Alla luce delle decine e decine di provvedimenti ormai varati per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), non si sfugge alla netta impressione che ciascun Ministero stia andando per proprio conto, definendo in maniera totalmente indipendente contenuti, criteri, modalità di distribuzione delle risorse; nelle proprie stanze, senza discussione, e senza una regia e una coerenza d’insieme. Le risorse del PNRR sono in larga misura prestiti che tutti i cittadini italiani dovranno restituire. Sarebbe opportuna pertanto maggiore trasparenza e discussione. Si prenda delle risorse per gli asili nido al SUD che saranno distribuite -secondo l’ufficio parlamentare di Bilancio- secondo “criteri determinati in modo discrezionale, senza alcun apparente fondamento”. Ancora peggio il caso del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) che distribuirà 750 milioni per i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN): una cifra superiore a quella stanziata nell’intero ultimo decennio. Per farlo il MUR ha pubblicato fra il 25 gennaio e il 2 febbraio ben tre differenti decreti direttoriali, molto diversi fra loro. Beffardamente, sul sito del MUR oggi si legge con grande evidenza che “è stato esplicitamente previsto che almeno 218 milioni siano destinati alle regioni del Mezzogiorno”. Peccato che nel decreto immediatamente precedente fosse prevista una Linea Sud da 296 milioni. In tre giorni, insieme al vecchio decreto direttoriale, sono così spariti 78 milioni dalla dotazione per il Sud. Si resta davvero senza parole.
E’ opportuno che vi sia grande attenzione al raggiungimento dei “traguardi” e degli
“obiettivi” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) concordati con l’Unione
Europea. Spiace però che un’attenzione assai minore sia dedicata, nel dibattito pubblico,
dalle forze politiche (finora totalmente assenti), e dallo stesso Governo, ai concreti
contenuti dei provvedimenti che stanno attuando il PNRR. Un insieme di decisioni che
stanno rapidamente maturando in queste settimane, con impegni di spesa di
notevolissima dimensione, che plasmeranno per anni le politiche pubbliche del nostro
paese; e che stanno passando quasi del tutto inosservate. E che invece andrebbero
sottoposte ad un attento scrutinio, ad un’aperta discussione; e che in alcuni casi
andrebbero rivisitate.
Alla luce delle decine e decine di provvedimenti ormai varati, non si sfugge alla netta
impressione che ciascun Ministero chiamato all’attuazione stia andando per proprio conto,
definendo in maniera totalmente indipendente contenuti, criteri, modalità di allocazione
delle risorse; nelle proprie stanze, senza discussione, e senza una regia e una coerenza
d’insieme. Quasi considerando che si tratti di risorse proprie, di cui fare l’uso che si ritiene
più opportuno e non in larga misura di prestiti che tutti i cittadini italiani dovranno
restituire. Non lo spazio di un editoriale, ma pagine, pagine e pagine sarebbero necessarie
per mostrare come sinora si è proceduto e per evidenziare i punti critici.
Un solo esempio per tutti. A giudizio dell’autorevolissimo Ufficio Parlamentare di Bilancio (20 gennaio), nel recente bando sugli asili nido del Ministero dell’Istruzione, per l’allocazione delle risorse “i pesi assegnati ai criteri utilizzati sono determinati in modo discrezionale, senza alcun apparente fondamento” e “le modalità con cui il criterio relativo al gap territoriale nella dotazione degli asili nido sembra essere stato applicato sono criticabili”. Si pensi che il bando, ad esempio, non quantifica l’utenza sui bambini piccoli che oggi ci sono, ma su quelli che l’Istat prevede ci potrebbero essere nel 2035 (scelta che serve per accrescere il peso del Nord). Si tratta di un bando che determina l’assegnazione di 2,4 miliardi di euro, e che determinerà il futuro a lungo termine nella dotazione di fondamentali servizi dell’infanzia di tante comunità italiane. Un’inchiesta di questo giornale aveva mostrato come ci fossero notevoli criticità anche negli altri bandi dello stesso Ministero, che ad esempio non tenevano in debito conto le dimensioni demografiche delle regioni. Ma documentate ricostruzioni e giudizi così severi non hanno sortito alcun effetto, alcuna discussione, tantomeno alcun ripensamento.
