La scomparsa improvvisa di Luciano Modica (nella mattina del 4 maggio a seguito di un imprevisto malore) riceverà sicuramente i suoi necrologi, che ne illustreranno il grande valore come matematico, come rettore dell’università di Pisa e come presidente della Crui. Non sono il più idoneo a fare qualcosa di simile: competenti matematici ne sapranno illustrare assai meglio l’opera, come anche sapranno fare altri che l’hanno conosciuto nella sua attività amministrativa e politica (è stato infatti anche senatore del Pd). Non chi invece, come me, l’ha avuto compagno di classe, condividendo gli anni di liceo classico e poi – dopo il suo trasferimento a Pisa, dove ha studiato alla Normale e quindi si è stabilito, facendosi una famiglia – incontrato in diverse occasioni e specialmente nell’estate catanese, da lui sempre trascorsa nella sua casa di Acitrezza: occasione per incontrarsi con tutti i vecchi compagni e poi amici di una stagione indimenticabile come quella liceale. Un periodo di intensissima crescita intellettuale, fatta di accesi e appassionati dibattiti sulla politica, la filosofia, i destini dell’umanità, il senso della storia, nei quali ho potuto apprezzare un elemento che a mio avviso è rimasto costante in tutta la sua vita: il tentativo di restare sempre aderente ai propri ideali, alle proprie convinzioni di fondo, ma anche attento a sentire le argomentazioni, a volta irruenti e radicali (come erano le mie), che gli venivano poste.

Non voglio qui indulgere a una sorta di amarcord sentimentale – a cui il mio affetto e il mio dolore facilmente darebbero alimento – ma offrire una semplice testimonianza di quello che ho avuto modo di percepire dalla sua esperienza politica e professionale e che non si può trovare in documenti ufficiali, essendo il frutto di conversazioni private con lui avute. Di certo vi sarebbe chi darebbe giudizi “politici” diversi e magari non tutti positivi della sua esperienza come sottosegretario del ministro Mussi nel governo Prodi; forse qualcuno gli attribuirà di aver voluto una agenzia di valutazione della ricerca, che poi sarebbe diventata l’attuale Anvur, da molti oggi criticata. E ricordo che anche io – quando egli avviò il progetto – ebbi modo di esprimergli le mie perplessità in uno scambio di mail. Sta di fatto che quando ho discusso con lui, anni dopo, di ciò che era divenuta l’Anvur, egli mi confessò candidamente e con un certo rammarico che non era questo che lui aveva nutrito in mente. E mi disse del proprio disagio e dell’esperienza negativa da lui avuta come sottosegretario di Mussi: sostanzialmente lasciato senza deleghe, impotente a prendere iniziative, che stavano tutte in mano dell’allora direttore generale, di cui si fidava il ministro; al punto di aver cercato di dare le proprie dimissioni, che poi non ebbero luogo perché fu in tal senso pregato da – mi pare – Veltroni, per evitare di mettere in ulteriori difficoltà un governo che non godeva di ottima salute e di solida maggioranza.

Questo era in fondo Luciano: un intellettuale prestato alla politica che non aveva rinunziato alle sue idee e che cercava di metterle in pratica, pur rendendosi conto delle necessarie mediazioni cui doveva sottostare e che lo inducevano a un comportamento prudente; ma che si liberava dai suoi condizionamenti quando mi scriveva o parlava; e allora potevo apprezzare il Luciano di sempre, di quando al liceo discutevamo appassionatamente e che ora – a fare il “senatore di fila”, come mi disse amaramente e con consapevolezza – non si trovava a suo agio, in un parlamento in fase di degrado: troppo intelligente, troppo preparato, troppo “poco flessibile” per risultare accettabile a un ceto politico in costante processo di deterioramento per qualità intellettuali, per valori morali, per coerenza e chiarezza nelle proprie visioni (semmai fossero presenti) di paese e di futuro. Luciano invece queste cose le possedeva tutte, in grado eminente e per questo non poteva che andare incontro al medesimo destino di tutti gli intellettuali che non si piegano, che per la loro intelligenza risultano pericolosi, che possono avere delle idee la cui realizzazione può destabilizzare l’andazzo corrente, la ricerca del consenso immediato, sempre di più corta prospettiva. Si possono o meno condividere le sue idee (come anche quelle di altri intellettuali che ne hanno seguito la sorte), ma non certo affermare che fosse in malafede, o che le adottasse per meri fini opportunistici. No, questo – almeno per chi lo ha conosciuto personalmente e ha avuto l’onore e la fortuna di godere della sua amicizia e stima – non si può affatto dire. Ecco perché Luciano Modica va ricordato: non solo per essere stato un grande matematico, non per essere stato rettore o presidente della Crui o senatore del Pd, infine neanche per essere stato un estimatore e collaboratore di Roars (riconoscendo – come mi scrisse in una mail di nove anni fa – «il ruolo importante che stai e state giocando»); non solo per tutto questo, ma soprattutto per la grande carica di umanità e la grande statura intellettuale, nel senso più pieno e completo, non angustamente specialistico, da lui dimostrata in ogni sua attività.

Per questa politica italiana – involgarita, depauperata, degradata e da lui vista con sempre maggior distacco e atteggiamento critico – sarebbero necessari molti intellettuali come Luciano Modica. Per questo egli mancherà immensamente non solo ai suoi amici, ma anche alla cultura e alla comunità accademica italiane.

