«Una riunione cruciale? Il convegno internazionale? Un evento importante? La discussione del paper? Niente più respiro corto. Niente più mani che sudano. Per gestire la voce, imparare a usare il corpo, comunicare le emozioni, trovare le argomentazioni». Chi dovremo ringraziare se non avremo più il fiato corto e le mani che sudano? E, soprattutto, se impareremo a trovare le argomentazioni? Dovremo ringraziare i nostri rettori, che per tramite della CRUI ci mettono a disposizione il “Primo corso sul public speaking destinato alle università” al modico prezzo di 650 € (+IVA se dovuta).
Da: Segreteria Fondazione Crui <SegreteriaFondazioneCrui@crui.it>
Oggetto: Fondazione CRUI: aperte le iscrizioni al corso “PRIMO CORSO SUL PUBLIC SPEAKING DESTINATO ALLE UNIVERSITÀ”, Roma 20 e 21 marzo 2017
Data: 21 febbraio 2017 19:07:01 CET
Alla cortese attenzione Prof. XY
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Gentile Prof. XY,
parlare in pubblico non è una dote. Ma una competenza che si impara.
Una riunione cruciale? Il convegno internazionale? Un evento importante? La discussione del paper? Niente più respiro corto. Niente più mani che sudano.
Per gestire la voce, imparare a usare il corpo, comunicare le emozioni, trovare le argomentazioni,
Primo corso sul public speaking destinato alle università
Roma, 20 e 21 marzo 2017
Roma
Il corso si concentra su due aspetti: la costruzione dei contenuti di un discorso e le tecniche per l’esposizione. Gli obiettivi, quindi, sono: trovare il proprio stile, le argomentazioni e le figure e sviluppare fiducia, sicurezza e precisione comunicativa, utilizzando le tecniche del teatro.
I destinatari del corso sono: docenti, ricercatori, operatori della comunicazione delle università e personale tecnico-amministrativo. Le saremmo grati se potesse aiutarci a dare diffusione di questo avviso a Colleghi che potrebbero essere interessati.
Per approfondire i contenuti del corso è possibile consultare la pagina informativa e la locandina sul nostro sito, dove troverà anche un video e la scheda di iscrizione:
http://www.fondazionecrui.it/seminari/Pagine/Primo-corso-sul-public-speaking-destinato-alle-università.aspx
Qualora volesse esprimere l’interesse al corso per una eventuale replica in un’altra data, le ricordiamo che la Fondazione CRUI ha pubblicato online un modulo per la raccolta di manifestazione d’interesse ai corsi e seminari al seguente link https://goo.gl/EuOYs9
Augurandoci che l’iniziativa possa essere di suo interesse, le inviamo i più cordiali saluti.
La Segreteria Attività Formative della Fondazione CRUI
COSTO
€ 650,00 (+ iva se dovuta)
Alto là sudore!
Perbacco, hanno proprio ragione, vuoi mettere le capacità comunicative di uno spot come “acqua micellare venus” rispetto ai tediosissimi seminari, tipo quello di Dirac:
https://www.youtube.com/watch?v=e4BxstShKMY
Comunque, come al solito, la chiesa l’ha capito da tempo:
https://www.youtube.com/watch?v=zhbZxuogXKM
Marco2013 a differenza vostra trovo l’iniziativa interessante.
Essere competenti e saper raccontare, descrivere, interessare non sono sempre la stessa cosa. Non capisco invece perchè il personale amministrativo sia obbligato ad aggiornarsi, lo stesso le professioni varie mentre noi universitari non ne abbiamo né la possibilità né l’obbligo. C’è qualche cosa che non ho capito? La stessa chiesa cattolica su cui mi pare si ironizza si pone il problema di come meglio offrire una omelia ai credenti. E pure l’arte della retorica andrebbe offerta opportunamente (es nei corsi di giurisprudenza?). L’unica cosa su cui ero, cioè la comunicazione efficace, d’accordo con quella incapace e incompetente della Giannini (lasciamo perdere la Fedeli).
