Nicola Casagli ci ha inviato questa storiella dal Giappone. Lui ci assicura di averla raccolta dalla viva voce dell’uomo più vecchio del mondo, un reduce della guerra Boshin, che da più di 160 anni vive ancora lucidissimo, bevendo un misterioso sakè all’ombra dei ciliegi sacri in un remoto angolo del Paese. In questi giorni convulsi, mentre lo sciopero indetto dal movimento per la Dignità della docenza universitaria è in pieno svolgimento, innescando dibattiti e una più generale e salutare attenzione mediatica sulle condizioni dell’Università italiana, forse è il caso di prendersi una pausa e sdrammatizzare un po’, per poi tornare a concentrarsi sulla propria coscienza e sulla scelta simbolica che si compie aderendo o non aderendo alla protesta in atto.
Giappone, anno 1877
Correva il nono anno del periodo Meiji. La modernizzazione del Paese, fortemente voluta dal nuovo Imperatore, stava generando crescente malcontento, specie nelle classi sociali più alte e più radicate nella tradizione, come quella dei Samurai.
Anche a quei tempi, e in quei luoghi remoti, avanzava il Nuovo, seminando caos e distruzione.
Il sistema feudale baronale era stato rimpiazzato con uno tutto nuovo, meritocratico e basato sulla Valutazione.
Siccome nessuno aveva la più pallida idea di cosa fosse questa benedetta Valutazione, l’Imperatore fu costretto a chiamare consulenti stranieri, in particolare dall’Italia.
Gli italiani suggerirono subito l’istituzione di un’Agenzia ministeriale: l’ANVUR (Agenzia Nipponica per la Valutazione Universale e Radicale), formata da guerrieri collaborazionisti di nomina imperiale: i famigerati Sette Samurai.
Tutta la popolazione dell’Impero fu costretta a inviare rapporti di autovalutazione, schede uniche, relazioni di riesame, report di accreditamento ed elenchi delle pubblicazioni all’Agenzia.
Lo status di Samurai non sarebbe stato più tramandato per diritto ereditario, ma rigorosamente subordinato al superamento di una complessa procedura ASN (Abilitazione dei Samurai Nipponici), basata su nebulosi algoritmi matematici.
Fu poi escogitata una formula algebrica per l’individuazione delle Scuole di Samurai di Eccellenza, la quale era così complessa che nessuno la capiva, e per questo veniva da tutti presa sul serio.
Nella nuova Società tutto doveva essere condizionato alla Valutazione: anche gli scatti degli stipendi di riso della casta guerriera, che tradizionalmente erano legati all’anzianità.
Ma fu proprio al passaggio nel nuovo sistema meritocratico che l’Impero si trovò in una grave crisi finanziaria, a causa delle ingenti spese per finanziare l’avanzamento del Nuovo.
E fu così che, proprio al momento della prima valutazione meritocratica, l’Imperatore bloccò tutto per decreto, congelando carriere e progressioni stipendiali per molti lunghi anni.
Il malcontento deflagrò. Un gruppo di Samurai reazionari si radunò presso Satsuma nella prefettura di Kagoshima, agli ordini del loro anziano decano Takamori Saigo, e fece una cosa mai vista prima: proclamò lo sciopero.
Per un giorno, in tutte le Scuole di Arti Marziali dell’Impero, i Maestri si sarebbero astenuti dagli esami di addestramento dei giovani aspiranti Samurai.
Aderirono in più di cinquemila: fior fior di guerrieri addestrati all’arte della guerra e fedeli ai principi della tradizione.
Lo sciopero era del tutto ininfluente, perché comunque gli esami erano solo procrastinati di qualche giorno, ma la cosa fece ugualmente andare in bestia l’Imperatore.
Dapprima egli provò invano a bloccare lo sciopero, facendo pressioni indebite sulla Commissione di Garanzia, ma poi ricorse a misure più radicali: inviò a Kagoshima cinque navi da guerra e un esercito di 70 mila coscritti.
Il comandante delle truppe imperiali diede l’ultimatum a Saigo: lo sciopero doveva essere immediatamente revocato in quanto ritenuto un gravissimo atto di lesa maestà.
All’orgoglioso rifiuto dei Samurai, l’esercito imperiale rispose aprendo il fuoco.
La lotta era impari: un corpo di armata regolare con armi moderne e artiglieria, contro un modesto reggimento di Samurai armati di katana, corazza, arco e frecce.
Il combattimento durò una intera sessione di prove di addestramento e i ribelli inflissero gravi perdite all’esercito regolare.
Erano rimasti appena in 500 quando furono accerchiati a Shiroyama, il luogo dell’ultima battaglia.
Saigo ordinò impavido l’assalto frontale all’arma bianca. I Samurai caddero a uno a uno, falciati dalle mitragliatrici.
Molti fecero seppuku – il suicidio rituale – per morire con dignità. Fra questi anche Saigo – gravemente ferito – riuscì a darsi la morte per sventramento.
Così ebbe fine la ribellione di Satsuma.
Mai più nessuno osò alzare la testa contro il Nuovo che era intanto inesorabilmente avanzato.
L’episodio segnò la fine definitiva dei Samurai e del Bushidō – il codice di condotta tradizionale della casta guerriera – basato sui sette principi fondamentali:
1. Onestà e Giustizia
2. Eroico Coraggio
3. Compassione
4. Gentile Cortesia
5. Completa Sincerità
6. Onore
7. Dovere e Lealtà
Esso fu sostituito da un Codice Etico tutto nuovo, incardinato sui sette fondamenti della Meritocrazia Anvuriana:
1. Autovalutazione
2. Accreditamento
3. Assicurazione di Qualità
4. Auditing
5. Assessment
6. Algoritmi bibliometrici
7. Aspirazione all’Eccellenza
Gli Anvurriani arrivarono dal Nord
su piccoli indicatori chiomati;
annientarono gli eserciti di cattedratici
che l’Università aveva mandato per punire la loro empietà,
innalzarono piramidi di fuoco e tagliarono gole,
uccisero l’improduttivo e l’Eccellente,
uccisero il precario incatenato che vigila la porta,
usarono e dimenticarono le donne
e perseguirono verso Sud,
innocenti come animali da preda,
crudeli come coltelli.
Nell’alba incerta
il maestro del mio maestro salvò i libri.
Essi sono qui nella torre dove giaccio,
ricordando i giorni che furono di altri,
quelli altrui e antichi.
Nuovo codice etico:
1. Ipocrisia
2. Collaborazionismo
3. Coraggio nel decidere tra pochi intimi (alias: democrazia formale)
4. Emarginare i non allineati e
5. Oscurarne i siti (cfr. Egitto)
6. Lottare per l’eccellenza con tutti i mezzi, senza sapere cos’è
7. Mal comune, mezzo gaudio.