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3 Commenti

  1. Aggiungo poche battute al ricordo di Luciano Modica. Sulle sue qualità personali, che certamente rimpiangeremo, ha scritto bene Franco Coniglione.
    Voglio ricordarlo anche come presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze e coordinatore per un periodo dei presidenti delle Accademie italiane, di cui anch’io ho fatto parte in passato. Anche in questo campo fu un appassionato e lucido interlocutore e promotore di attività “intelligenti”. Ricordo incontri tra i presidenti delle Accademie da lui promossi presso la sede della Crui, su temi di grande rilevanza riguardo ai quali lamentava il disinteresse da parte dei politici. E ricordo incontri personali al tavolino di un bar della nostra Catania, dove – già entrambi anziani ma sempre speranzosi che qualcosa si possa cambiare in Italia – si discuteva, davanti ad una granita e una brioche, di università, di Cun, di Anvur e di politica. Argomenti che pochi sapevano trattare quanto Luciano, in quel modo intelligente e stimolante che si apprezza anche quando non si è d’accordo.
    Adesso se n’è andato, e un altro pezzo di intelligenza e di speranza se ne è andato con lui.

    Santo Di Nuovo

  2. Di Luciano Modica ho anch’io molti ricordi positivi, e qualche contatto “indiretto” ma pregnante, dal punto di vista personale.
    La sua elezione a Senatore nel 2002 era coincisa (dopo qualche mese) con l’assunzione della guida del settore “Università & Ricerca” nel partito dei Democratici di Sinistra, con la collaborazione di Walter Tocci (questi più focalizzato sulla ricerca degli Enti). Erano anni di opposizione, per l’allora centrosinistra-Ulivo, che sarebbero però maturati nell’esperienza di governo de “L’Unione” del biennio 2006-2008, dove Modica fu Sottosegretario all’Università – come sopra ricordato.

    In quel periodo ero attivo nell’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca, e soprattutto nella sua ombrella Europea, Eurodoc, di cui avevo ricoperto le cariche di Vice-Presidente e Presidente fra il 2003 e il 2005. Con simili impegni (e cariche sociali) non ritenevo di poter essere iscritto ad un partito, ma ero comunque vicino alla stessa formazione politica di Modica, oltre a seguire genericamente tutto il dibattito italiano in quel settore. La coppia Modica-Tocci era un buon punto di riferimento, in contrasto alle politiche dell’allora Ministro Letizia Moratti, e per questo seguivo da vicino anche alcune delle iniziative specifiche che i DS organizzavano in quel periodo.

    Un tema forte che caratterizzava il dibattito in quegli anni, e che segnò una parte importante del lavoro di Modica, anche come Sottosegretario, fu quello della “valutazione”, e dell’istituzione di una Agenzia Nazionale di Valutazione anche per il nostro sistema universitario e della ricerca. Il tema correva molto forte sui binari Europei, soprattutto nelle more della realizzazione del c.d. Processo di Bologna, per la realizzazione dello Spazio Europeo dell’istruzione superiore; io stesso ne avevo fatto oggetto specifico di attenzione e di intervento, nei miei ruoli di “rappresentanza” dei dottorandi/giovani ricercatori, che mi portavano a frequentare parecchi eventi ufficiali, soprattutto a livello Europeo. E vedevo nell’iniziativa di Modica, che scrisse il primo Regolamento dell’ANVUR, un’azione da sostenere. Il Regolamento si arenò però congiuntamente con la caduta del Governo Prodi II, e fu poi ripreso con qualche modifica dalla Ministra Gelmini, alcuni anni dopo, nel contesto di una ben nota “riforma major” del sistema, che, partendo dal reclutamento, toccava però parecchi altri ambiti delle politiche di settore.

    In conclusione, posso dire che il ricordo di Luciano Modica coincide con la rievocazione di frammenti molto importanti e intensi della mia stessa vita, e del mio impegno attivo nelle politiche di Università & Ricerca. Tra gli stessi ricordi, posso intimamente andare fiero di una consonanza di vedute con lui e di un giudizio positivo che egli stesso dava sul mio conto. E’ stata veramente una brutta notizia, quella di ieri.

  3. Vorrei anch’io lasciare un commento in memoria di Luciano Modica, una persona di cui ho poco titolo per parlare: conosciuto in una conferenza sulla valutazione, da lui regalata all’Università di Catania alla fine del secolo scorso, e poi visto da vicino, con emozione, quando era Presidente della CRUI, all’alba del secolo, e aveva avuto il tempo di guardare con interesse un lavoro a cui io stavo collaborando. Gli devo quindi l’onore e il privilegio di una breve prefazione, e molte osservazioni finemente intelligenti, sempre proposte col suo garbo e gli occhi che luccicavano.
    Vorrei ricordare un suo commento a proposito della breve azione di governo, che mi diede alcuni anni dopo, quando ero andato a trovarlo nella sua casa, modesta ma speciale, di Aci Trezza: vado a mia memoria, senza virgolette. Ricordo che disse che era stato un errore da parte del governo pensare di agire, naturalmente sui temi di cui lui si occupava da sottosegretario, in un ordinamento in cui poi il Consiglio di Stato riteneva di dovere intervenire e riscrivere tutto; i tempi sono troppo lunghi, e forse la via del disegno di legge alla fine è più rapida.
    A futura memoria…

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