Per quanto attiene alla riproduzione dei beni culturali, a partire dalla legge Ronchey i ricercatori si sono trovati di fronte a limitazioni nell’uso delle strumentazioni o nel numero di fotografie realizzabili; in alcuni casi addirittura alla proibizione di qualsiasi ripresa fotografica. Tutto questo mentre il quadro normativo delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio prevederebbe esplicitamente la gratuità delle riproduzioni richieste per finalità culturali. Per quanto attiene alla pubblicazione, pur essendone garantita la gratuità, le prassi burocratiche comportano tempi e oneri che di fatto limitano tale possibilità. Sono oltretutto oneri che hanno un costo significativo per l’amministrazione. Se non vogliamo innescare un circolo vizioso di decrescita della fruizione del patrimonio culturale bisogna che simili logiche economicistiche vengano contrastate e superate.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente di appello Andrea Brugnoli e Stefano Gardini
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Appello a Massimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella riproduzione di beni culturali
L’avvento della fotografia digitale ha messo a disposizione degli studiosi la possibilità di riprodurre con notevoli semplificazioni nelle tecniche di ripresa – e soprattutto a costo praticamente nullo – tutte quelle testimonianze del passato, siano esse scritte, grafiche o materiali, sulle quali si basa la loro ricerca, contribuendo al contempo alla loro preservazione.
Ancor più è nella possibilità di condividere il materiale, sia nella fase di studio come in quella di edizione, che si possono aprire rilevanti prospettive per la ricerca, anche in ragione di un contenimento dei costi che permetterebbe di far meglio fronte ai tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla riduzione dei servizi da parte degli enti di conservazione.
Per quanto attiene alla riproduzione dei beni culturali, a partire dalla legge Ronchey, che ha introdotto un modello di difesa di diritti economici legati al loro sfruttamento, i ricercatori a livello pratico si sono trovati di fronte via via a limitazioni nell’uso delle strumentazioni o nel numero di fotografie realizzabili; in alcuni casi addirittura alla proibizione di qualsiasi ripresa fotografica, soprattutto laddove siano stati affidati in outsourcing i servizi di riproduzione con precise clausole di esclusività. Si è poi affermata, in base a una circolare ministeriale relativa agli archivi e velocemente ripresa come modello in altre sedi, l’imposizione di tariffe anche quando sia lo stesso studioso a scattare le foto (Circolare del MIBAC, n. 21 del 17 giugno 2005): tutto questo mentre il quadro normativo complessivamente delineato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), in questo erede di un’antica tradizione, prevederebbe esplicitamente la gratuità delle riproduzioni richieste dagli utenti per finalità culturali ad esclusione del solo ed eventuale rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione.
Per quanto attiene alla pubblicazione di tali riproduzioni, pur essendone garantita la gratuità, le prassi burocratiche di concessione comportano tempi e oneri che di fatto limitano tale possibilità, tanto più nel caso di edizioni digitali o distribuite on line. Sono oltretutto oneri che hanno un costo significativo per l’amministrazione senza che vi si possa scorgere alcun vantaggio.
Ci si rende dunque facilmente conto che se non vogliamo innescare un circolo vizioso di decrescita della fruizione del patrimonio culturale bisogna che simili logiche economicistiche vengano contrastate e superate.
Il punto di partenza potrebbe essere quello di considerare i beni culturali come “beni comuni” anche nei diritti connessi, dunque anche nella loro riproduzione, qualora non vi sia scopo di lucro. Da questo potrebbe discendere un’esplicita indicazione normativa circa la libera riproducibilità e soprattutto la diffusione di immagini di beni culturali senza alcun onere, qualora questo rientri in un progetto di ricerca scientifica o comunque in attività non lucrative, fatte salve motivate esigenze di tutela e conservazione, oltreché di eventuali diritti d’autore.
Tali disposizioni dovrebbero valere sicuramente per i beni culturali pubblici, ma anche ‑ in ragione di un superiore interesse collettivo ‑ per quelli posseduti, detenuti o depositati presso soggetti di qualsiasi altra natura, analogamente a quanto disposto in materia di consultabilità degli archivi privati di notevole interesse storico dalla normativa archivistica già dal 1963.
Per ragioni di semplificazione burocratica – con tutti i risparmi che comporta ogni singolo passo fatto in questa direzione – andrebbero anche riconsiderati la procedura di concessione per la diffusione delle immagini nelle pubblicazioni e l’obbligo di deposito degli originali presso il soggetto conservatore (perlomeno per quanto previsto dalle circolari, dal momento che il codice dei Beni culturali prevede questo solo per le raccolte a fini di catalogo), riformulandoli come un dovere di comunicazione preventiva del progetto scientifico e un impegno al deposito delle copie della pubblicazione o la garanzia di accesso alle versioni online.
