Prime considerazioni (molto) critiche sulla proposta di legge Capua.
E’ stata depositata il 16 Gennaio una proposta di legge denominata “Disposizioni per la valorizzazione della ricerca indipendente“ a firma del deputato Capua. Una testo che ad avviso di chi scrive suscita più di un interrogativo.
Nella relazione di accompagnamento si tratteggia lo sfondo in cui si colloca l’iniziativa parlamentare e le ragioni che la animano. Prendendo atto della “difficoltà nella programmazione delle risorse umane nel sistema pubblico, causata da una combinazione di fattori quali la riduzione del finanziamento dello stato, i limiti legislativi al reclutamento e l’introduzione continua di regole sempre più rigide e complesse” mirerebbe a rimuovere presunte rigidità attuali rispetto all’impiego con contratti a termine su fondi di progetto. Del resto, continua la relazione di accompagnamento ,“in Italia una programmazione di sviluppo delle risorse umane nel contesto universitario e degli enti di ricerca è un obiettivo di medio lungo termine “ quindi, in sostanza, oggi impossibile. Niente di meglio perciò “per salvaguardare il capitale umano esistente e spingerlo verso una sana competizione che introdurre nuovi elementi di flessibilità”. Infatti a fronte della crisi drammatica delle nostre università e degli enti di ricerca esisterebbero straordinari ricercatori che “appoggiati” a queste strutture competono nel libero mercato della ricerca captando fondi europei nazionali e regionali. Questi ricercatori non sarebbero precari ma, appunto, “indipendenti”. Quindi devono essere riconosciuti come tali.
La proposta, in sostanza, introduce una nuova figura contrattuale a tempo determinato, oltre quelle già esistenti (assegni di ricerca e contratti di lavoro subordinato a termine) che dovrebbe servire per facilitare il reclutamento sui progetti di ricerca oltre a introdurre la possibilità di prorogare gli assegni di ricerca superando il limite attualmente previsto dalla normativa. L’enfasi posta nel nome poco corrisponde al contenuto che sembra, piuttosto, collocarsi nella sciagurata tradizione tutta italiana di interventi sul mercato del lavoro basati sulla moltiplicazione le fattispecie contrattuali senza aumentare le garanzie. In questo caso la scelta colpisce particolarmente trattandosi di un contesto, quello della ricerca, dove negli ultimi anni – in particolare di fronte al fallimento della legge 240/10 – sono state avanzate varie ipotesi di riforma tutte tendenti a definire un unico percorso di reclutamento con contratti a tempo determinato superando quanto meno collaborazioni, prestazioni d’opera e assegni di ricerca. In questo caso si va nella direzione opposto lasciando alle singole università e ai singoli enti di ricerca la definizione le caratteristiche dei contratti e quindi anche i diritti della nuova figura. Va oltre la già agghiacciante deriva del job act in salsa renziana già molto peggio delle previsioni che “liberalizza” totalmente i contratti a termine ma non sfonda i vincoli nell’utilizzo degli abusi peggiori cioè i finti contratti di lavoro parasubordinato.
La proposta Capua invece apre le porte ad un nuovo e più ampio supermarket della precarietà affidato alla lungimiranza degli ordinamenti delle singole istituzioni scientifiche favorendo soprattutto l’utilizzo di queste tipologie contrattuali senza diritti e senza tutele. Ci mancava un po’ di flessibilità… Prima di entrare nel merito dell’articolato alcune considerazioni sulla relazione di accompagnamento appaiono necessarie. E’ fuori discussione che nel nostro paese esistano ricercatori straordinari in grado da attrarre cospicui finanziamenti su progetti. Tuttavia questa condizione non è sempre l’ideale per svolgere una attività di ricerca come molti sanno perfettamente. Infatti spesso compromette percorsi scientifici e curricula almeno quanto sopperisce, per citare sempre la relazione di accompagnamento, “ alla contrazione del contributo statale per la ricerca”.
Che poi i ricercatori a tempo determinato su progetti di ricerca, come del resto tanti altri lavoratori “a progetto” nel senso etimologico del termine, non siano necessariamente precari questo dipende da molti fattori primo fra tutti l’esistenza di un welfare e di opportunità di carriera e di mobilità nel proprio paese di origine che fanno passare, per alcuni anni della propria vita o per sempre (meno frequente questa condizione), in secondo piano la necessità di una posizione stabile. Certo non si può affermare a priori che non siano precari, in particolare nel nostro paese dove le citate condizioni mancano entrambe. Altrettanto discutibile, ad avviso di chi scrive, la descrizione dei gruppi di ricerca “indipendenti” perché finanziati solo parzialmente dall’ente in cui operano. Questa idea di gruppi di ricercatori che si appoggiano di volta in volta a una struttura o un’altra rappresenta una realtà falsa perché costruisce una idea di mercato libero della ricerca dove le organizzazioni e le loro missioni istituzionali non contano o sono appunto secondarie come il finanziamento che erogano alla ricerca stessa.
Analizziamo ora la proposta vera e propria.
