La mancanza di risorse di cui soffre l’università italiana pregiudica il raggiungimento degli obiettivi europei. Il Consiglio Universitario Nazionale lancia l’allarme in una lettera indirizzata alla Commissione cultura e istruzione del Parlamento Europeo: «Italy’s public expenditure on research and development is considerably lower than the average for OECD countries and has been cut drastically, especially since 2009. There has been a 20% reduction in academic and administrative staff numbers, and fewer researchers naturally mean a lower innovation potential. The low numbers of young Italians who actually graduate is also of concern, especially given the constant fall in University enrolments. Despite this, Italian researchers are acknowledged as performing well in comparison with Europe, but their low numbers preclude achievement of the objectives set for Italy in compliance with the principles set forth in the international agreements.»

La lettera del CUN fa riferimento al rapporto Internationalization of Higher Education commissionato dalla Commissione cultura e istruzione del Parlamento Europeo e allo Yerevan Ministerial Communiqué scaricabili dai seguenti link:

___________________________

Hon. Silvia Costa, Chair

Hon. Members of

the European Parliament’s Committee on Culture and Education

Brussel

 

Prot.n. 20914 del 18.11.2015                                                                                                           Rome, 18 November 2015

                                                                                                

 

Subject: Internationalisation of Italian Higher Education System

 

 

Dear Chair,

Dear Honorable Members,

It was with great interest that the Italian National University Council read the Directorate-General for Internal Policies’ Study on the Internationalisation of Higher Education, commissioned by the European Parliament’s Committee on Culture and Education.

The Council believes that this survey together with the Yerevan Ministerial Communiqué and The Fourth Bologna Policy Forum Statement adopted at the ninth EHEA Ministerial Conference are very important documents for the development of Higher Education and Research in Europe.

The creation of a European Higher Education Area is an essential premise for building an inclusive society with educational opportunities which support innovation and jobs. The construction of such a system, as stated in the Yerevan Communiqué, «is based on public responsibility for higher education, academic freedom and institutional autonomy»; «it relies on strong public funding and is implemented through a common degree structure, a shared understanding of principles and processes for quality assurance». It also needs concrete tools such as the mutual recognition of skills and competences in order to promote academic and student mobility.

The Council strongly desires that Italian Universities actively contribute to the creation of a European Area which is more cooperative than competitive.

The Italian Higher Education system has undergone an extensive reform process over the last 15 years, one of the aims of which was to assure its internationalisation. However, as the study highlights with specific reference to Italy, «reforms without resources are never easy» and rarely achieve their aims. Moreover, Italian «Universities have been required to internationalise in order to receive funding, rather than being funded in order to internationalise».

Italy’s public expenditure on research and development is considerably lower than the average for OECD countries and has been cut drastically, especially since 2009. There has been a 20% reduction in academic and administrative staff numbers, and fewer researchers naturally mean a lower innovation potential. The low numbers of young Italians who actually graduate is also of concern, especially given the constant fall in University enrolments.

Despite this, Italian researchers are acknowledged as performing well in comparison with Europe, but their low numbers preclude achievement of the objectives set for Italy in compliance with the principles set forth in the international agreements.

All this also has a negative impact on the internationalisation process. The initiatives of individual Universities and researchers and the partnerships that they have succeeded in activating, thanks in part to the underlying favourable socioeconomic situations, do mean that some progress has been made. However, much remains to be done to ensure that such initiatives are not restricted to individual institutions and researchers but are instead available to all Universities in Italy.

The Council recognizes that internationalisation cannot involve merely offering courses in English or employing academic staff originating from other countries, but requires the overhaul of the traditional educational pathways and didactic delivery methods and the creation of research environments capable of developing world-class expertise. Suitable mesaures are needed to assure this.

Italian Universities are still in need of modernisation. To this end, they must be freed of burdensome regulations and excessive red tape such as that created by recent legislation. These bureaucratic constraints are barriers to their innovation.

To meet all these challenges and enable our Universities to grow and become «strong players in the European and international arena», the commitment of the Government through tailored policies and adequate resources and regulations is needed.

Sincerely,

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32 Commenti

    • Certo che i soldi non sono un problema. Negli ultimi sei anni i posti a tempo indeterminato hanno hanno visto una variazione di +10.600 unità grazie ad un aumento del finanziamento ordinario dell’ordine del +20%. O forse sto sbagliando il segno? Non saper cogliere fenomeni macroscopici che si dispiegano sotto i propri occhi non mi sembra il miglior lasciapassare per aspirare ad una vita di studio e insegnamento.

