Cari Lettori,

come forse saprete il 15 novembre si svolgerà a Roma, presso la sede dell’Enciclopedia Italiana il convegno organizzato da Roars; il convegno si concluderà con una tavola rotonda, moderata da Roberta Carlini, a cui parteciperanno F. Ferroni (Presidente dell’ Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), C. Franchini (Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca), M. Mancini (Presidente della CRUI), P. Rossi (Coordinatore Commissione CUN politiche per la ricerca). Pensiamo che sarebbe utile ricevere da parte vostra delle domande da sottoporre ai partecipanti. Se volete, ponete le vostre questioni nei commenti. Faremo il possibile per sottoporle ai partecipanti alla tavola rotonda.

Grazie!

 

La redazione

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14 Commenti

  1. vorrei che al convegno fosse chiesto perché l’attività didattica, che da anni i ricercatori svolgono a pari dei loro colleghi associati e ordinari, non sia minimamente tenuta in considerazione nel bando per l’attribuzione dell’idoneità né riconosciuta in alcun modo per la progressione di carriera.
    grazie

  2. Vorrei chiedere come pensano di assicurare il ricambio generazionale in vista dei pensionamenti di massa del 2018;
    come pensano che un paese possa crescere con un’università sottofinanziata; perché il precariato costituirebbe una forma di reclutamento migliore delle precedenti; perché non deve esistere una classe di ricercatori di professione.

    • Concordo e rilancio: come si può pensare di tenere in piedi l’università senza immaginare l’istituzione – urgentissima – di una terza fascia della docenza, a tempo indeterminato e con una retribuzione accettabile, nella quale far confluire, dopo un triennio di precariato post-doc al massimo, i giovani non strutturati che avranno conseguito un’apposita idoneità e, se lo vorranno, i moltissimi attuali ricercatori che non riusciranno ad entrare in tempi brevi nello stretto imbuto delle chiamate ad associato, e di cui c’è però estremo bisogno come docenti per tenere in piedi l’offerta formativa (e non solo)? Come si immagina, in assenza di ciò, che i giovani ricercatori possano accettare un precariato a vita e i ricercatori già strutturati possano continuare ad insegnare sine die senza averne l’obbligo né i conseguenti diritti, e in mancanza di minime prospettive?

  3. Qual è il senso di estendere agli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) l’abilitazione scientifica nazionale, così com’è per l’Università o anche con delle modifiche, SENZA mettere mano allo stato giuridico dei ricercatori degli EPR
    o attraverso l’istituzione di un un ruolo dei ricercatori (e uno dei tecnologi) degli EPR – con possibilità di “osmosi” con le università
    o -ancora meglio- attraverso la completa equiparazione con i ruoli universitari?

  4. Qual è il senso di un’Agenzia, l’ANVUR, con una gamma e una complessità di compiti vastissime, priva del supporto di un gruppo di ricercatori (anche piccolo, ma stabile) dedicato alle problematiche della valutazione? Possibile che esista un ente di ricerca per la valutazione dei professori della scuola, e non esista nulla di analogo per la valutazione dei professori universitari e dei ricercatori?

  5. Agenzia della valutazione, futuribili Agenzie per la ricerca, Consulte, Comitati dei Garanti… il MIUR si dota di PROPRI organi consultivi senza reale autonomia, e senza mutare il modello del controllo assolutamente centralistico di tutti gli aspetti dell’Università e della Ricerca. E’ davvero impensabile pensare di avere una vera dialettica tra Ministero (e le sue articolazioni) e le istituzioni accademiche e di ricerca REALMENTE autonome?

  6. Valutare la ricerca di base pone problemi molto diversi dal valutare la ricerca applicata. In modo simile, ma non indipendente, valutare la ricerca in ambito universitario richiederebbe un impegno diverso rispetto alla valutazione della ricerca nell’ambito degli enti di ricerca o nelle/con le imprese. E’ possibile che la prossima VQR tenga conto di questo?

  7. Comunque la si pensi ormai è chiaro che per quanto riguarda le abilitazioni oramai i giochi si sono spostati sulla selezione locale. Prima di prendere decisioni afrettate, non sarebbe il caso di studiare qualcosa che garantisca che a livello locale i pochi fondi servino a premiare e reclutare veramente i migliori?
    Non sarebbe il caso di fare un gruppo di lavoro di persone competenti di valutazione per studiare qualcosa di veramente efficace per la selezione locale?
    Non sarebbe il caso che in Italia ci si renda conto che le cose o si fanno bene o è meglio non farle?