Come recita l‘articolo 1 mira a “favorire la crescita e la competitività dei ricercatori italiani nello spazio europeo della ricerca, promuovere l’eccellenza scientifica e le idee progettuali con l’introduzione di condizioni di flessibilità per lo svolgimento di attività di ricerca presso le istituzioni del sistema italiano della ricerca”. L’ambito di applicazione dell’intero articolato ci sembra di capire dovrebbero essere tutte le università e tutti gli enti pubblici di ricerca incluso l’Asi ma la tecnica normativa per definirne il perimetro è decisamente discutibile in quanto lascia i contorni incerti potendo ricomprendere anche i settori privati cui però le fattispecie contrattuali citate dalla normativa non trovano applicazione. Tralasciamo volutamente ogni commento sulla improbabile relazione che si costruisce tra obiettivi e strumenti utilizzati per raggiungerli ma è coerente con la relazione di accompagnamento del resto.
L’articolo 2 definisce la figura del “ricercatore indipendente” come colui che “ essendo in possesso del titolo di dottore di ricerca o avendo comprovata esperienza di ricerca tale da permettergli di essere vincitore di bando competitivo italiano o internazionale per attività di ricerca e sviluppo tecnologico e non avendo rapporti di lavoro dipendente con enti pubblici o privati, acquisisce su base concorrenziale finanziamenti nazionali, europei e internazionali”. In questo caso l’ambito di applicazione è invece definito trattandosi delle università gli enti di ricerca e gli istituti di ricovero e cura che “tramite i loro ordinamenti disciplinano la figura del ricercatore indipendente”. Il contratto da “ricercatore indipendente” può essere reiterato con la stessa persona e comunque deve essere della durata del progetto.
Qual’è il fine di questa norma? Facilitare le opportunità di impiego sui progetti di ricerca prima di tutto per coloro che meritoriamente li vincono? Superare eventuali ostacoli di carattere normativo o contabile alla proroga dei contratti a tempo determinato sui progetti? E’ davvero così?
Vediamo.
Innanzitutto è bene ricordare che il contratto a tempo determinato è diversamente disciplinato negli Enti di ricerca e nelle università ferma restando la normativa generale del D.Lgs 368/2001. Nei primi in virtù dell’articolo 5 del CCNL può arrivare alla durata di 5 anni o comunque essere coerente con la durata del progetto di ricerca inoltre può essere convertito in contratto a tempo indeterminato previa valutazione dell’attività svolta se è stato attivato sulla base di una procedura concorsuale pubblica. Inoltre in una situazioni straordinaria come quella attuale, in cui le assunzioni sono praticamente bloccate da anni, in virtù dell’articolo 5 comma 4 bis del Dlgs 368 2001 sono stati siglati numerosi accordi collettivi finalizzati a superare anche questi limiti evitando quindi sia licenziamenti che la necessità di ripetere prove selettive alla scadenza dei contratti per lavorare sullo stesso progetto.
Nelle università la disciplina è affidata oggi all’articolo 24 della legge 240/10 in cui si prevedono due tipologie di contratto a termine con e senza tenure track mentre si rinvia per i carichi didattici ai regolamenti di ateneo. In sostanza, combinando le diverse fattispecie di lavoro subordinato a termine, a cui si aggiunge l’assegno di ricerca, si può peregrinare tra contratti a termine prima di vedere l’opportunità di una posizione stabile o trovarsi nella situazione di non poter avere un contratto. A condizione che naturalmente vi siano le risorse e che non si superino i tetti di spesa su contratti a termine e atipici previsti sui fondi ordinari. Limiti che però non operano sui fondi esterni in virtù dell’art. 1 comma 188 legge 266/ 05. “188. Per gli enti di ricerca, l’Istituto superiore di sanità (ISS), l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (ASSR), l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), l’Agenzia spaziale italiana (ASI), l’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), nonché per le università e le scuole superiori ad ordinamento speciale e per gli istituti zooprofilattici sperimentali, sono fatte comunque salve le assunzioni a tempo determinato e la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica ovvero di progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti, i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo di finanziamento ordinario delle università.”
Quindi in virtù della normativa attuale non ravvisiamo vincoli particolari per l’utilizzo di contratti a termine su progetti. Anzi. Se si intendeva poi affrontare il problema delle proroghe comunque si sarebbe dovuto partire da queste norme magari uniformando la disciplina. Evidentemente non è così. Si parte da un assunto diverso: le figure attuali non bastano e sono troppo poco flessibili. Ne serve una nuova !
Siamo ancora una volta nel solco tutto italiano della moltiplicazione di tipologie contrattuali precarie. L’incerta tipologia “ricercatore indipendente” si aggiungerebbe, infatti, al contratto a tempo determinato sovrapponendosi ad esso solo se i singoli ordinamenti delle istituzioni scientifiche lo scegliessero come modello di riferimento. Si scrive infatti nella proposta Capua che “di norma” i contratti da ricercatore indipendente sono stipulati alle medesime condizioni di un contratto di lavoro subordinato da ricercatore. Ma solo “di norma” (articolo 2 lettera b). Perché evidentemente si potrà anche dare il caso che il trattamento sia inferiore oppure che il “ricercatore indipendente” operi con un contratto non di lavoro subordinato essendo quindi fortemente penalizzato in termini di tutele e diritti. Salvo adeguarsi agli standard internazionali qualora il bando su cui grava la retribuzione del ricercatore fissi dei parametri.
Nella proposta di legge a scanso di equivoci si prevede inoltre che sui progetti di ricerca si possano attivare contratti di prestazione d’opera che da anni nella pubblica amministrazione si cerca di limitare trattandosi di vero e proprio dumping salariale essendo prevalentemente utilizzati in sostituzione del lavoro subordinato e quindi sostanzialmente un abuso.