Peggio ha fatto, negli ultimi giorni, il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) per
allocare 750 milioni per i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN): una
cifra superiore a quella stanziata nell’intero ultimo decennio. In primo luogo (forse anche
come risposta “politica” alle vivaci e motivate critiche alle scelte dei progetti nell’ultimo
bando, del 2020) il MUR ha deciso di frammentare le risorse in tantissimi progetti,
stabilendo un tetto massimo di 250.000 euro e una durata di due anni. E’ questo il modo
migliore per utilizzare così tante risorse? C’è da dubitarne; si dovrebbe discuterne. Ma
come allocarli? Come mostrato ieri su queste colonne, per stabilirlo il MUR ha pubblicato
fra il 25 gennaio e il 2 febbraio ben tre differenti decreti direttoriali, molto diversi fra loro.
Beffardamente, sul sito del MUR oggi si legge con grande evidenza che “è stato
esplicitamente previsto che almeno 218 milioni siano destinati alle regioni del
Mezzogiorno”. Perché beffardamente? Perché chi legge non sa (e non può sapere perché il
precedente decreto, pur avendo tutti crismi di ufficialità, è stato rimosso dal sito), che solo
tre giorni prima, alle ore 17 e 18 del 31 gennaio, il Direttore Generale aveva invece stabilito
che dovesse esistere una “Linea di intervento Sud”, finanziata con 296 milioni. In tre giorni,
insieme al vecchio decreto direttoriale, sono così spariti 78 milioni dalla dotazione per il
Sud, insieme ai criteri (su cui nell’ultima versione nulla si dice) per renderla operativa. Si
resta davvero senza parole.
In generale vi è il timore – che proprio una maggiore trasparenza potrebbe fugare – che a
condizionare le scelte dei Ministeri operino forti pressioni di gruppi di interesse,
approfittando proprio dell’assenza di informazione e di discussione pubblica. Ne è
esemplificativa la vicenda del bando del Ministero dell’Interno sui progetti di rigenerazione
urbana nei contesti socialmente più difficili, che ha assegnato cospicue risorse ai comuni
del Centro-Sud, di Liguria ed Emilia. I comuni della Lombardia e del Veneto hanno avuto
pochi progetti approvati. Saggiamente (visto l’esito), al posto di discutere pubblicamente
sui criteri, sono andati al sodo. Grazie ad una pressione politica bi-partisan
incongruamente sostenuta dall’Associazione Nazionale dei Comuni, si sono fatti
direttamente assegnare “fuori sacco” la colossale cifra di 905 milioni. Così che anche
Belluno potrà fare progetti contro il disagio sociale, con le stesse risorse di Napoli (20
milioni).
Due conclusioni e proposte finali. Ci sono seri dubbi che la “Cabina di regia” (che deve
elaborare “indirizzi e linee guida” per il PNRR) e il Servizio centrale per il PNRR presso il
Ministero dell’Economia stiano esercitando le funzioni di coordinamento assegnate loro:
un rapido ripensamento del concreto funzionamento della “governance” del Piano sembra
opportuno. Il Parlamento, proprio perché sede di rappresentanza di tutti i cittadini e di
tutti i territori non può non far sentire la propria voce (anche grazie all’ausilio analitico che
può avere dagli eccellenti Servizi Studi di Camera e Senato). Un’ampia e approfondita
sessione parlamentare di discussione della Relazione sul PNRR appena presentata dal
Governo alle Camere sarebbe la sede opportuna. Si sta disegnando il futuro dell’Italia: è
indispensabile discutere come.
Pubblicato su il Messaggero e il Mattino, 6.2.2022
Senza entrare nella opportunità o meno di riservare quote PRIN al meridione non capisco perché si parli di 78 milioni scomparsi. La lettura che faccio del comma 1 dell’articolo 16 del bando PRIN 2022 (il 104 del 2.2.2022 che ricopio sotto) è che non c’è nessuna quota riservata al sud né ci sono vincoli sui consorzi che presentano le proposte.
Forse è il frutto della confusione fatta nei bandi precedenti o forse leggo male io il significato del comma.
Articolo 4, commi 9 e 10.
Articolo 16
Copertura finanziaria e informazioni
1. Per le finalità indicate all’art. 1, il MUR cofinanzia i progetti relativi al presente bando nel limite
complessivo di € 741.814.509,15.
Eventuali risorse di cui all’art. 2, comma 6 bis D.L. 77/2021, convertito con modificazioni dalla legge
29 luglio 2021, n. 108, non assegnate per carenza di progetti idonei, confluiranno nella dotazione del
settore ERC di riferimento.
Articolo 4
Finanziamento dei progetti e relativi costi
9. Le risorse finanziarie derivanti dall’art. 238, comma 4, del d.l. n. 34/2020 del presente bando devono essere destinate, per almeno il 40%, alle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia).
10. Le somme di cui al comma precedente sono pari a Euro 218.144.020,80.