Nessuno mette in dubbio che sia utile. È lo stile comunicativo che lascia perplessi:
«Niente più respiro corto. Niente più mani che sudano. Per gestire la voce, imparare a usare il corpo, comunicare le emozioni, trovare le argomentazioni».
Tenete presente che il corso “è riservato alle università”.
Sono d’accordo con giufe, io mi sarei iscritto se non avessi avuto troppi impegni. A parte riunioni e convegni, penso che dovremmo investire di più sulla nostra funzione di docenti. Troppi di noi si accontentano di ripetere stancamente dalla cattedra le solite cose e poi i risultati li vediamo… Poi sì, lo stile comunicativo della Fondazione Crui lascia a desiderare, forse dovrebbero iscriversi anche loro!
Metteteli a scrivere con foglio, carta e penna. Vedrete come sudano.
Sono frequenti i seminari impeccabili dal punto di vista della presentazione “divulgativa”, con grande effetto sull’ampia audience. Purtroppo, spesso si tratta di solo fumo.
In un seminario ho sentito enfasi su argomenti di “grande interesse in foundation of physics”, con sottolineatura delle nuove strutture di punta di interesse anche “in number theory”. Chi conosceva bene questi argomenti ha realizzato immediatamente che si trattava di banalità strarisapute, riportate in modo tale da evidenziare la spiccata ignoranza dello speaker. L’abilità è stata quella di contrabbandare tale ignoranza in competenze interdisciplinari di alto livello, la maggioranza disattenta o incompetente ci casca.
Se uno poi prova a fare qualche domandina, allora più che alla sudorazione si assiste all’evaporazione.
Questo è uno dei tanti esempi di come la ricerca si stia concentrando sui contenitori e non sui contenuti. Di fatto oggi si potrebbe riuscire in vari campi di ricerca coltivando l’h-index, avere una varietà di contatti, buone abilità comunicative e grafiche (slides) e il gioco è fatto.
La situazione è l’opposto di quanto succedeva fino a non molto tempo fa. Tanto per dare un’idea, i seminari teorici organizzati da Landau iniziavano alle 3 del pomeriggio e finivano la mattina dopo, c’era la lavagna e una buona dose di Vodka. Presumibilmente nessuno usava slides colorate, né si preoccupava di sudorazioni eccessive e amenità varie.
Di fronte ad una situazione del genere mi aspetterei qualche iniziativa da chi, come la CRUI, dovrebbe rappresentare un baluardo a difesa della ricerca di qualità. Arriva invece un invito che nella sostanza sponsorizza ancor più il contenitore, congruamente con il linguaggio da spot per deodoranti.
Ma perché il contenuto di qualità non dovrebbe giovarsi di una forma gradevole e convincente? Anche l’occhio (l’orecchio!) vuole la sua parte …
Scherzi a parte: si può pure discutere quanto si vuole sull’iniziativa della CRUI, e sul modo in cui è stata pubblicizzata. Ma resta un fatto: saper presentare è indice di intelligenza e cultura, ed è – mi sembra – per un docente, un fondamentale requisito di professionalità.
Va aggiunto che una situazione del genere non è che la versione accademica di quanto ormai accade in tutta la società. Basti osservare la spiccata dicotomia tra i risibili toni da venditore di quadri e i risultati ottenuti dal penultimo governo. Meno male che l’ultimo ha il buongusto di tacere, speriamo che faccia anche qualcosa di utile.
marco2013 scusa non capisco quello che intendi, forse sono tardo io, o forse un bel corso…
perchè no? :)
giufe Se a uno speaker gli sudano le mani durante un seminario sono fatti suoi, sono interessato alla sostanza della sua ricerca, if any. I miei esempi riguardano proprio l’attenzione sempre più spinta per presentazioni accattivanti che si riscontra nei talks, parallela ad uno scadimento della qualità della ricerca. Cosa che ha molto a che vedere con la valutazione bibliometrica.
L’iniziativa segnalata da ROARS, che non proviene da qualche ufficio del MIUR, bensì della CRUI e con linguaggio da spot molto grezzo, la interpreto come segnale di come l’attenzione per l’immagine stia pervadendo tutti i gangli. Non conta cosa dici ma come lo dici.
