Articolo di Andrej Gejm pubblicato su il Sole24Ore 24 febbraio 2013

«E che ci fa qui?», mi dice allibito il miliardario del software quando lo informo che sono un fisico. La reazione è istruttiva: la mia presenza lì a Davos, al Forum economico mondiale, gli sembrava strana quanto quella di un bracciante stagionale. Fra networking, self-promotion e tutte le altre cose che politici e finanzieri fanno normalmente (incluso sciare), la distinta combriccola di partecipanti al Forum il mese scorso ha discusso del pessimo stato dell’economia mondiale. I capi di Stato vedevano la cura in una migliore governance, i banchieri centrali in migliori controlli sulla finanza, i banchieri d’affari nei mercati. Gli economisti proponevano nuove teorie e gli imprenditori della Rete esternavano la loro fiducia nei social media. L’unica cosa su cui tutti erano d’accordo era che una soluzione in tempi rapidi era a portata di mano.
Il pregio delle torri d’avorio è che consentono di vedere più in là dei problemi immediati. Dove qualcuno vede crisi del settore bancario, crisi del debito, crisi valutarie o qualche altra crisi, gli accademici magari vedono sviluppi ancora più preoccupanti. Siamo nel pieno di una crisi tecnologica: le tecnologie rivoluzionarie non emergono più con la frequenza necessaria per garantire una crescita economica costante; anche i banchieri si lamentano per la scarsità di nuove tecnologie su cui investire. Se guardiamo alla seconda metà del secolo scorso vediamo una sequela incessante di progressi tecnologici. La rivoluzione del silicio ha portato ai computer, ai microchip, ai cellulari e al web. E ci sono stati anche lo Sputnik, i laser, la corsa alla Luna, il Gps. Negli ultimi vent’anni, a parte i social media, più che scoperte rivoluzionarie abbiamo avuto perfezionamenti degli stessi congegni. Molti economisti sostengono che i «frutti sui rami bassi» ormai li abbiamo raccolti tutti e che andiamo verso un prolungato periodo di stagnazione. Ma visto che questo non ha ancora prodotto un chiaro declino economico, la gente non ci fa molto caso. Il fatto che gli economisti siano famosi per le loro eloquenti spiegazioni su perché erano sbagliate le teorie precedenti non aiuta.

Dalla mia torre d’avorio si gode una bella vista sulla scienza di base, un campo dove gli economisti non si avventurano. E vedo una crisi seria nella capacità di produrre nuova conoscenza. Non che non ci siano più scoperte, è solo che il ritmo ha rallentato. Senza nuova conoscenza sono possibili solo tecnologie derivate: che sono importanti, ma non sono in grado di garantire il mantenimento di quel ritmo di crescita economica di cui il mondo ha goduto fin dall’avvento della rivoluzione industriale. Per l’uomo della strada, la ricerca pura può sembrare uno spreco di denaro, perché non fornisce immediatamente l’equivalente moderno dei panem et circenses. Se si allarga lo sguardo, però, si vede che non esiste niente di più importante dell’inutile conoscenza di base: la rivoluzione del silicio sarebbe stata impossibile senza la fisica dei quanti: la matematica astratta consente di evitare che la sicurezza della Rete e i computer vadano in tilt a ogni secondo; la teoria della relatività di Albert Einstein potrà sembrare irrilevante, ma senza di essa il vostro sistema di navigazione satellitare non funzionerebbe. La catena che conduce dalle scoperte di base ai prodotti di consumo è lunga, lenta e misteriosa: ma se si distrugge la base, crollerà l’intera catena.
Secondo questa logica dobbiamo investire nella ricerca pura per acquisire nuove conoscenze. Tutti quelli con cui ho parlato a Davos erano inequivocabilmente favorevoli a incrementare i finanziamenti alla scienza. Sfortunatamente, gli esseri umani non sono animali logici: quando ho chiesto alle stesse persone se le loro aziende sarebbero disposte a pagare un’imposta per finanziare la scienza, la risposta è stata un altrettanto inequivocabile “No”; e “No” anche a un’imposta sul reddito personale. Come se i soldi potessero venire da qualche altra parte.
Fino a quarant’anni fa, la minaccia di guerre calde e fredde costringeva i Paesi a cercare di procurarsi vantaggi duraturi sui potenziali nemici. A rischio di risultare semplicistico, lasciatemi dire che questo pericolo si traduceva in investimenti nella ricerca scientifica, e questi investimenti hanno consentito il proseguimento della rivoluzione industriale. Oggi, la minaccia rappresentata dal riscaldamento globale, dal sovrappopolamento e dalla scarsità di risorse naturali non fa paura a sufficienza.
I Governi occidentali hanno tagliato i fondi ai loro programmi di ricerca pura in risposta alle ristrettezze finanziarie e al l’ostilità dell’elettorato verso la ricerca accademica. Davos mi ha convinto che ci sono poche speranze di cambiamento. Servirebbe un cambiamento della natura umana. Temo che questa volta gli economisti abbiano ragione e che una stagnazione alla giapponese ci sembrerà lo scenario più roseo.
Ma io ho un sogno. La rivoluzione industriale e la crescita economica continueranno, perché gli astrofisici scopriranno un’enorme roccia cosmica che colpirà la Terra fra 50 anni. Questo dovrebbe fare paura a sufficienza. Il mondo riuscirà di sicuro a sventare questa minaccia, ma dovrà sviluppare nuove conoscenze e nuove tecnologie. Alla fine, nel mio sogno, gli esseri umani si renderanno conto che i social media possono far arricchire parecchio qualcuno, ma non possono salvare il pianeta. Per questo, servono nuove scoperte fondamentali.

