Gli obiettivi generali dell’Indagine Eurostudent[1] sono il monitoraggio delle condizioni di vita e di studio degli studenti universitari in Italia e l’analisi comparata degli aspetti più rilevanti della condizione studentesca nei paesi europei. Un ulteriore, specifico focus della Settima Indagine Eurostudent è stato costituito dall’analisi dell’impatto della crisi economica sulla condizione studentesca nelle università italiane. Poiché l’Indagine Eurostudent si concentra sugli studenti iscritti, dai suoi obiettivi esulano sia l’analisi della transizione dall’istruzione secondaria a quella superiore, sia le tendenze dell’accesso all’istruzione superiore. Pertanto, non è stato compito dell’Indagine quantificare un’eventuale riduzione dell’accesso e quanta parte di tale eventuale riduzione sia ascrivibile all’impatto della crisi economica di questi anni. Piuttosto, Eurostudent ha mostrato come alcuni cambiamenti nei modi di vivere e di studiare siano stati indotti dalla crisi. Inoltre, essa ha indicato come anche le scelte per il futuro siano finalizzate a fronteggiare gli effetti di tale crisi.

 

  1. I cambiamenti nella composizione sociale della popolazione studentesca

Immagine1L’Indagine ha rilevato una riduzione della presenza di studenti provenienti da famiglie di condizione socio-economica non privilegiata (genitori con livello di istruzione medio-basso e/o con occupazioni da “colletti blu”; grafico 1). Poiché la composizione della popolazione studentesca non è strutturalmente cambiata in conseguenza di tale riduzione, questo risultato appare una conferma del fatto che gli effetti più pesanti della crisi si sono avuti nel corso degli studi secondari, oppure prima dell’accesso all’università. In alcuni casi, il mancato accesso può essere stato la conseguenza di un vincolo, ossia il frutto dell’impossibilità di sostenere i costi degli studi. In altri casi, invece, esso può essere stato la conseguenza di un’analisi razionale del value for money, vale a dire di una valutazione negativa dell’investimento in formazione per migliorare la posizione sociale, trovare un buon lavoro e raggiungere rapidamente il livello di reddito desiderato.

 

  1. La riduzione del lavoro studentesco, e della capacità di auto-finanziamento degli studi

Immagine2Il lavoro studentesco è diminuito di circa un terzo, dal 39% della precedente edizione all’attuale 26% (grafico 2). La riduzione è frutto principalmente dell’impatto negativo della crisi economica sull’occupazione giovanile. La riduzione del lavoro studentesco riproduce le tendenze territoriali del mercato del lavoro: infatti, l’Indagine segnala sia le maggiori difficoltà di accesso al lavoro di chi studia nelle università del Sud del paese, sia la maggior contrazione nelle regioni del Nord-est, caratterizzate in precedenza da una diffusione del lavoro studentesco più alta della media.

L’analisi del bilancio economico degli studi indica che il lavoro costituisce la seconda fonte di entrata per gli studenti, contribuendo per oltre il 20% delle entrate medie totali. Per gli studenti in condizione socio-economica non privilegiata, l’integrazione derivante dal lavoro è decisiva per il buon esito dei loro progetti e dell’investimento fatto dalle loro famiglie. Per questo motivo, la difficoltà di accesso al lavoro comporta per questi studenti la riduzione della possibilità di contribuire ai costi di mantenimento agli studi con l’auto-finanziamento; di conseguenza, il peso del finanziamento degli studi ricade più di prima sulle famiglie degli studenti, favorendo chi dispone di mezzi adeguati e penalizzando studenti e famiglie in condizione socio-economica non privilegiata.

L’Indagine mostra come il lavoro studentesco sia motivato solo in parte dal bisogno economico. In molti casi, lavorare soddisfa l’aspirazione all’autonomia degli studenti, riducendo la dipendenza (non solo economica) dalla famiglia di origine. Dall’altro, il ricorso precoce al lavoro si pone l’obiettivo di arricchire il bagaglio delle competenze (in termini di hard e di soft skills) acquisite attraverso la formazione accademica, per fronteggiare meglio le difficoltà del mercato del lavoro  in questi anni di crisi economica. La riduzione del lavoro studentesco comporta, inoltre, un secondo rischio, perché riduce anche le opportunità di arricchire il bagaglio di competenze individuali e rallenta lo sviluppo di individualità più autonome e responsabili.