Il problema è esattamente l’opposto. Già oggi le tipologie contrattuali sono troppe in particolare chi ha l’assegno di ricerca fa le stesse cose di chi ha un contratto a tempo determinato solo che è pagato meno e fortemente penalizzato sotto il profilo dei diritti sociali. Piuttosto che introdurre una ulteriore fattispecie esente Irpef (articolo 5 della proposta Capua), come gli assegni, ma ugualmente incerta sotto il profilo delle tutele molto più sensato sarebbe abolire l’assegno di ricerca e prevedere una sola figura contrattuale di lavoro subordinato a tempo determinato magari conservando l’esenzione come da più parti si propone.
Senza considerare poi una questione più generale che riguarda il contrasto tra la normativa italiana sui contratti a termine e la direttiva europea da cui la nostra disciplina generale trae origine. La regolazione della materia dei contratti a tempo determinato basa la sua impalcatura su un accordo tra parti sociali (sindacati e datori di lavoro) siglato in sede europea, successivamente recepito in una direttiva la 99/70 Ce e poi nelle diverse normative nazionali. L’Italia ha adeguato la sua legislazione alla direttiva con il D.Lgs 368/2001 rimaneggiato successivamente una infinità di volte da ultimo con il decreto lavoro ma basato, come si diceva, su un negoziato tra sindacati e datori di lavoro. Non è un caso che il decreto legislativo 368/2001 per superare i limiti massimi di durata rinvii ad una procedura che prevede l’assistenza delle parti sociali o un accordo collettivo. Comunque per quello che rileva a fini della nostra analisi la normativa europea prevede come deterrente all’abuso di contratti a termine l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato se violano i limiti previsti dalla stessa nell’utilizzo oltre a sanzioni di natura economica diversamente calcolate negli stati membri. Il “deterrente” della stabilizzazione nel pubblico impiego non opera sulla base di una normativa specifica di settore ma vacillante perché in odore di contrasto con la disciplina europea.
Recentemente la corte di giustizia si è pronunciata evidenziando ancora più che in passato questo contrasto mentre si attende entro l’estate la pronuncia della commissione europea sullo stesso argomento. Quindi il legislatore intervenendo sulla materia dovrebbe porsi il problema del rapporto tra l’attuale normativa e gli sviluppi del contenzioso a livello comunitario cosa che la proposta Capua ignora palesemente. O forse, volendo essere malevoli, non la ignora affatto ma pensa di risolvere il problema favorendo la possibilità di utilizzare contratti di lavoro autonomo (che saranno nella stragrande maggioranza dei casi finti) in sostituzione dei contratti di lavoro subordinato da ricercatore.
In sintesi “la valorizzazione della ricerca indipendente” rischia, almeno nella attuale formulazione, di essere più orientata a favorire un utilizzo ancora più sfrenato di contratti precari che finalizzata a riconoscere un qualche status ai ricercatori free lance. Infatti l’aspetto positivo, ad avviso di chi scrive almeno, si esaurisce nel riconoscimento del ruolo di coordinamento dei progetti (articolo 2) e nel limite di ore da dedicare all’insegnamento (art. 2 lettera g) ma non necessitava certo la creazione di una nuova figura potendo anzi dovendo essere riconosciuto a tutti coloro che hanno un contratto a termine. E’ davvero preoccupante che dal partito del Ministro dell’Istruzione possa arrivare una proposta simile in cui ci si limita a prendere atto del collasso delle nostre università e dei nostri enti introducendo l’ennesima fattispecie contrattuale atipica addirittura modulabile sede per sede come soluzione ai problemi ormai endemici del reclutamento. Preoccupante ma purtroppo non sorprendente.
Ho letto di corsa, rallentando nelle premesse e nelle conclusioni. Mi sembra che sia l’ennesima conferma – la proposta di legge commentata – di come in una situazione di crisi (o di difficoltà, in generale) inefficienza incompetenza insipienza dirigenziali (laddove questo è caso) si nascondano e si mascherino dietro montagne di carte e di proposte, per dimostrare che ci si dà da fare. Poco importa se non serve a nulla oppure se anziché migliorare la situazione la peggiora. Intanto la produttività dirigenziale, non di risultati ma di atti burocratici, aumenta. Questo va di pari passo, sempre secondo la mia modesta esperienza, coll’incapacità di cogliere le proposte dal basso.
Il progetto sembra quello finlandese: vogliamo meno docenti stabili, l’università funzionerà il più possibile a contratto.
Lì a quanto pare ci sono riusciti. Riusciremo noi a far sentire che l’Italia ha una tradizione di studi e ricerca che non si può concellare per legge?
La Finlandia è un’**altra** cosa.
Alcuni anni addietro, neppure troppi benché sembri passata un’eternità, nel tentare di muovere qualcosa come precario, insieme ad altri precari, vedevo nella proliferazione delle forme contrattuali un male assoluto per i precari della ricerca.
Questa proposta è l’ennesima versione della ricorrente consuetudine di precarizzare la ricerca.
Il problema, oggi, è che molti precari non se ne accorgono neppure. Alcuni, al contrario, hanno esultato alla presentazione del DL, ritenendo che poco sia meglio che nulla.
La flessibilità sarebbe una cosa possibile in un paese civile che, innanzitutto, destina sufficiente e decenti risorse per la ricerca, consentendo ai “migliori” di ottenere (non attrarre) risorse su idee innovative.
In ogni caso due aspetti andrebbero sottolineati.