Traduco: il contenitore, anche se buono o accettabile, non garantisce la qualità del contenuto. Se ricevi un pacchetto infiocchettato, che contiene il vero regalo, e se il vero regalo è scadente o comunque inferiore alla qualità della carta da regalo, la delusione è grande. Saper esporre è importante, ma più importante è quel che esponi. Ci deve essere armonia e corrispondenza tra forma e contenuto.
@marco2013: “Se a uno speaker gli sudano le mani durante un seminario sono fatti suoi, sono interessato alla sostanza della sua ricerca.”
E io invece sono interessato anche alla sostanza della sua persona. Altrimenti mi basterebbe prendere in mano un libro o un articolo. E se la persona che mi parla mostra attenzione e riguardo per chi l’ascolta, curando il proprio modo di porgersi al prossimo, è già sulla buona strada per conquistarsi la mia stima. E magari – perché no – la mia amicizia.
P.S.: Al mondo non esiste solo la nostra materia di studio. Ci siamo anche “noi”, perdiana …
L’iniziativa mi parrebbe lodevole, almeno in linea di principio. Saper comunicare dati scientifici ostici (per definizione), non è da tutti e spesso ottimi scienziati rimangono inascoltati a causa delle loro improvvisate capacità oratorie. Personalmente, da molti anni, sostengo 2-3 ore di lezione su ‘How to give a talk’ per i miei studenti. In generale lo sforzo è apprezzato.
Costo=venire a lezione
..E qui il discorso si riallaccia ad un altro qui presente in altri commenti: le (eventualmente) scarse capacità oratorie sono molto amplificate se si usa una lingua come il globish, cioè
qualcosa che ha molto poco in comune con l’inglese, e di per se esclude la comunicazione di concetti troppo complessi.
E d’altra parte, pensando a scenari consueti per la comunità scientifica, come i congressi internazionali,
il problema non sta solo nell’oratore ma nell’uditorio: pur essendo madrelingua inglese, e ottimi oratori, con i tempi giusti e un leggero umorismo sapientemente spolverato lungo tutto il ‘talk’, se l’uditorio non è madrelingua l’effetto è lo stesso su di loro…
A me ricorda una canzone di De Andrè, alla strofa ‘vecchio Professore cosa stai cercando in quel portone/ forse quella che sola ti può dare una lezione/10.000 lire per sentirsi dire bimbo bello e bamboccione’
Ecco, appunto: 650 euro per sentirsi dire da chissà quale autorità chissà quale trucco a cui l’esperienza dei corsi non abbia già svelato…
650+Iva, al 20%, immagino, “se dovuto” (a chi sì, a chi no, boh, più spese di trasferta), insomma circa mille euri. Brava, Fondazione Crui.
Che poi mi chiedo: ma i professori universitari sono una categoria particolarmente esposta al ‘sudore delle mani’ e al ‘respiro corto’ ? Non è gente che, per il mestiere che fa, ha già da tempo imparato a gestire la ‘paura di parlare ad un pubblico’?
Perché qualcuno ritiene che i professori abbiano bisogno di ciò?
Marinella, se guardi un po’ in giro trovi corsi simili che costano la metà e il doppio. Sappiamo bene che c’è corso e corso… Poi su quello che dice Francesco in teoria sono d’accordo, ma in pratica è proprio vero che perché siamo professori siamo tutti bravi ad insegnare? A me nessuno ha insegnato ad insegnare, mi sembra che siamo stati tutti scelti per la ricerca che sappiamo fare. Quanti soldi spendiamo, giustamente, per andare ai convegni scientifici e “formarci” come ricercatori? Quanto curiamo invece la nostra funzione di docenti? Da questo punto di vista sembrano ancora esagerati i 650 euro? A me no sinceramente e io avrei voluto andarci e anzi ci andrò se faranno altre edizioni.
Forse non ne ha bisogno un “full professor” a fine carriera. Ma un giovane ricercatore aspirante ad una carriera accademica di queste competenze ne ha bisogno assai. E lo dico per esperienza personale.