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

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9 Commenti

  1. Scusate questo commento su un tema che sembra non aver appassionato alcuno dei commentatori e delle commentatrici di ROARS.

    Per prima cosa, segnalo la versione del Financial Times di questo pezzo di Gejm:
    http://www.ft.com/cms/s/0/ad8e9df0-6faa-11e2-956b-00144feab49a.html
    Il titolo inglese e’ un po’ diverso e meno rassicurante da quello propinatoci dal Sole 24 Ore: “Be afraid, very afraid, of the tech crisis”.

    In secondo luogo, questo commento di Gejm, secondo me, si puo’ collegare a tutte le nostre discussioni sulle modalita’ di finanziamento della ricerca. Ammesso che cio’ che scrive Gejm sia vero, se creiamo legioni di precari che devono passare da un progetto al successivo dopo uno o due anni di lavoro, e se i non precari devono continuamente scrivere proposte per ottenere i fondi per pagare nuovi precari, alla fine non resta molto tempo per la scienza.

    Cordiali saluti

    Enrico Scalas

  2. quindi, concludendo, abbiamo bisogno di una paura di massa per convincere la gente a mollare soldi per finanziare la ricerca di base… trovo una contraddizione nell’affermazione di Gejm: “gli esseri umani non sono animali logici”, con il dato di fatto che la scienza è fatta da esseri umani….
    forse, piuttosto che lamentarci continuamente del fatto che le masse sono così illogiche da non capire la necessità della scienza di base, dovremmo chiederci se non c’è qualche incapacità di comunicazione da parte della comunità scientifica…

  3. Non serve la roccia cosmica, basterebbe far passare il messaggio che la ricerca dà risultati utili a tutti invece di dedicare quindici minuti di telegiornale a Totti + Vasco Rossi + cosa andrà di moda l’estate prossima.

  4. @Luca:
    In effetti noi scienziati siamo incapaci a comunicare. Nonostante il Corriere della Sera ci scriva tutti i giorni per implorarci di scrivere elzeviri per loro, rinunciamo sempre perche’ non abbiamo tempo. E che dire di tutti gli inviti che riceviamo ogni giorno da parte di Floris, Fazio, Santoro e dei loro simili. A me ne giungono tre o quattro al giorno e a voi? Perche’ non li andiamo mai a trovare? Su Twitter abbiamo due o tre seguaci al massimo. Su Facebook ci tolgono l’amicizia se scoprono che siamo scienziati. E poi non approfittiamo dei talent show e dei quiz dove potremmo essere imbattibili!