    • anto@
      mi perdoni inventi lei un metodo migliore di reclutamento. Tutte le riforme hanno solo peggiorato la situazione..la retorica del merito..certo tutti siamo d’accordo (più o meno), ma appena dalle nuvole dei proclami si arriva alla concretezza dei criteri si rotola a valle…Non so come la pensi lei, ma epr una volta perfino il corrieraccio ha ammesso (sibillinamente in verità) che i finanziamenti per l’università sono ridicoli (come da anni sostiene nicolao meravigliao :) qua su roars). Allarghino i cordoni della borsa…ci diano finanziamenti e si tengano le riforme …mi sbaglio ?

  1. Se il Cun vuole ottenere qualcosa deve andare direttamente da Renzi.

    Se Renzi pensa che l’università sia una priorità la riformerà, altrimenti no.

    Se la Giannini si ricorda di essere stata Rettore e di conoscere i problemi dell’univ. Italiana, interverrà, altrimenti, se non ha interesse e vuole continuare ad occuparsi della scuola e basta, no.

    E’ inutile scomodare L’Europa, le regole purtroppo sono italiane.

    • Ragazzi ma io mi preoccuperei seriamente se Renzi intervenisse… meno male che l’università è al 40° posto nelle attenzioni del Pd…
      voglio dire, chi la vuole una riforma targata renzi?
      molto meglio rimanere così, no? Io non sento particolare bisogno di ridurre l’organico regolarmente assunto, pensare i contratti sul modello del jobs act, fare distribuzioni premiali stile vqr. Restiamo così, marci e senza soldi, che è comunque molto meglio.

    • @ ecolombo:
      il fatto è che, una volta capito che un progetto come “La Buona Scuola” può provocare reazioni, il Governo interverrà (e già lo sta facendo) sull’ Università a piccole dosi ma non per questo senza gravi conseguenze. Una qualche forma di “allontanamento” dalle regole del resto della PA è sicuramente in agenda. Gli ottimisti ci vedono la non obbligatorietà del MEPA o la possibilità di procedure burocratiche più snelle. Io temo piuttosto l’arrivo di ulteriori mostri giuridici (a costo zero) che aumenteranno i problemi invece di diminuirli.
      .
      Comunque nella visione degli esponenti del PD a Udine, il 2016 prevede sicuramente azioni del Governo sull’ Università. Estote parati.

    • giorgio pastore: «Una qualche forma di “allontanamento” dalle regole del resto della PA è sicuramente in agenda» è comunque meglio di «allontanamento dalla PA». Voglio dire, mi pare sbagliato rassegnarsi al fatto che il jobs act entrerà in università.
      E’ anche vero che l’1% di quelli che frequentano questi lidi sono saliti sui tetti ai tempi della discussione legge Gelmini (che altrimenti non sarebbe stata approvata), ma questo è un altro discors

    • @fausto_proietti

      Non mi risulta che da nessuna parte nel cosiddetto Jobs Act si parli di Università. Quindi, fino ad abrogazione della Legge 168/89 il jobs act non dovrebbe entrare. Fino a nuova legge.

    • @ Pastore
      Per i docenti, il jobs act non si applicherà perché siamo soggetti a particolari norme (personale non contrattualizzato). Al personale TAB, viceversa, si applicherà se – come pre – si applicherà alla PA in generale, nonostante le smentite del Ministro. Non c’è bisogno che ogni singola amministrazione sia nominata, perché determinate norme si applichino ad essa.

    • L’ affermazione che “Non c’è bisogno che ogni singola amministrazione sia nominata, perché determinate norme si applichino ad essa.” e’ in diretta contraddizione con il comma 2 dell’ art. 6 della legge 168/89:

      “2. Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. E’ esclusa l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare. ”

      (cfr. http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0098Normat/1668Istitu.htm )

      Non mi sembra che ci si possa girare attorno.

