Daumier – Volti di avvocati

L’introduzione e il successivo repentino ritiro della norma abolitiva dell’ordine degli avvocati ha suscitato, per l’ennesima volta, un vivace dibattito intorno alla professione forense. In particolare Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno ribadito, in un editoriale apparso sul Corriere della sera, che parte della inefficienza del sistema giustizia dipende dalla quantità troppo alta di avvocati presente nel nostro paese e dalla conseguente qualità troppo bassa dei servizi offerti, ma soprattutto dalla convenienza degli avvocati a ingenerare liti e a protrarle oltre l’interesse dei clienti.

Una delle ricette proposte da Giavazzi e Alesina parte da lontano e consiste nell’introdurre gli accessi vincolati al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza (il cosiddetto numero chiuso). Credo che si tratti di una proposta da prendere molto sul serio. Un numero programmato di laureati di buona o sperabilmente di ottima qualità avrebbe effetti positivi a cascata su più fronti. Ne menziono tre.

Innanzi tutto costringerebbe i docenti a strutturare la didattica con metodi slegati dalla presenza di un alto numero di studenti, specie per i corsi del primo anno, e i discenti sarebbero in grado di svolgere un controllo più efficace sull’operato dei docenti.

In secondo luogo si iscriverebbero a Giurisprudenza soltanto, o in prevalenza, studenti motivati a seguire quel corso di studi, facendo calare il numero di coloro che continuano, assecondando una inveterata e scellerata tradizione, a scegliere gli studi giuridici nell’attesa di capire quali siano le loro vere aspirazioni, o che ritengono, erroneamente, che la laurea in Giurisprudenza sia  un jolly sul mercato del lavoro.

In terzo luogo un numero più basso di laureati, ma più bravi, non permetterebbe agli avvocati di ripetere stancamente la giaculatoria corporativa della necessità del controllo sugli accessi alla professione forense. Infatti, con un numero programmato di laureati, ben formati e preparati, sarebbe possibile, anzi auspicabile,
eliminare la slot machine dell’attuale esame di abilitazione alla professione forense e consentire ai laureati con un periodo certificato di pratica di esercitare la professione di avvocato. Ciò permetterebbe di modificare in senso liberale il ruolo dell’ordine: non più argine corporativo, ma organo di controllo sul corretto svolgimento della professione.

Com’è noto il numero chiuso è praticato da alcuni anni in vari corsi di laurea (tra i quali spicca quello in Medicina e chirurgia) con buoni risultati sia sul fronte del servizio offerto, sia sul fronte del collocamento dei laureati sul mercato del lavoro.

Certo, l’accesso vincolato ha le sue magagne, la più evidente è costituita dal come selezionare all’ingresso. In un paese come il nostro nel quale le scuole secondarie superiori sono peggiorate progressivamente nel corso degli anni e sono disomogenee riguardo alla qualità distribuita a macchia di leopardo sul territorio nazionale, non si può attribuire un peso determinante al voto conseguito alla maturità. Inoltre: a quali prove sottoporre gli aspiranti laureati in Giurisprudenza?

I problemi ci sono, ma da una discussione seria possono emergere soluzioni appropriate, ciò che importa è iniziare a discuterne con la volontà di intraprendere questa via. L’accesso vincolato non è la panacea, è bene dirlo, ma un primo strumento per migliorare la preparazione dei laureati in Giurisprudenza sicuramente sì.

Pubblicato su Il Riformista il 22 luglio 2011

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