Il primo è che la flessibilità non è tale ma diviene becero sfruttamento se a governare i processi sono vecchi baroni, strutturati magari a 26 anni (ben inferiore all’età media dei precari attuali), che riserveranno i posti a tempo indeterminato non certo ai free lance.
Il secondo aspetto, vera piaga di sistema, è il mito delle capacità di reperire fondi. In un sistema corretto, lo stato investe, su ricerche non necessariamente finalizzate e di immediata commercializzazione, e sta ai privati saperne trarre benefici.
Benefici che avranno poi impatto e ritorno sull’intera società in termini di reddito, posti di lavoro, crescita.
Al contrario dal DL uscirà una nuova figura, il ricercatore free lance, il quale non potrà permettersi di fare la ricerca migliore o più innovativa ma, dovendo reperire risorse a breve termine risorse per autosostenersi, si orienterà su ricerche poco innovative ma a basso rischio e con elevato grado di appeal.
ottima riforma, promossa a pieni voti, credo anche che questa riforma sia anche l’unica riforma utile attuabile in breve tempo e con risultati certi sul comparto ricerca accademica post ASN.
Quindi dare la possibilità al ricercatore di spostarsi liberamente con i suoi fondi tra le università senza che si crei l’obbligo per l’ateneo ospitante l’obbligo di assumere il ricercatore dopo i 5 anni, permette anche di liberalizzare completamente il ricercatore e l’ateneo dai giochini di baronato o della sede storica personale, anche perché le università di solito non si permettono di accettare ricercatori extra sede, anche per evitare potenziali obblighi futuri di assunzioni o inserimento di questi stranieri in organico.
aspetto vostri commenti….
..meditate gente meditate….
@indrani maitravaruni,
concordo, ok, però tutti a contratto a tempo, pure gli strutturati!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
era questo il concetto, vero?
Io sono un ricercatore precario. Ho lavorato io, al posto dei professoroni e ricercatori a tempo indeterminato, e al momento di dare un posto, mi hanno sempre scacciato, preferendo qualcuno piu’ disposto di me a “fare prostituzione” (testuali parole di un membro di commissione). Ecco qual’e’ la comunita’ che Sinopoli difende.
Per fortuna la comunita’ scientifica internazionale mi ha invece premiato, e continuo ad essere cercato da tutto il mondo per partecipare a progetti finanziati da vari enti. La comunita’ scientifica mondiale e’ il mio “giudice a Berlino”, che aggiusta un po’ i torti che quelli come Sinopoli vanno avanti a fare qui in Italia.
Io continuero’ a pagarmi lo stipendio con i progetti che faccio, anziche’ entrare nel sistema clientelare che Sinopoli vorrebbe invece sostenere. Penso che molti altri lettori la pensino come me: bisogna sostenere i ricercatori indipendenti, contro il clientelarismo.
Nessuno difende chi si fa sfruttare dai “professoroni e ricercatori a tempo indeterminato”, enemmeno gli sfruttatori, dunque invece di attaccare chi scrive attacchi con argomenti solidi e non basati su indefiniti premi/progetti ecc. la critica al DL propsto dalla Capua. Ovviamente se ne e’ capace.
Le considerazioni alla base della proposta della Capua, condivise su Change.org da centinaia di ricercatori non strutturati, sono nella lettera aperta per la ricerca indipendente http://www.change.org/it/petizioni/lettera-aperta-per-la-ricerca-indipendente
In realtà a luglio 2013 abbiamo provato ad avviare un dibattito su Roars con una lettera alla redazione, che ha ritenuto l’argomento non degno nemmeno di una replica privata. E’ stato un peccato, perchè la comunità accademica dovrebbe essere un luogo privo di bias per adempiere al suo ruolo nella società.
Non è questo il primo luogo dove l’autore espone la sua contrarietà alla proposta della Capua, senza l’approvazione della quale, è bene ricordarlo, i ricercatori precari nonostante il loro valore dovranno presto abbandonare il lavoro che amano.
Chi fosse interessato a conoscere anche le argomentazioni di chi, dal basso, crede nell’impatto positivo che questa proposta può avere nel sistema della ricerca italiano può farlo qui http://ricercaindipendente.wordpress.com/2014/03/27/chi-ha-paura-della-ricerca-indipendente/
Riceviamo una decina di articoli alla settimana ed alcuni non vengono pubblicati non perche’ c’e’ un bias ideologico come dice malibranx ma perche’ non superano gli standard qualitativi che la redazione ritiene necessari alla pubblicazione. Non e’ affatto corretto affarmare che “senza l’approvazione della quale [propsta Capua], è bene ricordarlo, i ricercatori precari nonostante il loro valore dovranno presto abbandonare il lavoro che amano”. Anzi e’ falso come spiegato nel testo dell’articolo qui sopra. Se vuole intavolare una discussione cerchi di scrivere critiche specifiche e non slogan insulsi.
Caro Francesco, penso che dovresti documentarti meglio. Guardati l’articolo 18 della legge 240/2010. Definisce chi puo’ e chi non puo’ fare ricerca. In particolare, a chi non e’ riuscito o non ha voluto entrare nel sistema clientelare, e’ permesso (!!!) fare ricerca solo con contratti di RTD oppure assegno. Pertanto, per una durata totale di anni 8, trascurando il RTDb che e’ solo ipoteticamente possibile su fondi di ricerca.
Quindi, si’, la legge attuale precarizza il ricercatore, perche’ gli impone (caso unico tra tutte le professioni) una scadenza, improrogabile, una cacciata da ogni universita’ italiana, per puri limiti temporali.