      Certo che se i diretti interessati (oltre al governo) ignorano le leggi che li riguardano, siamo messi molto male…

    • Caro Pastore, a quanto ne so il personale contrattualizzato (TAB) delle Università rientra a pieno titolo nella PA, il cui rapporto di lavoro è regolato dalla normativa vigente (d. lgs 165/2001, che prevede all’art. 51, comma 2 l’applicabilità alla PA dello statuto dei lavoratori) oltre che dalla contrattazione collettiva. L’autonomia universitaria non si estende certo al punto da poter modificare lo stato giuridico del personale. La sentenza della Corte di Cassazione da me richiamata (24157/2015), se estende – come fa – al personale della PA le modifiche allo Statuto dei lavoratori, e in particolare all’art. 18, non credo possa non applicarsi al personale universitario (non docente). Ma non sono un giuslavorista né un amministrativista, e sono pronto ad ammettere che forse qualcosa mi sfugge.

    • Nella due-giorni di Udine sull’ università del 23-24 ottobre organizzata dai responsabili PD per Università e Ricerca (tra cui Puglisi) è stato ricordato che i sondaggi (non è dato sapere quali) danno l’ Università al 40-esimo posto nelle preoccupazioni degli italiani.

      Questo significa che o è il mondo accademico tutto che riesce a portare il problema tra quelli urgenti o non sarà dall’ interno del Governo o del PD che verrà la spinta.

      In questo senso la lettera del CUN va nella direzione giusta. Il problema sono invece le tante componenti del mondo accademico che scelgono di ignorare la questione o di proporre più o meno fantasiose alternative al problema di base che resta quello di un sistema sottofinanziato e in via di drammatica contrazione.

  2. @Giorgio Pastore:

    verissimo, però le riforme universitarie sono state fatte in passato, male, con effetti negativi, ma la volontà di affrontare la situazione (nell’ultimo decennio) c’è stata (2000, rif. Berlinguer, 2010 (partendo da provvedimenti ministeriali 2008, 2009 Gelmini);
    ci sono poi state riforme che non sono state portate avanti adeguatamente (Mussi 2006-7), (Moratti 2005- di questa mi ricordo poco).

    Quello che voglio dire è che se ne è sempre parlato, ora invece, dopo la Gelmini sembra calato il silenzio (a livello politico).

    Addirittura è stato fatto (poi tolto di notte il c.d. “decreto merito” di PROFUMO), che non ha mai visto la luce (se lo ricorda? su Google si trova menzione, con data giugno 2013, poi non se ne fece più nulla).

    Con Letta, Renzi, Carrozza e Giannini non se ne discute più da anni….

    Basta capire quale è la miccia da accendere……..

  3. @giufe:

    ripristinare 3 fascia (ric. tempo ind.) e finanziare solo posti da ric. a tempo ind.

    non dare più abilitazioni, non chiamare più abilitati.

    Per 3 o 4 anni, solo posti (e tanti da ric. a tempo ind.), fare la piramide,
    cioè il contrario di quello che stanno facendo ora, cioè ora stanno costruendo la piramide inversa, reclutando un ric. a tempo det. e tanti prof. associati ed ordinari, che numeri alla mano erano già strutturati.
    In altre parole da 4 anni a questa parte stanno promuovendo chi era già strutturato e non stanno reclutando.

    Io, ormai disoccupato, a livello di libri (3 in 10 anni, materia giuridica) ho raggiunto la media della produzione dei libri di un associato o un ordinario nella stessa materia (appunto 3 libri io, 3 libri loro, ma io disoccupato, loro no).
    Spero di esserLe stato utile con questa mia spiegazione.
    NB: nelle materie giuridiche contano anche gli articoli, ma il clou è rappresentato dal numero di libri (monografie).

    • @anto:
      posso capire l’ amarezza derivante da certe comparazioni. Non sono solo di oggi. E neanche si tratta di problemi solamente italiani, nonostante la vulgata che vuole tutti il marcio in Italia e fuori solo rose e fiori.
      .
      Tuttavia la soluzione non puo’ essere nel ritorno al buon vecchio tempo antico. Sono mutate le condizioni al contorno. E una soluzione che riporti indietro le lancette dell’ orologio solo sul reclutamento non ha un grande respiro. Il motivo è banale. Il ruolo dei RTI non ha obblighi di didattica frontale. Ma nell’ Università del 2015 una forte contrazione dell’ offerta formativa non è più un timore ma una certezza. E una volta che arriviamo al crollo dell’ offerta formativa, si chiude. Nessuna università può permettersi di far solo ricerca.
      .
      Abbiamo la forza di azzerare più di un decennio di tagli, riforme e ancora riforme e tagli ?
      Ci sono soluzioni più in linea con le mutate condizioni ?
      .
      Ognuno ha la sua ricetta personale. Personalmente preferirei lasciare ai faraoni le “piramidi”. Non ne sento nessuna nostalgia, anche perche’ nel passato non ci sono mai state. Ma oggi come oggi qualsiasi soluzione al disastro non può che passare per un reale e prioritario rifinanziamento dell’ Università e Ricerca. Ma non le ridicole operazioni di facciata del Governo che restano sempre della serie “dai uno e tagli cinque”. O ci convinciamo tutti che questo è un prerequisito essenziale o continueremo ad affondare senza fine.
      .
      Per un precario potrebbe anche essere attraente invocare la distruzione finale di un sistema che emargina, anche con una buona dose di ipocrisia, intere generazioni di studiosi. Però, se in questo Paese contiamo di viverci, credo che nessuno possa gioire della distruzione in atto. Ho avuto abbastanza contatti con scienziati e studiosi che vivevano o vivono in paesi in via di sviluppo per avere qualche idea di cosa vuol dire per un paese una realtà di sottosviluppo culturale. Non l’ augurerei a nessuno.