  5. @Enrico:
    capisco il tuo senso di frustrazione, che in parte condivido, ma credo che l’unica via sia ricercare vie di comunicazione nuove ed alternative per tentare di fare capire alle persone l’importanza della scienza di base…
    per esempio, il successo del M5S potrebbe servire come mezzo per fare comprendere che la scienza è l’unico mezzo per raggiungere i cambiamenti che molti attivisti di Grillo si aspettano (anche se con una fede messianica che a volte inquieta un po’)….
    non c’è nulla da fare, dobbiamo sbatterci, continuare a perdere tempo a comunicare nei mezzi e nei modi che abbiamo per farci sentire… e non solo per noi stessi, ma per i nostri figli e nipoti, se pensiamo davvero che “la ricerca ci salverà”

  6. @Luca:
    Ottimo, ma in concreto cosa suggerisci?
    Vediamo un po’. Della televisione e dei giornali abbiamo gia’ parlato. Alcuni giornali hanno creato un ghetto per la scienza: le pagine scientifiche settimanali. Gli altri giorni, di solito, di scienza non parlano anche se servirebbe. Per quanto concerne l’editoria in italiano, se non ti chiami Piergiorgio Odifreddi, Margherita Hack o Roberto Vacca non pubblichi. E comunque pubblichi solo se hai amici nelle case editrici. L’unica alternativa per parlare di scienza e’ forse scrivere biografie di Einstein per una casa editrice con curatori amici, ma, in ogni caso, questi libri divulgativi sono poco letti.

    Si puo’ provare a partecipare ai Festival della Scienza. L’ho fatto a Genova, una volta hanno anche accettato una mia proposta di un incontro su Vilfredo Pareto. Poi un paio di volte ho organizzato un laboratorio di econofisica (un escamotage per far capire la differenza tra azioni e obbligazioni ai partecipanti al Festival).

    L’unica possibilita’ che vedo e’ quella di scrivere di scienza e di politica della scienza in inglese e poi sperare di essere tradotti in italiano in futuro.

    Per tutti questi motivi sono particolarmente interessato a leggere le proposte tue e di chiunque altro per azioni piu’ incisive.

  7. @Luca:
    Dimenticavo. Ho anche pensato a progettare una serie televisiva con scienziati come protagonisti. Di nuovo, secondo me e’ molto piu’ facile trovare un riscontro a Hollywood che a Cinecitta’.

    Avrai/avrete notato gli svarioni nelle traduzioni in italiano dei testi di Numb3rs o di Big Bang Theory. Ebbene, non ci chiamano neanche per fare i consulenti e rivedere testi tradotti da persone che nulla sanno di scienza.

    Invece, prima o poi, provero’ a progettare un corso di probabilita’ applicata basato sulle puntate di Numb3rs e sugli appunti di Rick Durrett.

    L’unica consolazione e’ osservare come gli scienziati di questo paese (l’Italia) siano sempre stati nel posto sbagliato sin dall’epoca di Galilei, Cavalieri e Torricelli. E la nostra non e’ neanche l’epoca peggiore.

    Ciao

    Enrico

  8. @Enrico:
    la tua esperienza è negativa, ma credo che si possano trovare idee nuove… ad esempio, visto il grande successo del M5S e l’interesse che mostrano verso temi scientifici si potrebbe cominciare a produrre documenti di politica della scienza e della ricerca che affrontino in modo rigoroso alcuni punti (li scrivo senza averci neppure pensato):

    – energie rinnovabili: quali funzionano, quanto ci aiuteranno, quali investimenti possono portare a risultati tangibili – la ricerca di base può portare nuove idee per migliorare efficienza!
    – efficienza energetica: sistemi per ridurre gli sprechi (reti intelligenti, nuovi materiali per recupero di energia…)
    – sperimentazione farmaci: è possibile fare a meno della vivisezione?

    sono sicuro che una cosa del genere potrebbe almeno stimolare un dibattito tra i nuovi parlamentari – se vogliono distinguersi in tutto e per tutto dai precedenti, sicuramente ascoltare gli scienziati sarebbe un cambio di rotta totale!
    cito dall’articolo di Grillo: “Così ho cominciato a rivolgermi agli scienziati e intellettuali, per vedere se ci fossero modi sostenibili di fare le cose. Importanti scienziati successivamente hanno scritto per il mio blog, hanno discusso le loro idee. Lino Guzzella rettore del Politecnico di Zurigo, è venuto sul palco di uno dei miei eventi a spiegare ciò quello che sarà l’energia del futuro. “

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