Negli ultimi mesi c’è stata invece una campagna denigratoria contro tutti i professori, indiscriminatamente, alla quale – è triste dirlo – numerosi uomini politici hanno prestato ascolto. È tipico segno di maturità culturale e civile quello di saper differenziare e mantenere l’equilibrio critico, sceverando ciò che dipende dai singoli e ciò che dipende dall’intera struttura e respingendo le rozze generalizzazioni e le esasperazioni demagogiche. Purtroppo, lo spettacolo offerto di recente da una certa parte dell’opinione pubblica e della classe politica, sotto questo aspetto, è stato assai poco confortante. Si sono sentiti ripetere fino alla nausea slogans sull’autoritarismo dei professori: l’arroganza del potere di un pugno di baroni avrebbe ridotto in condizione di schiavitù o per lo meno di servaggio una schiera di studenti indifesi o di poveri assistenti. Un tale quadro è, naturalmente, una pura caricatura.
Riteniamo che sia giunto il momento per una più pacata valutazione della situazione dell’Università italiana. Siamo in un periodo estremamente critico: tutto non è ancora perduto e molto può essere salvato; la possibilità di ripresa e di sviluppo dell’università dipende in gran parte dal tipo di riforma che verrà adottata. Riteniamo dunque che sia nostro dovere civile esprimere un circostanziato giudizio critico sul progetto di riforma preparato dal Governo, indicando gl’indispensabili emendamenti.
Nelle nostre considerazioni e nelle nostre proposte si assume che la riforma deve rispondere a due criteri fondamentali: allineare il nostro sistema universitario, nelle sue caratteristiche essenziali, ai sistemi dei più avanzati paesi europei; e consentire libertà di sperimentazione alle singole Università e ai singoli Dipartimenti, per rendere operante l’autonomia universitaria e per stimolare lo spirito di iniziativa delle comunità dei docenti e degli studenti.
La flessibilità e la libertà di sperimentazione presuppongono la rottura di quello che il matematico De Finetti ha chiamato il circolo vizioso della reciproca sfiducia: «se concedere fiducia è un rischio, il ricorso alla sistematica sfiducia è un errore irreparabile»; ed è proprio una tale completa sfiducia che ispira molte nostre leggi e, in notevole misura, lo stesso progetto di riforma che qui esaminiamo.
Si presuppone che gli uomini sono esseri infinitamente maliziosi e disonesti e si architettano le norme più minuziose e più soffocanti possibili per impedire che la malizia e la disonestà abbiano campo libero.
Per di più, la malizia e la furbizia, invece di essere represse, sono in questo modo potentemente stimolate: i «furbi» si sforzano, molto spesso con successo, di aggirare le norme che tentano di vincolarli. Il risultato è che le cose formalmente procedono in modo regolare, ma, sostanzialmente, vanno a catafascio: prevalgono l’ipocrisia e il formalismo, quando non prevale la paralisi.
Osserva ancora De Finetti: «Soltanto la libertà congiunta alla responsabilità crea rapporto tra esseri umani incoraggiati a sentirsi tali e a fare del proprio meglio». Argini giuridici e norme generali debbono esserci e debbono porre limiti precisi alla condotta dei singoli; ma la libertà di movimento deve essere ampia.
Il problema non è di controllare minuziosamente tutte le azioni dei membri della comunità universitaria né quello di codificare tutto ma, all’opposto, quello di individuare quelle poche fondamentali norme di carattere generale che possano guidare e sostenere l’azione dei singoli e, per quanto possibile, impedire gli abusi.
Fra le norme generali ci sono quelle che distruggono i privilegi e le possibilità di privilegio dei pochi a danno dei molti.
In contrasto con quanto demagogicamente si è sentito ripetere fino alla nausea, bisogna riaffermare che i docenti che credono al loro mestiere sono numerosi e che essi non solo sono pronti ad accettare, ma sollecitano l’abolizione dei poteri individuali e di privilegi che sono approvati e difesi solo da coloro che hanno usato e tuttora usano l’Università, non come fine in sé, ma come strumento di ambizioni personali e di interessi materiali. Ci pare che sia giunto il momento in cui gli uomini di buona volontà – fra cui vi sono parecchi politici e parecchi docenti – compiano uno sforzo critico per combattere le tentazioni che provengono, da un lato, da impulsi demagogici e, dall’altro, da egoismi di gruppo.
Proposte per la riforma universitaria Gabriello Illuminati e Paolo Sylos Labini (1969)
Talmente attuale da essere inquietante.
OT, ma vi nvito a leggere questo articolo de La Stampa, dalla rassegna stampa di ROARS di ieri:
http://www.lastampa.it/2012/11/14/societa/cervelli-in-fuga-troppo-pochi-piu-si-emigra-piu-si-produce-DulcClvtks6v9hocF6brLK/pagina.html
Mi sembra tragicamente divertente: nella sintesi del giornalista emigrare fa bene, perché i ricercatori che vanno a lavorare all’estero sono “più produttivi” (ma guarda un po’!) degli “stanziali”… Contenti noi, di regalare ad altri Paesi i ricercatori più produttivi… Non ho parole.
Del resto, anche Profumo la pena così:
http://rstampa.pubblica.istruzione.it/utility/imgrs.asp?numart=1NAZB6&numpag=1&tipcod=0&tipimm=1&defimm=0&tipnav=1
Se sono questi i presupposti culturali per il rilancio dell’Università italiana… Che pena!
Volevo dire “la pensa così”, ma “la pena così” mi pare vada benissimo comunque…
Adesso l’esilio lo chiamano ‘mobilità transnazionale’. Almeno Dante la sua rivincita l’ha avuta: li ha mandati tutti all’inferno.
C’è modo e modo di “controllare minuziosamente tutte le azioni dei membri della comunità universitaria”.
Nel 1969 le cose erano ancora poco chiare, ma oggi nessuno, al di fuori dall’Italia, mette in discussione il valore della Codificazione e dei controlli, e.g.:
http://www.qaa.ac.uk/InstitutionReports/types-of-review/higher-education-review/Pages/default.aspx