E purtroppo, devo dire che tale limite era stato chiesto non dai partiti di destra a cui Gelmini apparteneva, ma proprio da sindacati, r29a, e addirittura dalle associazioni di precari, che vedevano, nel licenziamento dei precari, la soluzione al precariato.
Mi sembra che io sia piuttosto documentato a differnza tua. La legge Gelmini e’ stata approvata dal governo Berlsuconi con l’opposizione dei sindacxati, r29a, e varie associazioni precarie. Ora addossare a loro anche una riga della legge Gelmini e’ solo e unicamente scorretto oltre ad essere falso e logicamente insensato (le associazioni dei precari che vedono nel licenziamento dei precari ovvero di loro stessi la soluzione al problema del precariato fa solo ridere).
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Su progetti esterni la possibilita’ di avere nuovi contratti e’ gia’ prevista come spiegato nell’articolo qui sopra. La proposta Capua aggiunge una nuova figura contrattuale inutile.
Eh si’, sindacati, ricercatori sui tetti e simili hanno si’ fatto opposizione alla legge, nel senso che volevano a tutti i costi mantenere i privilegi del personale a tempo indeterminato, contro i diritti dei precari e contro la valutazione del merito. Ci sono riusciti almeno in parte. Il loro maggiore risultato e’ stato appunto l’introduzione degli strettissimi limiti temporali.
La possibilita’ di avere contratti al di fuori dei limiti temporali della legge Gelmini non c’e’, basta leggere l’articolo 18 legge 240/2010.
Questo e’ semplicemente falso. Dunque e’ inutile replicare.
E’ pazzesco quello che c’e’ scritto in questo articolo. Si cita l’art. 1 comma 188 legge 266/ 05 per dire che non ci sono limiti temporali!!!!
E’ vero, non ci sono per gli enti, che possono fare tutti i contratti a tempo determinato che vogliono. Invece, per il lavoratore, l’art. 18 legge 240/2010 impone si’ un limite, assolutamente inderogabile!
Quindi, la legge che Francesco vorrebbe difendere impone limiti al lavoratore ma non al datore di lavoro! La proposta dell’On. Capua mira, tra l’altro, a rovesciare questa assurdita’.
La proposta Capua non sembra malaccio, in confronto ai comuni assegni di ricerca. I free- lance si diversificano anche dagli RTD-a, che costano un sacco di soldi e che provocano dei mal di pancia a qualcuno (vedi Talamanca) perche’ vengono banditi ad personam (la stessa che magari porta i soldi del progetto). Comunque non mi stupisce che l’idea dei free-lance non piaccia ai dirigenti della CGIL, sempre cosi’ attenti alle esigenze dei precari…
Questa è una affermazione gratuita perché la proposta aggiunge una tipologia contrattuale e non sostituisce gli assegni di ricerca-
Per costruire un vero status da ricercatore free lance non basta rinviare la regolamentazione dei rapporti di lavoro alle singole università. Questa è una idea utopica. Serve un sistema di welfare che permetta una vera mobilità e una autentica portabilità delle carriere. Ho scritto molto chiaramente che sarebbe stato sensato creare una figura unica di lavoro subordinato eventualmente con il beneficio fiscale dell’assegno di ricerca.
Come scrivo nell’articolo se l’obiettivo è quello di correggere i meccanismi della 240 sensato sarebbe intervenire sulle fattispecie esistenti evitando di aggiungere una ulteriore tipologia con ogni probabilità scarsamente tutelata. Non mi sembra una affermazione che porta alla difesa di posizioni clientelari. Nasce dalla consapevolezza che affidare a regolamenti interni di università Epr e Ircss la regolazione di un rapporto di lavoro non rappresenta una modalità logica di legiferare su questa materia. Si deve andare verso una semplificazione delle tipologie e affrontare contestualmente il problema della prorogabilità dei contratti.
Quindi anche Sinopoli conferma che al momemto c’e’ un problema di prorogabilita’ dei contratti.
Correggiamo gli errori scritti qui sopra da Sylos Labini, per favore, Sinopoli, confermi.
L’art. 18 della legge 240/2010, comma 5, stabilisce che, a parte gli strutturati, solo RTD e assegnisti possono fare ricerca.
Il comma 6 (sibillino) sembra che esoneri da questo i soli progetti europei.
Gli articoli 22 e 24 stabiliscono che la durata massima di RTDa + assegno e’ di 8 anni, inderogabilmente anche se si va altrove (si deve andare all’estero). Gli RTDb non li conto perche’ e’ sostanzialmente impossibile farli su progetto.
La legge 266/2005 riguarda invece la possibilita’ di un ente di fare contratti, e dice che non ci sono limiti.
Quindi, la legge attuale impone un limite di tempo al lavoratore, mentre il datore puo’ fare tutti i contratti a tempo determinato che vuole, purche’ mandi via le persone quando sono rimaste troppo a lungo. Questo per me si chiama precariato.
Brogioli il falso che ho scritto sopra si riferiva a quello che ha scritto lei “Eh si’, sindacati, ricercatori sui tetti e simili hanno si’ fatto opposizione alla legge, nel senso che volevano a tutti i costi mantenere i privilegi del personale a tempo indeterminato, contro i diritti dei precari e contro la valutazione del merito” Queste sono emerite sciocchezze.