Nell’estate del 1986, durante il terzo anno del mio corso di Dottorato di Ricerca (1° Ciclo!) passai 3 mesi all’University of Southampton, esperienza su cui poi ho vissuto di rendita dal punto di vista accademico per almeno 20 anni…
Una delle cose che i colleghi inglesi mi fecero fare fu appunto seguire un breve corso di “body language and commercial presentation”, un corso normalmente rivolto ai VENDITORI PORTA A PORTA. Anche il libro di testo era bellissimo, ce l’ho ancora da qualche parte, scritto da un professore americano.
Va detto che la materia è borderline con una delle mie attività di ricerca, che è lo studio dell’intelligibilità del parlato nelle aule scolastiche. Ed in effetti è dimostrato che l’intelligibilità di una lezione cresce, a parità di condizioni acustiche dell’aula, in presenza di efficace trasmissione delle informazioni tramite il canale visivo, che si basa non solo su quello che si disegna col gesso sulla lavagna, ma anche (e direi soprattutto) sul linguaggio del corpo del docente.
La cosa è stata poi confermata con le mie esperienze di teledidattica. Se uno mette a disposizione filmati in cui si vede solo lo schermo del computer com la presentazione Powerpoint accompaganta dalla registrazione audio della voce del docente, la capacità di trasferimento dell’informazione è nettamente inferiore ad una lezione seguita dal vivo. Se invece si aggiunge in un angolino la ripresa video “a mezzo busto” del docente mentre parla, allora il filmato risulta assai più efficace.
In conclusione, questo corso mi pare una iniziativa lodevole, forse mal pubblicizzata e venduta ad un prezzo eccessivo, ma pur sempre lodevole.
Bisogna poi vedere chi tiene queste lezioni e come le tiene, ma questo è presto per giudicarlo. L’analogo corso da me seguito a Southampton nel lontano 1986 era invero fenomenale, e mi ha portato grandissimi benefici lungo tutta la mia carriera…
E mi auguro caldamente, per chi vi parteciperà, che anche questo sia allo stesso livello, considerato anche che le conoscenze scientifiche in materia si sono grandemente evolute in questi 30 anni, grazie allo studio di scienziati come la prof. Rosalind W. Picard dell’MIT-Medialab ed altri…
Premetto che non contesto l’eventuale utilità di tutte queste cose, al limite ne contesto l’importanza, io ricordo di aver imparato molte cose (in argomenti specialistici) leggendo dei libri di cui non ho conosciuto il nome dell’autore per molto tempo (erano open access, e per caso il nome dell’autore non compariva mai nel documento) ma erano scritti così bene che ancora li conservo. In questo caso non c’è evidentemente linguaggio del corpo, non c’è proprio un corpo da associare allo scrivente. C’è solo la lingua scritta. E’ un po’ la differenza fra un poeta e un cantautore, spesso confusi: ma il secondo ha il supporto (enorme) della musica, nella comunicazione delle emozioni. Ritorniamo ad un discorso che abbiamo già fatto: è meglio imparare a padroneggiare bene la lingua sin dall’inizio,
oppure si può trascurare la lingua per poi COMPENSARE il difetto comunicativo ricorrendo a delle pezze (il linguaggio del corpo, la musica o quant’altro). Sbagliano allora proprio gli inglesi a prendere in giro noi italiani perché gesticoliamo e a insegnare ai loro bambini a parlare senza gesticolare? (Ironia della sorte lei, italiano, si è fatto insegnare il linguaggio del corpo proprio dagli inglesi !)
A me sembra strano che i colleghi non percepiscano che l’anomalia non è il corso di Public Speaking ma la modalità di promozione:
«Una riunione cruciale? Il convegno internazionale? Un evento importante? La discussione del paper? Niente più respiro corto. Niente più mani che sudano. Per gestire la voce, imparare a usare il corpo, comunicare le emozioni, trovare le argomentazioni».