    • Caro (o cara) anto,
      aggiungo che oltre a libri ed articoli, serve anche un livello minimo di qualità (il cui accertamento sarà pure discutibile, per carità). In assenza di tale livello minimo, si possono scrivere anche decine e decine di libri e centinaia di aticoli, ma l’abilitazione o il concorso non si superano.
      Cordialità,
      maf

  4. @Giorgio Pastore:

    siamo d’accordo, ci vuole un massiccio finanziamento.

    Ma negli ultimi anni le risorse sono andate a chi già era dentro.

    L’università è Pubblica Amministrazione: chi è dentro è “dentrissimo”, chi è fuori (come la ricercatrice senza contratto che ha scoperto ignoto 1, associato a Bossetti, nel caso Yara), è “fuorissimo”,
    e ciò non conviene a nessuno, ci perde la società.

    Qui la notizia:

    http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_21/yara-ricercatrice-svolta-ha-lavorato-gratis-3ba9829c-f90e-11e3-b86c-bac0e6d7d70d.shtml

    Cosa mi dice di questa notizia del 2014?

    Non è scandaloso tutto ciò?

    In un altro Paese avrebbe avuto un contratto.

    • In un altro Paese non avrebbe potuto lavorare gratis (ossimoro tutto italiano). Il contratto lo avrebbe avuto se ci fossero stati i soldi.

      E quindi torniamo al problema di partenza. Senza soldi si va avanti a “fichi secchi”.

  5. @MAFFoodandbeverage:

    La qualità è necessaria, se uno pubblica con il permesso e l’incoraggiamento dei propri Professori di riferimento, con case Editrici prestigiose ed affidabili in Italia e in Europa, in collane altrettanto prestigiose ed affidabili la qualità è “in re ipsa”.

  6. Mi permetto di dissentire: quelle elencate sono indubbiamente premesse incoraggianti, e nulla più. Non parlerei, dunque, di qualità “in re ipsa”: al massimo di anticamera, o sala d’aspetto (l’attesa nella quale, ahimé, può durare una vita intera, e anche molto più) della “qualità” necessaria per l’agognato risultato.
    Anche sull'”innovatività delle tesi” sarei molto prudente: per chi sa leggere tra le righe (e soprattutto per chi è ormai abituato ad un certo, diciamo così, “linguaggio tecnico”), le espressioni “innovativo” e “diligente”, riferite a lavori monografici, specie se di neofiti, sono, in una prospettiva abilitativo/concorsuale, pericolosissime e da evitare.
    Cordialità,
    maf

  7. MAFFoodandbeverage:

    consideri anche che c’è stato un prima ed un dopo.

    PRIMA:
    sino a circa 5 anni fa, si entrava all’Università attraverso una prova scritta e due orali, mi sto riferendo al ricercatore a tempo indeterminato.
    Un articolo era la ciliegina sulla torta. Al massimo una monografia…..mamma mia, era una cosa rara per un non strutturato che si accingeva a vincere.
    Poi uno entrava come ricercatore si poteva prendere i suoi 6 o 7 anni per produrre e diventare associato e poi ordinario oppure non fare nulla, arrivare a 6o anni come ricercatore e non avere scritto nulla
    Ciò per decenni, penso che si ricorderà….

    DOPO:
    Ora invece uno magari è costretto a fare articoli su articoli, libri su libri,10 articoli, 3 libri (parlo di materie giuridiche, dove 3 libri caratterizzano il curriculum medio di un ass. o di un ord.) e non entrare MAI!

