Fa piacere sapere che il neo ministro Fioramonti non creda che per motivare gli insegnanti serva un premio, soprattutto se quel premio lo distribuisce il preside e si chiama “bonus merito”, come voluto dalla Buona Scuola (L.107/2015), tema su cui non è mai fuori luogo richiamare il pensiero di Giorgio Israel.

Quel che fa meno piacere è constatare come la notizia sia rilanciata da un giornalista di “Repubblica”, spesso autore di sferzanti commenti sulle politiche di scuole e università, (“Nel piano per la scuola più soldi in busta paga ma via il bonus ai prof”, Corrado Zunino, 20/09/2019) in modo assai confuso, per non dire del tutto errato.

L’autore afferma che “la tabula rasa riguarderà il bonus docenti, il voucher da 500 euro che i migliori insegnanti indicati dal dirigente scolastico [..] possono spendere in prodotti culturali”, definendolo – “indicatore di merito”, che, come tale, nella prospettiva dell’autore, sarebbe non gradito, sarebbe inviso a quei fannulloni dei professori.

E commette 2 errori (di “merito” e da matita blu):

1) confonde il “bonus merito” con la quota finanziariaassegnata in forma di “bonus” (nel senso di risorse erogate all’inizio di ogni anno scolastico) a ogni docente a tempo indeterminato – buono e cattivo, meritevole e non meritevole – da spendere per formazione e aggiornamento: libri, film, documentari, software, corsi collettivi o individuali. Si tratta della cosiddetta “carta del docente”;

2) mostra di ignorare la procedura e la normativa, in vigore ormai da oltre un triennio, che disciplina la valutazione degli insegnanti. Non è cosa da poco, visto che proprio l’idea di valutare “il merito” di un insegnante in maniera individuale, sulla base di criteri scelti da un “Comitato di valutazione” di dubbia composizione (nelle scuole secondarie di secondo grado in tali comitati siedono uno studente e un genitore, oltre a un dirigente esterno e a tre docenti dell’istituto) e con assegnazione di una quota di salario accessorio (il “bonus merito”) da parte del dirigente scolastico, era stata una delle novità introdotte dal governo Renzi più osteggiata all’epoca della Buona Scuola.

Ammettiamolo. Conoscere a menadito i 212 commi di quell’unico articolo che scandisce i dettami della legge 107, oltre alle centinaia di pagine dei decreti delegati, è impresa ardua e oscura, certamente poco gratificante.

Ma qui non si tratta di superare un concorso al Ministero. Una googlata con le giuste parole chiave avrebbe potuto essere risolutiva. Oppure, perché il tempo è tiranno pure se c’è google, uno squillo a un docente di propria conoscenza sarebbe stata la via breve per schiarirsi le idee.

Il merito, quando è evocato con insistenza, vale per tutti. Anche e soprattutto per chi divulga le notizie per professione, rivendicando per ciò stesso la propria capacità di guidare la pubblica opinione nell’insidioso mondo delle fake news veicolate dalla rete.

 

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6 Commenti

  1. L’errore è clamoroso, ed è stato commesso da chi si “occupa” di scuola da oltre 10 anni su Repubblica. Ma io trovo ancora più vergognoso quando scrive:” E in diversi casi viene speso per smartphone ed elettrodomestici, non proprio prodotti culturali”. Li manifesta tutto il suo livore nei confronti degli insegnanti…

  2. Mi sembra che l’articolo in questione sia leggibile per intero on-line soltanto a chi è abbonato(/a) al quotidiano.
    La fretta è cattiva consigliera. Questo è un principio, anche etico, di cautela, che i giornalisti non seguono con costanza e scambiano di conseguenza nero per bianco o patate per rape (tanto stanno sotto terra), per battere sul tempo i colleghi. Ci sono molti altri esempi, molto più pericolosi e delicati, come le notizie sugli incidenti stradali dove certe volte, senza aspettare la fine delle indagini, alludono a, o indicano, da subito, i presunti responsabili; e poi, ovviamente, i risultati delle indagini non le riportano. Aspetti e miscuglio di sensazionalismo + fuffa, dove il lettore medio non può, non è nelle condizioni di rintracciare la verità.

  3. Sarà un errore, una svista o una delle solite opere di disinformazione in mala fede? Il primo compito che alcuni giornalisti ( ma anche scrittori e docenti in alcuni casi) si sono dati in materia di istruzione: denigrare la scuola e la classe docente preparando il terreno nell’opinione pubblica alľazione continua e ininterrotta, governo dopo governo, di smantellamento della scuola pubblica, a favore di aziendalizzazione e privatizzazione dell’istruzione. Dopo il giornalista dell'”Unitå” che invitava la polizia a picchiare i docenti che protestavano democraticamente contro la Riforma della ” buona scuola”, che altro dobbiamo aspettarci? Propongo una class action contro il giornalista de ” La Repubblica” e tutti coloro che veicolano false informazioni sulla scuola, allo scopo di screditare i/ le docenti e fomentare odio sociale nell’opinione pubblica.

    • Giusta osservazione. Purtroppo la Carta del Docente non è concessa di docenti a tempo determinato. Nell’articolo va correttamente aggiunto “docenti a tempo indeterminato”. Grazie!

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