La proposta riguarda enti di ricerca oltre che università quindi comunque sarebbe stato necessario articolare la normativa. Si è scelta una via molto confusa quando, come scrivo, si poteva semplicemente intervenire modificando la normativa della legge 240 che all’epoca in molti avevamo contestato perché poneva limiti assurdi senza prevedere opportunità reali di reclutamento.
Segnalo inoltre che la normativa su contratti a termine della legge 368/2001 si applica comunque a tutti i contratti quindi interventi nuovi sulla materia devono tener conto di questo altrimenti si va sbattere contro la corte di giustizia prima o poi.
Non uso il comma 188 per dire che non ci sono limiti temporali ma limiti di spesa. Mi è sembrato corretto citare le norme che il legislatore avrebbe dovuto richiamare mettendo mano ad una disciplina complessa.
“A condizione che naturalmente vi siano le risorse e che non si superino i tetti di spesa su contratti a termine e atipici previsti sui fondi ordinari. Limiti che però non operano sui fondi esterni in virtù dell’art. 1 comma 188 legge 266/ 05.
negli enti di ricerca si sono bypassati i limiti temporali della 368 attraverso la normativa del Contratto collettivo nazionale di lavoro che già dal 2003 prevede che i contratti possano essere della durata dei progetti. Poi con l’articolo 5 comma 4Bis della stessa 368 che rinvia alla contrattazione decentrata la definizione di limiti di durata maggiori nel caso le parti riconoscano l’esistenza di ragioni oggettive.
Stessa cosa abbiamo fatto per il personale con contratto a termine tecnico e amministrativo.
Per i ricercatori dell’università non essendo conrattualizzati questo non è possibile ma la via scelta con la proposta capua è sbagliata perché crea una tipologia che si sovrappone ad altre e non aumenta le tutele di nessuno. Se si tratta di risolvere il problema dei limiti di durata si deve intervenire sulla 240. Lo ripeto. Capisco che per alcuni il mestiere di sindacalista equivale a tutelare presunti garantiti ignorando la condizione dei precari ma non è questo il caso.
Caro Francesco Sinopoli,
dopo aver chiarito, penso che siamo d’accordo su alcuni punti:
1) autonomia dal sistema clientelare per chi ottiene finanziamenti
2) maggiori tutele per i ricercatori (anche td)
3) reiterabilita’ dei contratti
4) agevolazione fiscale (detassazione se possibile)
Penso che anche l’On. Capua sarebbe interessata a discutere con lei come meglio realizzare questi punti, che stanno a cuore sia a me sia a lei. La invito a contattarci direttamente, per migliorare la proposta di legge.
Caro Sylos Labini,
Al di là delle discussioni sulle responsabilità relative alla legge Gelmini, mi pare che Brogioli sappia quello che dice sui limiti temporali dei contratti (e il fatto, se capisco bene, è sostanzialmente ammesso anche nei messaggi di Sinopoli più sotto). E mi sembra altrettanto chiaro che ci sia una buona fetta di ricercatori non strutturati che vedono in questa proposta di legge una possibile soluzione del problema.
Mi sembrano entrambi elementi molto utili alla discussione di questio post.
Cordiali saluti
Ciao
secondo me il fatto che ci sia una discussione è di per se positivo, peccato mi sembra sia confinata in rete.
Vorrei rivolgere un paio di domande a Sinopoli che vedo scrive nei commenti.
Onestamente concordo sul fatto che non ci sia bisogno di maggiore precarietà nel mondo della ricerca, e che quindi sarebbe utile avere una maggiore stabilizzazione pero’ si deve anche tenere conto delle condizioni contingenti del paese e delle persone (che devono mangiare, pagare l’affitto etc…).
Ad oggi una volta finiti i quattro anni di assegni di ricerca davanti al ricercatore che voglia lavorare ancora in Italia rimane una sola strada ossia quella di un contratto come RTD. Ad oggi nel mio settore ne saranno stati banditi non più’ di 20 e anche in alcuni di questi (parlo anche per esperienza diretta) non possono mancare le perplessità su legami fra candidati e commissari.
L’RTD ha il problema di costare troppo e di avere una durata minima triennale. Recentemente è uscito un bando di una fondazione bancaria (riservato ai giovani) che dava come tetto massimo per le domande 250 mila euro. Ora si può’ ben capire che se 150.000 euro vanno via per il costo del capo gruppo poco rimane per attrezzature e collaboratori… e senza collaboratori un progetto complesso non si può’ fare.
Inoltre se uno strutturato vince un bando anche molto competitivo e ricco come gli ERC raramente paga un RTD …proprio per gli alti costi.
Ora la mia domanda è se al sindacato che lei rappresenta non piace la proposta Capua c’è una proposta alternativa per evitare che gli assegnisti di ricerca siano tutti espulsi dal sistema. Il limite temporale ha senso solo se c’è una possibilità di entrare in ruolo (almeno per le eccellenze) oggi a me pare che questa manchi anche per le persone veramente eccellenti…
E fra i miei colleghi ne conosco diversi.
Ad oggi abbiamo davanti un muro no stabilizzazione (non ci sono i soldi), no assegno (sei vecchio), no RTD…….
A cercarmi un altro lavoro o andare all’estero ci sto già pensando attivamente… ma magari….
