Il ‘GRUPPO DI FIRENZE per la scuola del merito e della responsabilità’ ha avanzato per le scuole superiori la proposta di sostituire l’organizzazione in classi con quella, tratta dal modello finlandese, in corsi disciplinari, così che lo studente ripeta solo quei corsi di cui non abbia superato l’esame. Nella maggior parte degli interventi delle persone interpellate sulla proposta, ancor più nei resoconti giornalistici, si osserva una diffusa incapacità di scorgere che la proposta nasce dalla constatazione allarmante che molti voti insufficienti sono spinti truffaldinamente alla sufficienza soltanto perché i consigli di classe tremano di fronte alla misura draconiana di far ripetere l’anno scolastico, nasce cioè dalla preoccupazione di restituire serietà all’istruzione. La diffusa incomprensione del vero intento della proposta annuncia il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a quello per cui era stata avanzata, verso cioè un ulteriore svuotamento dell’istruzione pubblica – per quanto ormai sia difficile immaginare come si possa fare peggio…
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la segnalazione inviataci da Marino BADIALE, Fausto DI BIASE, Paolo DI REMIGIO, Lorella PISTOCCHI.
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Vorremmo segnalare alla Redazione e ai lettori di Roars lo scambio di idee che abbiamo avuto con il Gruppo di Firenze, articolato nei quattro interventi seguenti, disposti in ordine cronologico (il n.1 contiene una loro proposta, al n.2 c’è una nostra risposta, e così via).
Le statistiche ufficiali ci dicono che negli ultimi dieci anni un milione e ottocentomila ragazzi delle scuole superiori risultano «dispersi» (per dispersione si intende la somma degli abbandoni e delle ripetenze). In realtà le cifre sono molto maggiori. Le scuole infatti sono tenute a segnalare al ministero solo i ragazzi che ufficialmente si sono ritirati. Sappiamo invece che la gran parte dei «dispersi» abbandona senza che le famiglie ne diano notizia, essendo spesso disinteressate alla vita scolastica dei figli…
Il ‘GRUPPO DI FIRENZE per la scuola del merito e della responsabilità’ ha avanzato per le scuole superiori la proposta di sostituire l’organizzazione in classi con quella, tratta dal modello finlandese, in corsi disciplinari, così che lo studente ripeta solo quei corsi di cui non abbia superato l’esame. Nella maggior parte degli interventi delle persone interpellate sulla proposta, ancor più nei resoconti giornalistici, si osserva una diffusa incapacità di scorgere che la proposta nasce dalla constatazione allarmante che molti voti insufficienti sono spinti truffaldinamente alla sufficienza soltanto perché i consigli di classe tremano di fronte alla misura draconiana di far ripetere l’anno scolastico, nasce cioè dalla preoccupazione di restituire serietà all’istruzione. La diffusa incomprensione del vero intento della proposta annuncia il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a quello per cui era stata avanzata, verso cioè un ulteriore svuotamento dell’istruzione pubblica – per quanto ormai sia difficile immaginare come si possa fare peggio…
Quattro docenti, due universitari e due della scuola secondaria, ci hanno inviato un’ interessante riflessione sulla nostra proposta di una diversa organizzazione delle superiori. Mi pare che il senso di questo documento possa essere sintetizzato in tre punti:
1) non molti hanno compreso che lo scopo principale della proposta del Gruppo di Firenze nasce dall’intento di restituire serietà all’istruzione; questa diffusa incomprensione fa intravedere “il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a quello per cui era stata avanzata, verso cioè un ulteriore svuotamento dell’istruzione pubblica”;
2) secondo i quattro autori “lo sfascio della scuola attuale” non deriva, come spesso si sostiene, dai limiti imposti all’autonomia scolastica, ma dal suo “pieno successo”, per l’inevitabile concorrenza al ribasso fra gli istituti;
3) di conseguenza “nessuna iniziativa di miglioramento dell’istruzione in Italia può avere successo se prima le scuole non sono liberate dall’ansia delle iscrizioni indotta dalla riforma dell’autonomia”.