    La qualità serve, ma non si può pretendere che un non strutturato di 35- 40 con un curriculum cmq validissimo debba avere, per entrare, lo stesso curriculum (eccelso) di un ordinario di 70 ANNI!

    Dico bene?

    • Non concordo. E’ una visione parziale che probabilmente guarda solo ad un particolare settore.
      In altri settori, praticamente dall’ origine del ruolo dei ricercatori, la presenza di pubblicazioni è stata condizione necessaria (ma non sufficiente) per avere chances di vincere un concorso.
      Ma l’ affermazione più distorsiva della realtà dei fatti è forse quel “…si poteva prendere i suoi 6 o 7 anni per produrre e diventare associato oppure non far nulla…”. Onestamente, detta così, lo trovo offensivo per tutti quei ricercatori che pur avendo prodotto per molto più dei 6,7 anni di cui parla non sono mai diventati associati, non necessariamente per mancanza di “merito” ma per mancanza di concorsi con scadenze certe e senza vincitori predestinati.

      Senza nulla togliere alla situazione drammatica attuale, vorrei sottolineare che il periodo dell’ entrata in ruolo facile c’e’ stato. Ma riguarda il pre-382, con la necessità di reperire in tempi brevi docenza universitaria negli anni ’70. Gli effetti sono manifesti nella gran quantita’ di pensionamenti di questi anni. Il periodo post-382, post-giudizi di idoneita’, e’ stato caratterizzato invece da un’ assoluta aletorietà e rarefazione delle scadenze concorsuali. Con penalizzazione immeritata di molti. E il fenomeno di persone che hanno tentato per anni di entrare in ruolo senza successo non è assolutamente una novità di oggi.

      Detto questo, sull’ ingiustizia generazionale per cui oggi, per diventare Ricercatore a tempo determinato di tipo b, occorre avere un curriculum che negli anni ’60 avrebbe/ha assicurato a molti una cattedra, concordo in pieno. Tuttavia converrebbe guardarsi attorno e capire che alcuni problemi non sono solo italiani. Il “sovraffollamento” in alcune aree di post-doc, rispetto al numero di posizioni disponibili è una realta’ in talune aree (p.es. biologia) anche negli USA. Occorre percio’ capire che c’e’ un problema complesso per il quale non ci sono soluzioni semplici o bacchette magiche. E che, senza risorse, il problema complesso diventa un dramma insolubile.

  8. @Giorgio Pastore:

    è ovvio che servono i soldi, ma mi chiedo
    perché la mia frase
    “…si poteva prendere i suoi 6 o 7 anni per produrre e diventare associato oppure non far nulla…”.
    Le sembra offensiva?
    Chi sta meglio? Il ric. a tempo ind. che falliva per i motivi che Lei ha detto (ma che avrebbe conservato lo STIPENDIO A VITA, con possibilità di accendere un mutuo, mettere su famiglia e emanciparsi dai genitori) o il precario che non ha più nulla?
    Non dovrei forse sentirmi più offeso io (dalla situazione ovviamente) che sono espulso dopo 11 anni di produttività (che ancora continua in quanto mantenuto dai miei genitori come un adolescente?).

    Guardi che fare entrare giovani con curriculum brillante è anche interesse della società e dovrebbe essere interesse degli stessi associati ed ordinari, altrimenti come portano avanti la ricerca? Chi mettono in commissione di esame? Dovranno nominare cultori della materia i bidelli. Infatti, non ci saranno più dottorandi (vedono me – e un milione di anime in pena di ricercatori precari come me – a che serve?).
    Quei pochi che faranno il dottorato diranno all’ordinario: “Non mi rompere, vengo quando voglio, una volta al mese tanto il dottorato non porta a nulla e non ci sarà mai sbocco”……”non mi vuoi fare prendere il titolo di dottore di ricerca? non importa, tanto non serve a nulla….”.

    In questo senso, occorrerebbe, da parte degli strutturati, anche (e non solo) nel loro interesse, un po’ di lungimiranza, che si dovrà tradurre in un unico pensiero :”basta promozioni di chi ste già dentro, fate entrare solo precari, sarà utile anche per noi”.

    Altrimenti, io cambierò mestiere, ma gli associati e gli ordinari non avranno più interlocutori (né collaboratori), saranno SOLI, assistenti di se stessi,
    e, quel punto, non so chi starà meglio o peggio.

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