Si tratta di un insieme di proposte, d’altronde, che rientrerebbero pienamente nel quadro di promozione dell’accesso aperto alla ricerca scientifica perseguito da direttive europee accolte a livello nazionale. Una prassi più liberale e ispirata a principi di gratuità del servizio pubblico essenziale potrebbe essere, infine, un inaspettato volano di sviluppo culturale, trasformando la tragica contrazione delle risorse a disposizione della ricerca scientifica in stimolo alla ricerca di nuovi modelli di condivisione aperta.
Andrea Brugnoli – Stefano Gardini
Per un approfondimento sul tema si rimanda a:
Andrea Brugnoli – Stefano Gardini, Fotografia digitale, beni archivistici e utenti: l’impiego e la diffusione di una nuova tecnologia nella normativa e nelle iniziative dell’amministrazione archivistica, «Archivi & Computer», XXIII (2013), 1, pp. 213-256
Mi unisco volentieri all’appello a Massimo Bray, Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo per la semplificazione amministrativa e la liberalizzazione nella riproduzione di beni culturali.
Le richieste da parte degli archivi e delle biblioteche (anche tre copie del volume pubblicato nel caso dell’Archivio di Stato di Firenze) limitano fortemente la diffusione di materiale di straordinaria rilevanza storica, spesso inaccessibile anche in originale.
L’appello mi trova totalmente d’accordo, e apprezzo che (finalmente?) sia la comunità accademica a rendersi conto dell’anacronismo dell’insieme di norme che regolano la riproduzione di beni culturali.
Mi perdonerete perciò se aggiungo una piccola critica, che spero risulti costruttiva: trovo quasi altrettanto anacronistico identificare l’utilizzo “per fini di ricerca” e “senza fini di lucro” come una eccezione che non andrebbe a intaccare la regola valida per tutti gli altri. Il richiamo ai beni comuni è assolutamente appropriato, ed è esattamente questa natura di beni comuni che rende secondo me controintuitivo rivendicare solo per i ricercatori la libertà di riproduzione. Fatte salve tutte le norme relative alla tutela dei beni (movimentazione di documenti in archivio, reperti dai magazzini, etc), la libertà di riproduzione e riutilizzo dovrebbe essere garantita a tutti indipendentemente dallo scopo. Come è noto sono pochissimi i luoghi della cultura che hanno ricavi di una qualche entità derivati dai diritti di riproduzione, e si potrebbe pensare che quelli, e solo quelli, venissero regolamentati in modo più ristretto. Sono un archeologo, quindi ho forse un punto di vista diverso rispetto all’autore dell’articolo.
Sulle difficoltà (e assurdità) di una definizione corretta del “senza fini di lucro” rimando alle lunghe discussioni svolte da anni intorno alle licenze Creative Commons (parziale riassunto qui http://wiki.creativecommons.org/4.0/NonCommercial ) e noto che la pubblicazione e vendita di un volume accademico stampato o digitale è “con fini di lucro” anche se a farla è una istituzione universitaria. Questo è solo un esempio banale, mi rendo conto, ma la questione di presta ad equivoci abbastanza fastidiosi.
È comunque evidente che da più parti si chiede una riforma delle norme in questione (qualche mese fa era stata anche tentata una riforma tramite il decreto del fare, poi naufragata) e sarebbe molto importante fare fronte comune in merito. Forse un giorno potrò passare ore serene in museo, senza dover ripetere a turisti di tutte le nazionalità che purtroppo non si possono scattare foto lì dentro. Magari loro saranno entusiasti e pubblicheranno le foto sui loro profili social, su Flickr, su Wikipedia, e il museo dove lavoro avrà più visitatori, avrà un significato più ampio perché più persone avranno potuto fruirne appieno.
Grazie per lo spunto,
Stefano
Mi assecondo al commento di Stefano dicendo che, per esempio, nel quadro normativo attuale è abbastanza difficile fare in modo che, per esempio, le foto di un bene culturale possano essere rilasciate con una licenza libera (e.g. la Creative Commons – Attribuzione – Condividi allo stesso modo [CC-BY-SA]) e che vengano messe su Wikipedia.
Wikimedia Italia, di cui sono il vicepresidente, ha lavorato duramente l’anno scorso per stringere un accordo con il MiBAC, limitato sullo allo scorso anno, per realizzare il concorso Wiki Loves Monuments in Italia (http://www.wikilovesmonuments.it), per quest’anno ci stiamo ancora lavorando (e il concorso scade fra pochi giorni). In un mondo ideale i cittadini italiani dovrebbero essere incentivati a illustrare il loro patrimonio culturale e artistico su Wikipedia.
Cristian Consonni
Vicepresidente di Wikimedia Italia.