Brogioli ha perfettamente ragione sui limiti temporali ai contratti, basta leggere l’articolo citato, è scritto chiaramente
http://www.orizzontescuola.it/news/stabilizzazione-precari-conclusa-udienza-alla-corte-giustizia-europea
http://www.flcgil.it/scuola/precari/la-vertenza-per-la-stabilizzazione-dei-precari-domani-sara-discussa-in-corte-di-giustizia-europea.flc
SE LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTISZIA FOSSE POSITIVA PER I PRECARI DELLA SCUOLA,
RIGUARDEREBBE ANCHE L’UNIVERSITA’?
Ma la sentenza non doveva essere emessa il 27 marzo?
I c.d. “precari della scuola” sono pur sempre figure di lavoro subordinato [“employee”] a tempo determinato. Inoltre il loro caso (critico) ha a che vedere con situazioni che non si verificano nel precariato universitario – stiamo parlando dei “3 mesi di vacanza”.
I contenuti di questa discussione sono in linea con il degrado sociale e civile del Paese, in quanto in pratica si capisce che agli attuali Precarj non gliene importa un fico secco se le condizioni di precarietà vengono anche peggiorate, l’importante è tenere un piede dentro il Dipartimento.
Simili attitudini sono riscontrabili in altri campi, ma difficilmente si trova anche un attaccamento emotivo a simili pratiche, casomai viene subito passivamente, e talvolta si chiama “caporalato”.
Io non condivido assolutamente il suo punto di vista. Dopo il dottorato ho lavorato in tre citta’ e istituti diversi, essendo pagato forse di piu’ di quello che guadagnano i miei colleghi che fanno la professione per cui ho studiato (farmacista) come collaboratori. Non ho lavorato nemmeno un giorno gratis per tenere un piede in dipartimento. Quello che non capisco e’ perche’ una volta raggiunto il limite dei 4 anni debba andare via se trovo un contratto analogo, alle stesse condizioni. Ad oggi il mercato del lavoro non offre molto, e chi ha perso tempo con la ricerca non e’ molto appetibile….Per me un peggioramento delle condizioni attuali si ha solo se non avro’ piu’ un lavoro. Non capisco come i limiti di legge attuali facciano si che la mia condizione sia migliore. Probabilmente sono un precario rintontito dall’attaccamento emotivo…
Caro nemo79, Lei si definisce “precario rintontito”, e questo è ciò che direbbe anche un qualsiasi dibattente Europeo circa la sua attitudine – che sostanzialmente equivale ad approvare la fine del contratto di lavoro a tempo indeterminato in Italia e in Europa.
La legislazione cui stiamo facendo riferimento è invece una di quelle che tende a preservare (e anzi a garantire) l’esistenza di barriere e limiti allo sfruttamento dei lavoratori da parte dei datori di lavoro.
Mi sia consentito ricordare che la Direttiva in oggetto (1999/70/EC), che invito a consultare
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A31999L0070&qid=1397127076462
(così come invito a leggere le pagine sul sito della Commissione Europea
http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=706&intPageId=199&langId=en )
è in vigore per tutti i 28 Stati dell’Unione, compresa la Gran Bretagna, e pertanto gode di una solida accettazione da tutti i quartieri politici.
Il Suo straniamento corrisponde in effetti allo straniamento di tutto il popolo italiano, sempre più diseducato, in questi anni, rispetto ai minimi standard di civiltà politica e sociale del nostro Continente.
@ Rubele:
si e’ vero: al link
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A31999L0070&qid=1397127076462
trovo scritto:
Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5)
1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
quindi la durata massima del contratto, nella mente del legislatore, serve a prevenire abusi sul precario. Be, certo: non potevano mica scrivere che in relata’ serve al datore di lavoro per fare carne di porco del precario dopo averlo sfruttato.
Quindi? Non ho capito la tua posizione: la Direttiva serve ad evitare uno sfruttamento ancora maggiore del Precarjo (Dipendente, stiamo parlando) o serve a giustificare lo sfruttamento per 4 anni (3 in Italia) del Lavoratore Precarjo?
Non capisco tanto disprezzo nei confronti di persone che hanno un lavoro, hanno costruito con le loro mani e il loro cervello i laboratori in cui lavorano, hanno formato le persone che lavorano con loro e devono buttare al vento tutto questo per un limite esclusivamente temporale. I ricercatori non raccolgono pomodori, e non tengono un piede nel dipartimento nella speranza che qualche barone li benefici della sua magnanimità elargendo loro un posto qualsiasi. Questi ricercatori lavorano (cioè prestano opera intellettuale in cambio di uno stipendio vero, se non è così non stiamo parlando di lavoro) 8-10 ore al giorno e sono la struttura portante dei dipartimenti. E sono quarantenni abituati a confortarsi con colleghi di tutto il mondo, credo siano capaci di valutare cosa è opportuno e realisticamente ottenibile e cosa no.
E sono consapevoli che la loro condizione personale di precari dipende dalle esemplari pratiche italiche di reclutamento universitario e dalle stabilizzazioni a ondate, prima che dallo scarso finanziamento pubblico. Se non superiamo queste criticità strutturali, potremmo anche “salvarci” noi, ma i più giovani che ci seguiranno subiranno ingiustizie e frustrazioni ben peggiori di quelle che toccano a noi. Urge una visione prospettica, di lungo periodo e sistemica che non si realizza in pochi mesi. la proposta di legge di cui parliamo dà una chance a questi ricercatori senza danneggiare le generazioni future. Pensateci, per favore.