 

  1. Lo stallo del sistema del diritto allo studio (Dsu) e la crescita del divario territoriale fra Sud e Centro-Nord

La crescita dell’area d’intervento del sistema del Dsu, che si è registrata nel decennio precedente, si è arrestata nell’ultimo triennio. Le dimensioni del Dsu non sono cambiate ma l’Indagine segnala rilevanti cambiamenti nella diffusione delle tipologie di aiuti erogati: gli studenti che hanno avuto la borsa di studio sono diminuiti, mentre sono aumentati gli studenti che hanno ottenuto l’esonero totale o parziale dalle tasse. In questi anni gli aiuti economici indiretti hanno sostituito quelli diretti, limitando le conseguenze negative di una consistente riduzione del finanziamento delle borse di studio. Inoltre, l’aumento del numero di studenti con esonero totale, accompagnato dalla riduzione del numero di borse erogate, ha determinato la crescita del numero di “idonei non beneficiari” (studenti che hanno i requisiti richiesti ma che non ottengono la borsa di studio perché i fondi stanziati sono insufficienti). Ciò si risolve in una diminuzione dell’equità del sistema, capace di individuare i destinatari del sostegno ma sempre meno capace di sostenerli realmente.

Immagine3L’Indagine segnala inoltre che è cresciuto il divario territoriale del Dsu (grafico 3). La capacità di intervento è più estesa nell’Italia settentrionale, soprattutto nel Nord-est  dove più del 40% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti economici. La capacità è meno estesa  nel Mezzogiorno, soprattutto nelle Isole dove meno del 30% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti economici. Di conseguenza, oggi in Italia si fronteggiano un Centro-Nord che, pur a fatica, sembra meglio “tenere la posizione” e un Mezzogiorno che invece, in conseguenza della riduzione delle risorse disponibili e del volume di interventi realizzati, si è allontanato dal resto del Paese. La crescita delle differenze fra sistemi territoriali del Dsu appare uno degli impatti più gravi della crisi economica sulla condizione studentesca, in termini di equità e d’inclusione sociale.

La maggior difficoltà degli studenti meridionali è confermata dalla valutazione della difficoltà economica: fra gli iscritti nelle università meridionali la percentuale di studenti in difficoltà sale dal 25% al 32%. Per questi studenti l’Indagine ha rilevato il livello più basso di risorse disponibili e il maggior scompenso fra uscite ed entrate. C’è un legame diretto fra la riduzione delle dimensioni del supporto pubblico e l’aumento delle difficoltà economiche degli studenti. Le maggiori difficoltà economiche sperimentate dagli studenti meridionali possono spiegare fenomeni quali l’aumento della migrazione verso le università del Centro-Nord (vedi oltre).

 

  1. Le scelte di fronteggiamento delle difficoltà indotte dalla crisi

4.1 La transizione differita (e l’accesso differito)

Un certo numero di studenti hanno rinviato l’accesso all’università con l’obiettivo di esplorare il mercato del lavoro, alla ricerca di un collocamento più o meno duraturo, o con l’obiettivo di acquisire risorse per finanziare i propri studi, integrando il supporto delle famiglie di origine. L’Indagine comparata Eurostudent segnala che l’accesso differito all’università (delayed access) è un fenomeno in crescita nella maggior parte dei paesi europei. Anche la transizione differita dal primo al secondo ciclo di studi universitari (delayed transition) è sempre meno infrequente, a causa della ricerca di un contatto precoce con il mercato del lavoro con l’obiettivo di migliorare le prospettive di occupabilità.