Bisogna fare attenzione a tenere distinti due piani: quello del diritto d’autore (l. 633/1941) e quello dei beni culturali (d.l. 42/2004).
Il diritto d’autore riguarda – per quanto stiamo discutendo – appunto gli eventuali diritti dell’autore delle fotografie o i diritti sulle riproduzioni fotografiche nel caso di opere dell’ingegno di autori viventi o morti da meno di 70 anni. L’applicazione di licenze creative commons alle riproduzioni di beni culturali potrebbe semmai essere utile per evitare che vi sia uno sfruttamento commerciale da parte di terzi di beni comuni, anche se per questo forse sarebbe sufficiente il Codice civile. Queste licenze potrebbero inoltre tutelare i diritti morali dei fotografi, attualmente spesso negati dal momento che si considera la foto di documenti o oggetti materiali come mera riproduzione (dunque non soggetta alla legge sul diritto d’autore), oppure, qualora la foto possa rientrare nel novero delle “semplici fotografie” (nel caso di riproduzioni di opere d’arte figurativa), la consegna dell’originale prevista dal codice dei Beni culturali assicura all’ente proprietario del bene la piena disponibilità degli eventuali diritti connessi (anche se una recente sentenza della Corte costituzionale ha precisato come l’elenco del secondo comma dell’art. 87 della legge sul diritto d’autore che appunto specifica queste distinzioni sia meramente esemplificativo).
Le limitazioni (e le inutilmente complesse prassi burocratiche) vengono tutte dal codice dei Beni culturali e dalle circolari ministeriali seguenti, basate (anche in senso estensivo, come l’applicazione di tariffe anche per l’esecuzione di riproduzioni con mezzi propri) sui principi sanciti dalla legge Ronchey (l. 4/1993) per la fruizione dei beni culturali e la loro concessione a terzi.
Quanto alla distinzione tra attività di ricerca e studio e fini di lucro essa è fissata da una Circolare del Ministero BB.CC.AA. (Gabinetto, Servizi aggiuntivi, n. 50, 7 giugno 1995): la concessione è a titolo gratuito qualora la pubblicazione abbia carattere scientifico (occorre fornire gli opportuni elementi ed eventualmente inviare copia degli ultimi numeri della rivista) o non abbia fini di lucro oppure abbia una tiratura inferiore alle 2.000 copie e un prezzo di copertina che non superi 77,47 Euro (le ultime due condizioni devono entrambe coesistere).
Quanto alla definizione di “attività di ricerca e studio” penso che sia sufficientemente ampia da permettere qualsiasi uso non commerciale: eventualmente potrebbe essere precisata (sul modello di quanto avvenuto nell’ambito del diritto d’autore) nella formula “attività di ricerca e di studio, finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale”.
È pertanto sul piano del Codice dei beni culturali che si deve agire. Purtroppo la discussione di questi giorni alla Commissione cultura del Senato sembra andare in direzione contraria, ribadendo le linee della legge Ronchey, dal momento che deliberando della destinazione dei canoni di concessione da destinare al funzionamento degli istituti e dei luoghi della cultura si è inserito un esplicito riferimento ai canoni per le riproduzioni dei beni culturali («impegna il Governo ad interpretare la predetta norma del Codice come comprensiva dei corrispettivi per le copie e le riproduzioni fotografiche»). E’ ben ovvio che con queste premesse le aspettative legate allo sfruttamento economico delle riproduzioni di beni culturali vengano poste alla base della stessa esistenza degli enti conservatori, rendendo viepiù difficile ogni forma di liberalizzazione, a scapito solo della ricerca e della cultura e probabilmente, sulla lunga distanza, contro gli stessi interessi degli enti.
Inserisco qui in calce una prima bozza di proposte di modifica al codice dei beni culturali (d.l. 42/2004), che mi permetto di sottoporre all’attenzione di quanti vorranno suggerire miglioramenti.
Un primo emendamento potrebbe semplificare, con notevole risparmio anche per la pubblica amministrazione, una procedura che attualmente prevede un decreto di concessione, assai oneroso in termini di gestione burocratica, in modo da garantire un’effettiva circolazione delle informazioni in ambito scientifico, didattico o divulgativo, anche per pubblicazioni on line.
– All’articolo 106 è aggiunto il seguente punto: “Per la pubblicazione di riproduzioni effettuate con mezzi propri per motivi di studio, finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale la concessione è assolta attraverso comunicazione all’ente detentore del bene di cui all’articolo 2 e il successivo deposito di copia della pubblicazione o garanzia di accesso alla sua versione on line”.
Altro emendamento potrebbe affermare che la riproduzione di beni culturali in possesso di soggetti pubblici deve essere sempre consentita eccetto nei casi in cui verificabili ragioni di particolare rilevanza inducano a negare il consenso.