Riguardo al primo punto…
Il nostro intervento in discussione col “Gruppo di Firenze” ha portato ad una replica del Prof. Ragazzini, che si può leggere qui, ma per completezza riportiamo in questo post. Ad essa rispondiamo come si legge nel seguito. Penso che la discussione, che speriamo interessante per i lettori, possa fermarsi qui…
A noi il dibattito sembra piuttosto rivelatore. La scuola attuale si è formata nel diluvio di interventi confusi, operati dai diversi governi negli ultimi venti anni, tutti dipendenti dall’unico principio dell’autonomia, per cui le scuole, separate dallo Stato e agghindate come se fossero imprese commerciali, sono state messe in concorrenza reciproca, dunque sollecitate a sostituire l’impegno didattico organico con iniziative ludiche per incrementare le iscrizioni dei discenti ridotti a clienti. Che l’autonomia scolastica sia una distorsione della scuola non è soltanto nostra impressione, risulta anche dalle indagini empiriche di Scheerens, che ne hanno accertato l’incapacità di migliorare la qualità dell’istruzione. Solo se si mettono da parte le iniziative improvvisate e ci si impegna a spezzare la gabbia economicistica che la imprigiona, l’istruzione pubblica in Italia potrà rinascere.
Marino BADIALE, Fausto DI BIASE, Paolo DI REMIGIO, Lorella PISTOCCHI
Vorrei fare un commento metodologico più che nel merito della discussione. Interessante e lodevole che restino ancora più voci interessate a proporre e discutere riforme nella scuola. Mi piacerebbe anche che da parte delle forze politiche (indifferentemente se di governo o opposizione) ci fosse la stessa attenzione ai problemi dell’ istruzione. Non mi sembra che sia così. E quindi una prima priorità dovrebbe essere quella di fa crescere la pressione sull’ argomento.
Altro punto importante è come procedere in pratica. Vedo che si auspica una discussione dei dettagli implementativi a livello parlamentare. Temo che questo sia ottimistico e pericoloso: il rischio che la soluzione finale sia basata su chi vince bracci-di-ferro ideologici è alta. Mi piacerebbe vedere la proposta esplicita di sperimentazioni scientifiche e controllate, prima di arrivare a proposte operative. Ma questo, essendo un passo che costa risorse, se lo si vuol fare seriamente, presupporebbe l’aumento di interesse della politica di cui sopra.
I problemi della scuola sono tali e tanti che non basta un libro per descriverli. Mi limito a notare che gli edifici scolastici italiani (ma anche la composizione del personale docente) non sono pensati per l’articolazione in corsi disciplinari. In parole povere, mancano spazi e/o docenti.
Una chiosa all’ottimo intervento di Giorgio Pastore.
Non mi risulta sia stata fatta una valutazione accurata delle esperienze fatte nella nostra scuola. Per esempio, va bene lamentarsi della riforma Gentile, meno bene farlo per motivi ideologici e senza andare al punto; oltretutto, non mi pare si parli granché delle precise critiche mosse della commissione Castelnuovo Volterra o tanto meno della scuola che precedeva quella fascista e dei suoi effetti sull’educazione degli italiani. In modo simile, mi pare che si sia detto “fine” con un colpo di penna alla grande esperienza del progetto Brocca, senza ragionare davvero degli effetti e delle potenzialità che si stavano sviluppando.
Guido Castelnuovo, Vito Volterra e altri,
“Sopra i problemi dell’insegnamento superiore e medio. A proposito delle attuali riforme”,
Atti Reale Accademia dei Lincei, Roma, 1923, disponibile in rete presso
http://dm.unife.it/matematicainsieme/riforma_gentile/pdf/Gentile04.pdf
Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi dei primi due anni –
“Le proposte della Commissione Brocca”,
Studi e documenti degli annali della Pubblica Istruzione, Le Monnier, 1991,
http://www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/bienniobrocca.pdf
A mio avviso i problemi partono dalla scuola media, i ragazzi dopo i 5 anni di elementari si ritrovano con almeno 12 professori e 15 materie diverse, alcune delle quali veramente desuete ( penso all’educazione tecnica ). Complessivamente, e tutti i dati lo testimoniano incluso le tanto criticate Invalsi, le scuole elementari funzionano bene in Italia, il buco nero si ha nei tre anni successivi ( ma non per colpa degli insegnanti ). Pensare ad una divisione in primarie di 7 anni e secondarie di 5 anni, riducendo di un anno ma con un minimo di criterio, e non come si vuole fare adesso con una scuola superiore di 4 anni semplicemente accorciando i programmi ( sic!); in questo caso la dispersione scolastica potrebbe diminuire. Attualmente ( e non ne parla nessuno ) il problema principale per le superiori riguarda il dimensionamento scolastico, che viene fatto senza alcuna valutazione didattica, per cui abbiamo istituti al cui interno c’è il Liceo Classico, il Professionale e l’istituto Tecnico, con una grande confusione quando lo stesso istituto deve fare orientamento nelle medie. Una proposta potrebbe essere quella di trasformare le scuole superiori in “campus” al cui interno ci sono i vari indirizzi e/o corsi di studio, e così si evita quel mercato all’ingrosso che è diventato l’orientamento, con gli istituti che si fanno la guerra per avere qualche iscritto in più dalle scuola medie.