Respiro corto? Mani che sudano? Difficoltà a “trovare le argomentazioni”? È fin troppo chiaro che è stato riciclato un testo promozionale pensato per altre categorie di utenti. Che questa incongruenza comunicativa sia capitata a chi vuole insegnare a comunicare meglio, desta qualche perplessità sull’iniziativa (che magari si rivelerà ottima). Non a caso, sul sito della CRUI (http://www.fondazionecrui.it/seminari/Pagine/Primo-corso-sul-public-speaking-destinato-alle-universit%C3%A0.aspx) non si fa cenno al respiro corto o alle mani che sudano. Non so se le mani sudaticce erano riservate alla diffusione via email o se abbiano corretto in corsa la presentazione sul sito.
Ma anche il corso che seguii io in inghilterra non era rivolto ai ricercatori, l’ho scritto.
Era un corso per VENDITORI PORTA A PORTA !!!
Organizzato da una casa editrice che reclutava venditori di enciclopedie…
Il che non toglie che era ben fatto, e si rivelò utilissimo.
Nel caso della CRUI si può solo forse ironizzare su una certa mancanza di stile, che invero a me importa poco. E’ la sostanza che conta, ed in particolare se questo corso è efficace ed utile.
Sul discorso che il canale di comunicazione principale è e deve restare il testo scritto, mi permetto di dissentire, per due motivi:
1) Il più piccolo dei miei figli è dislessico, ed a scuola ha fatto molta fatica, perchè gli insegnanti (al liceo classico) avevano questa antica convinzione che la comunicazione “seria” si possa fare solo mediante un testo scritto in Italiano perfetto, senza errori ortografici ed anche con una bella calligrafia. Dopo lunghe battaglie (soprattutto da parte di mia moglie) alla fine gli è stato consentito di poter usare il computer a scuola sia per leggere (con le orecchie, grazie alla sintesi vocale) sia per scrivere (in questo caso con la tastiera, ma con una serie di ausili informatici), e di produrre i suoi elaborati non come semplici testi scritti, ma come ipertesti con grafica, animazioni, suoni, etc.
Con tali mezzi comunicativi a disposizione, mio figlio è passato da essere uno studente mediocre ad uno studente brillante, ed ora all’università sta andando fortissimo (è al terzo anno, in pari di esami, ha già fatto la tesi, e parla di laurearsi a luglio, cosa ormai fuori dalla norma). Fa scienze biologiche…
2) La mia attività di ricerca è fortemente centrata sulla comunicazione, ed in particolare sul suono (parlato, musica, rumori, segnali d’allarme, etc.), ma anche sulla sua interazione col canale visivo, per non parlare degli effetti polisensoriali (ad esempio, suono del cibo che mangiamo). Pensare di comprimere tutto il mondo della comunicazione polisensoriale alla sola scrittura e lettura di testi scritti, oltre che anacronistico, mi pare veramente riduttivo delle enormi capacità di cui la natura ci ha dotati. E’ vero che il testo scritto è stata la prima forma di “memorizzazione permanente” del sapere, e lo è rimasta per millenni. Da poco più di 100 anni disponiamo della tecnologia per memorizzare e riprodurre i suoni e le immagini statiche, e da soli 50 anni possiamo fare ciò per le imagini in movimento. Sugli altri canali sensoriali si sta ancora lavorando a livello di ricerca di base (registrazione e riproduzione degli aromi, delle sensazioni tattili, etc.).
Mi sembra che sia ormai ora di abbandonare il testo scritto come unica forma di comunicazione “nobile”, utilizzata dagli scienziati per divulgare il loro sapere… Ma vedo che ci sono ancora molte resistenze a questa rivoluzione comunicativa, sia a scuola che nell’Università. La battaglia combattuta dai dislessici è in effetti a volte molto aspra, ma capite bene da che parte sto!
PS: scartabellando ho ritrovato il libro che usammo nel corso di “body langage” nel lontano 1986. E’ questo:
https://play.google.com/store/books/details?id=ZtsqAwAAQBAJ
Fu scritto nel 1970 !!!
Ovviamente è stato revisionato più volte, e ritengo sia ancora oggi una lettura interessante. 7 euro si possono ben spendere senza troppe remore, 650+IVA effettivamente sono un po’ tantini.
Considerato anche che il mio corso in Inghilterra era gratis… C’era solo da comprare il libro, che costava ben 10 sterline…