@Renzo Rubele
la sentenza della Corte di Giustizia deve ancora uscire, il 27 marzo c’è stata l’udienza, hanno partecipati i ricorrenti, lo Stato italiano, la Commissione europea
la sentenza è prevista per entro l’anno…
c’è chi dice che può riguardare il settore del pubblico impiego in genere……chi ha avuto 36 mesi di contratto presso scuole (o forse PA in genere) potrebbe (in caso di accoglimento)fare richiesta per essere stabilizzato o per ricevere un risarcimento danni.
è ancora tutto confuso.
potrebbe non succedere nulla e rimanere tutto come adesso.
Per approfondimenti, basta andare su Google.it e digitare “precari” “scuola” “corte di giustizia”, vengono fuori moltissimi risultati
Dicevo appunto che conosco il valore critico e drammatico della questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE, ma questionavo la possibilità di estenderla ai tradizionali casi di Precarjato Universitario. Detto in termini semplici: secondo me sono ben diversi.
L’Ermellino Accademico si è tutelato da tempo contro la possibilità di essere chiamato in giudizio per casi apparentemente simili, e lo ha fatto proprio sfruttando tutte le forme di lavoro *non subordinato*, e financo inventandone altre, come gli “assegni di ricerca” (Francesco Sinopoli non sarebbe d’accordo con quest’ultima mia affermazione – abbiamo una discussione decennale pendente… :-) ).
Mi inserisco nella discussione portando alcune riflessioni strettamente legate alla mia esperienza. Premetto che sono una precaria. Attualmente l’unico legame con l’università è un contratto di docenza sottopagato (giusto per mettere il coltello nella piaga).
Nella mia posizione mi sono ritrovata più di una volta a collaborare per la stesura di progetti europei con la “promessa” di un contratto. Contratto che ovviamente passa per un bando pubblico, quindi non è affatto una certezza riuscire ad ottenerlo.
Devo essere sincera, negli ultimi tempi ho fatto un passo indietro. Perchè aiutare uno strutturato a presentare un progetto? Perchè aiutarlo a conseguire un titolo? Questo è il dilemma che prima o poi si pone il precario (ormai spremuto dopo tanti anni come un limone).
In realtà delle formule che consentono di accedere a finanziamenti per la ricerca in cui si possa avere il ruolo di PI già esistono, le Borse Marie Curie e gli ERC. Anche se prevedono un certo tipo di percorso di eccellenza.
Secondo me si dovrebbe poter dare la possibilità all’assegnista, al docente a contratto, al dottore di ricerca in possesso di adeguato CV (e purtroppo vi assicuro che in alcuni casi i precari hanno un CV più forte degli strutturati, e non parlo dei ricercatori) di poter partecipare come proponente ai bandi europei (e senza la buffonata dei limiti di età dei FIRB/SIR, ma semplicemente prevedendo scaglioni di conseguimento del dottorato o anagrafici diversi) e a bando vinto ottenere direttamente un contratto come PI. Secondo me questo sarebbe un passo avanti nel riconoscimento, anche a livello di titoli e remunerativo, dell’attività di figure “fantasma” che si aggirano (ma ancora per poco) per i Dipartimenti delle università.
Sulla questione modalità contrattuale, contratto a termine, freelance, non ho adeguate conoscenze per poter dire qualcosa di sensato.
Però ho sentito la necessità di lanciare questo sassolino.
Buona serata a tutti
@Renzo Rubele :
mi aiuti a capire.
io ho capito questo:
occorre aspettare la sentenza della Corte di Giustizia: il rinvio alla Corte di Giustizia è stato operato dalla Corte Costituzionale: occorrerà attendere anche la Corte costituzionale:
il punto è semplice: se l’interpretazione sarà estensiva a tutto il pubblico impiego, la Corte Costituzionale non potrà non tenere conto della Corte di Giustizia.
quindi, il Giudice ordinario che verrà adito, non potrà non tenere conto della Corte Costituzionale, che si deve adattare alla Corte di Giustizia, in quanto la condanna vs. Italia sarebbe legittima, poiché non è stata attuata una direttiva, già recepita, sull’obbligo di assunzione per i privati (estensibile anche al pubblico), di uno che ha avuto 36 mesi di contratti con la stessa impresa o ente.
uno che ha avuto 4 anni di assegno, potrebbe rischiare di essere stabilizzato perché avrebbe superato i 36 mesi.
ma questo solo se la Corte di Giustizia avrà disposto in favore dei precari.
ho sbagliato qualche cosa?
Grazie per il contributo.
Allora, posto che forse il blog non è il luogo più adatto, e che Sinopoli o altri (in qualità di esperti) possono senz’altro dire più e meglio, io mi limito a ricordare che la Direttiva in oggetto, trasposta nell’ordinamento giuridico italiano con la legge che lei ha ricordato, riguarda i rapporti di lavoro dipendente, o subordinati che dir si voglia.
Tutti i rapporti di lavoro che in Italia sono stati istituiti come “terzo genus” (co.co.co., co.pro. e simili) non ricadono nella sfera di azione delle norme in questione. Beninteso, noi sappiamo che il Genio Italico (“genio” per modo di dire) ha inventato queste tipologie proprio per sottrarre certe attività/mansioni alla sfera del Diritto del Lavoro subordinato, e quindi ‘de facto’ aumentare la flessibilità, e pure diminuire i costi (perché il regime dei contributi pensionistici è diverso).
Sinopoli è addirittura più radicale di me perché assimila in toto il ‘terzo genus’ ai 2222, e quindi, ancora più di me, non dovrebbe vedere alcuna possibilità per farli rientrare nella sfera d’azione della Direttiva.