L’intero sistema dottorale italiano, attivo dal 1999 (DM 30 aprile 1999, n. 224), sarà sottoposto nei prossimi mesi alle operazioni per l’accreditamento, per cui l’ANVUR sta identificando requisiti e parametri quantitativi e qualitativi. Questa procedura insieme allo schema di decreto “Regolamento recante criteri generali per la disciplina del dottorato di ricerca” di fatto bocciato dal consiglio di stato dovrebbero cambiare profondamente il sistema dottorale italiano.
È sorprendente quanto poco si sappia sul funzionamento del sistema dottorale italiano nella sua configurazione vigente.
L’ISTAT ha pubblicato non più di tre settimane fa la prima (!) indagine sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca.
La ricerca ha riguardato tutti coloro che hanno conseguito il titolo nel 2004 e nel 2006. La rilevazione è stata effettuata tra dicembre 2009 e febbraio 2010 intervistando tramite tecnica Cati (Computer Assisted Telephonic Interview) 18.568 dottori di ricerca (8.443 del 2004 e 10.125 del 2006).
I dati relativi ai dottori di ricerca utilizzati nell’indagine si riferiscono alla rilevazione annuale promossa per tramite dei Nuclei di valutazione, alla voce “Post-laurea”. Le relazioni annuali richieste ai Nuclei di valutazione e le procedure di trasmissione dei dati da parte degli Atenei fanno riferimento alla “Anagrafe dei corsi di dottorato” del Miur.
Il confronto tra la ripartizione di residenza prima dell’iscrizione all’università e quella in cui vivono abitualmente i dottori di ricerca al momento dell’intervista è stato letto dall’ISTAT per studiare le migrazioni, sia all’interno del Paese sia verso l’estero, dei dottori di ricerca italiani.
Al momento dell’intervista i dottori di ricerca del 2004 e del 2006 che risiedono all’estero sono il 6,4%. Migrano con più frequenza i dottori di ricerca dell’area delle Scienze fisiche: 22,7% verso altri paesi, 14,3% a livello nazionale.
Il dato sulla capacità attrattiva (quota di dottori che prima dell’iscrizione all’università risiedevano in altre regioni) e sulla capacità di trattenimento (quota di dottori di ricerca residenti un una regione prima dell’iscrizione all’università che al momento dell’intervista vivono abitualmente in quella stessa regione) conferma un tratto ormai consolidato per l’istruzione universitaria a livello nazionale: scarsa attrattività delle regioni meridionali, forte capacità di trattenimento per parte del Nord e del Centro (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Sardegna).
Le emigrazioni dei dottori di ricerca dalla ripartizione geografica di origine seguono in sintesi la direttrice Sud-Nord. Dal Mezzogiorno ci si sposta soprattutto verso il Centro e il Nord (10,8% in entrambi i casi); i dottori di ricerca delle regioni centrali mostrano invece una propensione allo spostamento verso il Nord Italia (6,7% dei residenti prima dell’iscrizione all’università) pari sostanzialmente a quello verso altri Paesi (6,5%). I dottori di ricerca originari delle regioni settentrionali si muovono soprattutto verso l’estero (8,4%).
A fronte di una crescita costante nell’ultimo decennio dell’offerta formativa di corsi di dottorato di ricerca e di relativi iscritti che hanno conseguito il titolo di dottore, passati dai 4.000 del 2000 ai 12.000 del 2008, il quadro della mobilità verso l’estero presenta tratti cristallizzati, elitari. Una mobilità senza mobilità sociale. Il dottore di ricerca tipo che va all’estero è, infatti, maschio, originario del Centro-Nord, proviene da famiglia con elevato livello di istruzione (padre/madre almeno diplomato), ha conseguito il dottorato in età relativamente giovane (meno di 32 anni) e svolge attività di ricerca, almeno in parte, nell’attuale lavoro iniziato dopo il conseguimento del titolo. Quest’ultima è superiore a quella in cui sono coinvolti mediamente i colleghi rimasti in Italia.
La percentuale di intervistati rimasti in Italia che svolgono un lavoro che non comprende attività di ricerca è più alta per i dottori provenienti dal sud e da famiglie con livello culturale più basso (35%).
Il documento ISTAT segnalato riporta i risultati di uno specifico studio sulla mobilità (interna e verso l’estero) di coloro che hanno conseguito il titolo di dottore nel 2004 e 2006. In realtà i risultati dell’indagine Istat effettuata nel 2009 sono stati pubblicati circa un anno fa (http://www3.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20101214_00/testointegrale20101214.pdf). L’indagine è stata totale ma i risultati vanno interpretati con una certa cautela visto che i tassi di risposta si aggirano intorno al 70% (tuttavia le stime sono state corrette per tener conto dell’influenza delle mancate risposte).
Anche il CNVSU nel suo ultimo rapporto (XI) sull’Università (http://www.cnvsu.it/_library/downloadfile.asp?id=11778) riportava i risultati di uno studio ad hoc – commissionato dallo stesso – sul profilo di occupabilità per le diverse aree di Dottorato, relativamente ai dottori che avevano conseguito il titolo nel 2008.
Ci sono state anche altre indagini sugli sbocchi professionali dei dottori effettuate a livello locale (sostenute in genere dai Nuclei di Valutazione, per esempio quella a Bologna nel 2008) ma si trovano tentativi pionieristici fatti da ADI risalenti al 1998.
Sarebbe opportuno che queste rilevazioni fossero effettuate regolarmente nel tempo.
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