4.2 Una strategia per la sopravvivenza: restare “a casa” e studiare da pendolari

grafico 4La quota di studenti pendolari è notevolmente cresciuta con l’avvio delle riforme previste dal Processo di Bologna, all’inizio del decennio scorso (grafico 4). I pendolari costituiscono, attualmente, il 50,1% degli studenti che frequentano con regolarità le lezioni; essi sono una quota anche più alta fra quanti provengono da famiglie in condizioni socio-economiche non privilegiate (grafico 5). grafico 5Il pendolarismo appare come una “strategia di sopravvivenza” di studenti che devono fronteggiare un rilevante aumento dei costi degli studi e una minore capacità di sostegno delle famiglie (una difficoltà che il perdurare della crisi economica rende particolarmente rilevante). Questi studenti non rinunciano a studiare ma attuano scelte di studio compatibili con la loro condizione e con le risorse di cui dispongono, anche rinunciando a scelte più ambiziose. Scegliere sedi di studio raggiungibili con il pendolarismo ha contribuito a mantenere relativamente alti i tassi di accesso all’università post-riforma ma ha anche accresciuto il localismo – almeno in parte forzato – delle scelte degli studenti.

4.3 Una strategia per il successo: trasferirsi verso opportunità migliori

In un caso su tre gli studenti hanno seguito una “strategia per il successo”, finalizzata a ricercare le migliori prospettive di riuscita dell’investimento di risorse economiche e personali, fatto dagli studenti stessi e dalle loro famiglie. Ciò può spiegare perché in questi anni la riduzione delle immatricolazioni abbia  riguardato in maniera differente le diverse aree disciplinari e le diverse sedi di studio, e perché sia tornata a crescere la cosiddetta “emigrazione per studio” dal Sud verso le università del Centro-Nord. In queste regioni i costi di mantenimento agli studi sono più alti della media ma ci sono migliori prospettive di accesso al mercato del lavoro (per integrare il finanziamento delle famiglie) e al sistema di welfare studentesco e territoriale (per ottenere aiuti economici e servizi).

 

5. Il cambiamenti dei comportamenti e l’incremento del tempo di studio

Immagine4Nei venti anni[2] monitorati dall’Indagine Eurostudent, l’impegno degli studenti è cresciuto con regolarità: il monte ore settimanale per attività di studio è aumentato di circa il 38% rispetto ai primi anni ’90, ed è ora di 44 ore/settimana. A queste si aggiungono, per gli studenti che lavorano, altre 4,3 ore/settimana (grafico 6). L’Indagine segnala che esiste una relazione fra il crescere dell’impegno di tempo nello studio e la riduzione – per effetto della crisi economica – del numero di studenti che lavorano. La riduzione del lavoro ha reso disponibile una quota di tempo che molti studenti hanno reinvestito nello studio più che nel tempo libero. Questa tendenza appare rinforzata dall’incertezza del futuro, anche questo un effetto della crisi economica, che induce molti studenti a una più chiara assunzione di responsabilità individuale, con la scelta di aumentare l’investimento di energie nello studio.  Questo impegno è manifestato soprattutto dagli studenti fuori sede, che hanno incrementato il tempo di studio più degli altri gruppi.

 

(Apparso originariamente su e ripubblicato per gentile concessione della rivista Universitas, numero 138, Dicembre 2015)

 

[1] La Settima Indagine Eurostudent ha analizzato le condizioni di vita e di studio degli studenti universitari italiani iscritti a corsi di primo ciclo, di secondo ciclo o a ciclo unico (laurea, laurea magistrale, laurea magistrale a ciclo unico) nell’anno accademico 2011-2012. L’Indagine è stata promossa e co-finanziata dal Miur – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ed è stata realizzata dalla Fondazione Rui con la collaborazione dell’Università per Stranieri di Perugia. L’Indagine italiana è stata condotta nell’ambito del progetto di analisi comparata “Eurostudent V 2012-2015 – Social and economic conditions of student life in Europe”.

[2] La prima indagine risale al 1995 e riguarda l’a.a. 1993-94. Tutte le indagini possono essere scaricate dal sito www.eurostudent.it. Sul sito www.eurostudent.eu è scaricabile l’indagine comparata europea Eurostudent V.

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1 commento

  1. Non che sia una novità, ma ancora una volta resto allibito dalle differenze nel diritto allo studio tra Regioni diverse.
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    Certamente, la disuguaglianza tra Nord e Sud ha ragioni profonde e non può essere risolta con la bacchetta magica: ma questo riguarda il tessuto produttivo, le infrastrutture, al limite la criminalità organizzata…
    Che tale disuguaglianza sia “istituzionalizzata” da un miglior sostegno agli studenti nelle regioni già di per sé più ricche è un’ignominia.
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    (E meno male che la Repubblica dovrebbe rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale etc etc…)

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