Difficile tovare soluzioni semplici ad un problema complesso. E quello della Scuola è molto complesso, grazie a decenni di laisser faire e ad interventi episodici, scorrelati e spesso contraddittori. Io ho smesso da un pezzo di pensare che ci sia un unico “colpevole” o un unico segmento critico. La “scuola media” alias secondaria di primo grado è un punto critico nella criticità generale. Inoltre non credo che il problema principale siano le molte materie o che ci siano “non-colpevoli”. Io considero tutti gli attori corresponsabili e non faccio sconti neanche agli universitari che spesso hanno collaborato a mettere a punto quel “mostro” che sono le Indicazioni Nazionali (che costituiscono l’ “evoluzione” di quello che una volta erano i Programmi di insegnamento delle varie materie). Chiunque voglia tentare un discorso razionale sulla Scuola e sui problemi di dispersione, organizzazione per classi o per materie, dovrebbe preliminarmente dare una lettura critica alle Indicazioni Nazionali e porsi qualche domanda a riguardo. Dopo di che dovebbe leggersi anche i Quadri di Riferimento (delle prove Invalsi e dell’ Esame di Stato) e toccare con mano la complessità del problema.
Concordo sul fatto che non ci sono soluzioni semplici ad un problema complesso, ma noi, intendo gli operatori del settore ( insegnanti, studenti, dirigenti ) ,non possiamo sempre limitarci a fare le analisi sul disfacimento della scuola italiana e a non proporre delle soluzioni concrete. Mentre noi parliamo di corsi di studio, indicazioni nazionali, pagine di giornali piene sulla Storia agli esami, inclusa la “farsa” della reintroduzione dell’educazione civica; sul territorio sta avvenendo un progetto di “dimensionamento” degli istituti superiori senza alcuna strategia didattica con serie ripercussioni sulla formazione degli alunni.
In questa pagina: https://temi.camera.it/leg18/post/la_rete_scolastica_e_il_dimensionamento_delle_istituzioni_scolastiche_-1.html viene spiegato il percorso giuridico
che parte dal DPR 233/98 (per acquisire o mantenere la personalità giuridica, gli istituti dovevano avere, di norma, una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile per almeno un quinquennio, compresa fra 500 e 900 unità, con alcune deroghe ) e arriva D.L. 98/2011 ( viene demandato alle Regioni le modalità di accorpamento del servizio ). Cosa sta accadendo nei fatti? Mentre lo Stato individua i percorsi di studio le Regioni pensano agli edifici, e lo fanno attraverso le “conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica” ( formata da amministratori locali e nessun rappresentante delle scuole, nemmeno i sindacati! ) quest’ultimi stanno applicando agli Istituti Superiori lo stesso criterio ( talvolta anche clientelare) applicato alle scuole elementari e medie, ma al contrario degli Istituti Comprensivi, alle Superiori ci sono percorsi di studio e utenze completamente diverse ( tecnici, licei e professionali ). Ci sono Istituti con due o tre nomi, altra cosa da ridere, al cui interno troviamo indirizzi di studio completamente diversi con unico Collegio docenti ( sic! ), ricordo che il Collegio docenti è l’organo deputato a dare l’indirizzo didattico, ma come può avere un comune indirizzo didattico un liceo classico e un professionale? Stiamo affidando la “riforma” dei corsi di studio non ai pedagogisti, intellettuali, professori universitari, etc ma ai sindaci ( o meglio ai loro delegati ). “Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”.
E’ per questo che nel mio primo commento mi ero concentrato sulla questione metodologica che considero prioritaria rispetto ai pur importanti singoli problemi specifici. Senza una presa di coscienza da parte della politica, come espressione della società, non si andrà da nessuna parte.