. Contributo apprezzabile, questa regolamentazione non mi piace.
    Lo scandalo è un altro: attualmente, il DOTTORATO NON SERVE A NULLA.
    E’ per questo che il mondo accademico e gli ordinari di dovrebbero indignare e protestare con il Governo.
    Infatti, l’art. 17 della Legge 124/2015 (legge Madia) sulla riforma del lavoro nel settore della PA (precisamente “Art. 17. Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).
    Questa disposizione dovrebbe poter valorizzare il curriculum di una persona, come è scritto al 1 comma, lett. f, dell’art. 17: “valorizzazione del TITOLO DI DOTTORE di ricerca”. Dunque, si potrebbe procedere, nei concorsi della PUBBLIA AMMINISTRAZIONE ad una “scrematura”, utilizzando il curriculum di una persona e, soprattutto il TITOLO di dottore di ricerca.
    Attualmente NON E’ ANCORA USCITO IL DECRETO ATTUATIVO dell’art. 17, quindi il dottorato non serve a nulla.
    Indigniamoci per questo!!!!!!!!!!!!!!!!!

    • Il dottorato non serve a nulla?
      Discutiamone.
      Su 117 ragazzi che hanno completato il ciclo di formazione superiore (dottorato + eventuale postdottorato) nel mio gruppo di ricerca:
      21 sono liberi professionisti
      16 sono ricercatori in enti di ricerca o università italiane
      23 lavorano come pubblici dipendenti
      23 lavorano come dipendenti privati
      7 sono imprenditori
      27 hanno trovato lavoro all’estero (12 dei quali sono italiani, il resto stranieri)
      0 sono disoccupati.
      Sono numeri veri che corrispondono a persone e a posti di lavoro. Non statistiche.
      Per me la continua riduzione di possibilità di accesso al dottorato è la più grande sciocchezza che si possa fare, specie in un periodo di crisi occupazionale e di stagnazione economica come il presente.

  2. Qualcuno potrebbe spiegarmi il razionale dietro a queste decisioni? E’ stata fatta una analisi dei corsi di dottorato? Costano troppo? Non servono a nulla? Su quale basi l’ANVUR ha deciso di muoversi in questo modo?

    • La ragione, per tutti questi procedimenti valutativi, non è insito nell’oggetto da valutare, ma nell’ideologia che li promuove. Ideologia che a sua volta è di tipo economico e politico, dove il politico si nutre anche dell’economico ma non solo. Questo dovrebbe essere oramai chiaro se non altro per esclusione di qualsiasi altra ragione razionalmente controllabile (quantificazioni, algoritmi, somme e sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni), la quale, come è stato dimostrato in questa sede più volte, non regge alla verifica. Nonostante questo si (Anvur, Miur) procede a bulldozer.

  3. @epsy:
    sulla base del fatto che non c’è alcun contatto con la realtà.
    E’ come costruire una ruota, bella, meravigliosa, tutta d’oro, ma che non si può applicare ad alcuna macchina o carro o camion o bici: INUTILE!

    • «Nel 2014, a quattro anni dal conseguimento del titolo (2010), lavora il 91,5% dei dottori di ricerca mentre è in cerca di un lavoro il 7%. A sei anni dal conseguimento del titolo (2008) lavora invece il 93,3% (un valore ancora molto elevato e solo in leggera diminuzione rispetto all’edizione precedente) e cerca un lavoro il 5,4%. Permane dunque il vantaggio competitivo associato al dottorato di ricerca.
      L’occupazione è elevata in tutte le aree disciplinari, in particolare tra i dottori delle Scienze matematiche e informatiche e dell’Ingegneria industriale e dell’informazione (oltre il 97% lavora a sei anni dal dottorato e oltre il 95% a quattro anni); risulta più bassa tra i dottori delle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (intorno all’88% in media).»
      ___________
      ISTAT: L’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI DOTTORI DI RICERCA – Anno 2014
      http://www.istat.it/it/archivio/8555
      ___________
      Un dato che non deve far inclinare verso un eccessivo ottimismo. Se si legge il rapporto emergono anche delle ombre:
      ___________
      «Nel complesso, i dottori di ricerca assegnano un punteggio di poco superiore alla sufficienza, 6,9 punti su 10, all’esperienza complessiva del dottorato. La soddisfazione massima è espressa rispetto alla competenza del corpo docente e alla collaborazione con ricercatori e docenti (dove comunque il punteggio si assesta su 7,5 e 6,8, rispettivamente), mentre il giudizio sulla quantità delle attività formative offerte dal dottorato non raggiunge la sufficienza (5,9).
      Più soddisfatti risultano i dottori che durante il corso hanno svolto periodi di formazione all’estero, i quali attribuiscono un punteggio di 8,5 all’esperienza condotta fuori dall’Italia.
      Nonostante gli elevati tassi di occupazione e l’abbinamento relativamente buono della professione svolta con il titolo di studio, oltre un terzo dei dottori di ricerca non rifarebbe lo stesso corso di dottorato (39,3%), adducendo quale motivo principale l’insoddisfazione per gli sbocchi professionali offerti dal titolo (51,3%). I meno propensi a ripetere il percorso di dottorato sono i dottori in Scienze giuridiche e quelli in Scienze economiche e statistiche.»

  4. @Nicola Casagli:

    concordo sul fatto che la riduzione del dottorato sia cosa sbagliata, ci mancherebbe.
    Tuttavia, in un concorso della Pubblica Amministrazione ora il titolo di dottore di ricerca vale ZERO, purtroppo è così.
    Poi il Parlamento se ne è accorto, ha cercato di rimediare stabilendo, nella Legge 124/2015 (Legge Madia), all’art. 17, comma 1, lett.f la “valorizzazione del TITOLO DI DOTTORE di ricerca”.
    Poi il Governo emana alcun decreto attuativo e siamo punto a capo.
    Se il Parlamento ha dovuto mettere nero su bianco valorizzazione del “TITOLO DI DOTTORE di ricerca”, evidentemente sino ad ora non è stato valorizzato, NON LE PARE?
    Metto ,con copia in colla, l’art. 17, comma 1, lett. f, Legge Madia:
    “f) valorizzazione del titolo di dottore di ricerca, in
    attuazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 7,
    della legge 3 luglio 1998, n. 210, e dall’articolo 17, comma 111, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni”.

  5. Credo che per i valori soglia dei componenti del collegio docenti (che devono corrispondere a quelli dell’ASN)si riferiscono a prodotti della ricerca sino al 2016. Infatti, siamo ancora ad aprile e in moltissimi casi devono ancora uscire i numeri 1 del 2017 (per le riviste).

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