  8. Quali margini possono esserci per ripristinare l’ormai atavicamente sepolto rapporto tra scuola e università? Ci si dimentica – ed è pure comprensibile che ciò avvenga, viste le problematiche immense del mondo accademico e della ricerca – che il settore della scuola rappresenta di per sé il più attiguo (e potenzialmente accogliente) serbatoio lavorativo per coloro che aspirano a entrare all’università e spesso hanno anche titoli per farlo. Oggi invece chi lavora – precario o meno – nella scuola vede il proprio know-how scientifico e “nobilitante” pressoché del tutto ignorato. Come fare per (ri)dare un valore professionale di sostanza a dottorati, assegni, post-dottorati, pubblicazioni ecc. nell’articolato mondo della Pubblica Istruzione?

  9. Sono di rientro da un convegno Erlangen. Quindi le mie domande sono molto influenzate da questa esperienza:
    – il ministro Profumo dice che vuole ispirarsi al modello Tedesco. In che senso? Nel senso di un salario differenziato che dipenda dalle prestazioni dei singoli docenti? Nell’introduzione della figura del professore piu’ orientato alla didattica (meno richieste relative alla ricerca, maggiore carico didattico, stipendio leggermente superiore a quello di un prof di scuola (tra l’altro quesat figura, oltre che sollevare i “ricercatori” dal carico didattico, permette un interplay fra mondo della scuola e quello della universita’)? o si limita a copiare il lungo periodo di precariato che caratterizza la fase iniziale della carriera nel sistema teutonico? quale la posizione del CUN e della CRUI?
    – Ad Erlangen, ho incontrato un giovane Professore di Matematica che ha lasciato l’Italia (da associato) per trasferirsi in Germania. La presenza dei giovani talenti Italiani all’estero ha raggiunto dimensioni enormi e non riguarda solo i talenti veri e propri, ma anche la fascia dei ricercatori bravi, medio-bravi. Invece di finanziare demagogici programmi di rientro dei cervelli, perche’ non si interviene nel rendere piu’ competitivo (a livello di fondi, di salari, di benefits) il sistema universitario per arginare questo esodo? Quali le proposte in campo? Altre mediane?
    – l’ambiente di Erlangen era giovane con molti studenti di dottorato. In Italia l’ambiente e’ invecchiato con poche borse di studio. Come si pensa di affrontare il problema del turn-over? Perche’ mai una universita’ dovrebbe bandire un posto da ordinario (quando l’associato fa lo stesso lavoro dell’ordinario a costi minori), perche’ mai dovrebbe bandire un posto da ricercatore di tipo B (quando quello a TD di tipo A, fa lo stesso lavoro e non deve essere inserito nell’organico? Come fare a incentivare quanto meno le posizioni per i giovani?
    – Infine in Germania la struttura degli Enti di Ricerca e’ chiara e coordinata. In Italia, invece di riorganizzare il sistema sulla base di indicatori meritocratici,quasi ogni tre mesi, sostanzialmente si vogliono chiudere. Inoltre gli si chiede di pagare affitti a prezzi di mercato per le sedi che hanno enbedded nelle Universita’. Sono in vista dei cambiamenti strutturali e meditati, o si procedera’ a vista nei prossimi mesi/anni fra minaccie di chiusura, lettere di potesta e massima incertezza?

  10. 1. Perché, in un periodo di tagli ferocissimi all’università, :a valutazione della ricerca è stata costruita su database proprietari e non pubblici come Wos e Scopus, appartenenti a multinazionali neppure italiane, e talvolta a pagamento?

    2. Nei settori non bibliometrici si è adottato il sistema dell’elenco di riviste eccellenti (a geometria variabile), solo molto raramente ad accesso aperto, stimolando così la creazione di posizioni oligopolistiche e dunque di una crisi dei prezzi simile a quella che è avvenuta nei settori bibliometrici, denunciata nell’aprile 2012 dalla stessa biblioteca di Harvard?

    3. Perché non si è fatto nulla per incoraggiare la pubblicazione ad accesso aperto, anche se è sostenuta dalla Crui a partire dal 2004, ed è stata annunciata come “la norma” nel programma europeo Horizon 2020?

    In generale, sarebbe economicamente efficiente, prima di tagliare le spese vive – vale a dire sopprimere i ricercatori – tagliare quelle morte, come le rendite editoriali da oligopolio. Nel maggio 2012, lo stesso ministro (conservatore) britannico Willetts, annunciando la scelta governativa di spostare la ricerca a finanziamento pubblico sull’accesso aperto, ha spiegato agli editori che si devono riconvertire. Perché da noi si preferisce ammazzare i ricercatori?

  11. Domande ingenue che vorrei porre:
    1. Nell’ università italiana ha ancora qualche rilevanza la didattica?
    2. Nella valutazione degli “universitari” italiani ha qualche rilevanza la valutazione della didattica? O quel sostantivo (“docente”) che stava davanti all’aggettivo “universitario” deve ritenersi di fatto cassato e implicitamente sostituito da “ricercatore”?

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