– All’articolo 107, comma 1, le parole “possono consentire” sono sostituite dalla parola “consentono”; le parole “fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore” sono sostituite dalle seguenti: “fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 o per motivate esigenze di tutela dell’integrità del bene o della sua destinazione d’uso, o il rispetto delle norme in materia di sicurezza pubblica, riservatezza e trattamento dei dati personali e diritto d’autore”.
Un terzo emendamento potrebbe liberalizzare, come avviene nella maggior parte dei paesi europei, la pratica di effettuare riproduzioni digitali da parte degli studiosi.
– All’articolo 108, comma 3, dopo le parole “per motivi di studio,” sono aggiunte le parole “o per finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale”; in fine sono aggiunte le seguenti parole: “In ogni caso nessun canone o rimborso è previsto per riproduzioni effettuate con mezzi propri per motivi di studio, finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale”.
Un quarto emendamento potrebbe garantire la tutela dei diritti morali dell’autore delle riproduzioni, che, se effettuate direttamente dallo studioso, sono spesso parte integrante di un organico progetto scientifico.
– All’articolo 109 comma 1 è aggiunto il seguente paragrafo:
“c) l’ulteriore utilizzo delle riprese o fotografie depositate dovrà avvenire nel pieno rispetto dei diritti morali dell’autore delle stesse”.
Un ultimo emendamento potrebbe garantire che, nel caso di assegnazione dei servizi di riproduzione in outsourcing, sia esclusa ogni esclusività che impedisce di effettuare riprese con mezzi propri per ragioni di studio e ricerca.
– All’articolo 117, comma 4 è aggiunto in fine: “L’istituzione di servizi di fotoriproduzione non può in ogni caso escludere le riproduzioni effettuate dagli utenti con mezzi propri per motivi di studio, finalità didattiche o di documentazione scientifica a carattere non commerciale”.
Scrivo solo per fare una segnalazione.
Per creare il primo (e unico) archivio Open Data di dati archeologici, quello del Progetto MAPPA (www.mappaproject.org/mod), è stato necessario produrre un parere legale, curato da Marco Ciurcina, (liberamente scaricabile qui: http://mappaproject.arch.unipi.it/wp-content/uploads/2011/08/MapPapers_15_parere.pdf) nel quale si affrontano tutti gli aspetti legali dell’apertura dei dati archeologici compresi quelli connessi alle riproduzioni.
Nel nostro caso è stato possibile, grazie ad un accordo con il Ministero (Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana e Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana) rendere aperte anche una serie di immagini di scavo e di immagini dei reperti rinvenuti.
é indispensabile intervenire con una politica di liberalizzazioni in ambito Beni Culturali. Interessante l’intervento di Angelo Crespi per il giornaleOFF in cui lancia i punti per la stesura di un manifesto della bellezza. Consiglio la lettura: http://www.ilgiornaleoff.it/giaguari-e-rottamatori-dello-statalismo-culturale/
Sostengo volentieri questa petizione, ma andrei anche oltre: proporrei che si rilasci il libero uso di foto proprie per la promozione culturale e turistica dei nostri siti monumentali! Si fa un bel dire di distribuire il turismo su tutto il territorio nazionale, se poi non lo possiamo mostrare, questo territorio!! Risulta impossibile far comprendere a chi sta dall’altra parte del mondo che in Italia non abbiamo solo Colosseo e Torre di Pisa se non mostriamo anche tutto il resto! Le piccole imprese o i singoli professionisti non possono permettersi di pagare, né adempiere ad assurdi e anacronistici adempimenti burocratici, per pubblicare foto di opere d’arte e siti monumentali diversi dalle solite grandi attrazioni. Non c’è bisogno di far vedere Il Colosseo per vendere il tour a Roma, ma se vogliamo attrarre più turismo e portarlo fuori dai soliti circuiti (che intanto soffocano di folle oceaniche, con tutto quel che ne consegue) dobbiamo poter mostrare anche ALTRO!!
[…] meno di un anno fa si erano esposte in questa e altre sedi e in le ragioni di un appello al ministro per i Beni culturali per favorire una liberalizzazione […]
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[…] • A.Brugnoli, Riproduzione di beni culturali. Appello al ministro Bray, ROARS, 25/09/2013 https://www.roars.it/riproduzione-di-beni-culturali-appello-al-ministro-bray/ […]
[…] Per l’analisi di Andrea Brugnoli si rimanda all’articolo visualizzabile QUI […]
[…] • A. Brugnoli, Riproduzione di beni culturali. Appello al ministro Bray, in ROARS 25 settembre 2013: https://www.roars.it/riproduzione-di-beni-culturali-appello-al-ministro-bray/ […]